Le responsabilità per i danni dell’alluvione in Libia
Le autorità del paese sono accusate di non aver fatto abbastanza, né per prevenire il disastro né per gestirlo quando ormai era imminente
In Libia stanno emergendo molte responsabilità da parte della politica e delle istituzioni per l’enormità dei danni causati dalle intense alluvioni della scorsa settimana, che hanno causato più di 11mila morti. È opinione di diversi esperti che anni di divisione politica del paese, corruzione e insufficienti interventi di manutenzione delle infrastrutture abbiano aumentato le conseguenze di un disastro naturale per il quale la Libia si è dimostrata fortemente impreparata.
La parte del paese più colpita è quella a est, e in particolare la zona più danneggiata è quella della città di Derna, 90mila abitanti, dove la rottura di due dighe ha distrutto una grossa parte degli edifici. Il bilancio dei morti è ancora incerto: ci sono infatti almeno 10mila dispersi. La difficoltà a trovare i dispersi è dovuta anche al fatto che molti corpi sono stati trascinati dalle acque per decine di chilometri.
La Libia è divisa dal 2014 fra due governi rivali: uno guidato dal maresciallo Khalifa Haftar a est, la zona che viene chiamata Cirenaica, e un altro che ha sede nella capitale Tripoli a ovest, riconosciuto come unico legittimo dalla comunità internazionale e guidato dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibah.
Claudia Gazzini, analista per la Libia dell’organizzazione non governativa International Crisis Group, ha detto ad Al Jazeera che questa situazione instabile ha provocato grosse dispute per l’assegnazione di molti fondi, tra cui quelli che dovrebbero riguardare le infrastrutture, su cui non ci sono investimenti da almeno tre anni. Di fatto nessuno dei due governi ha abbastanza soldi e legittimazione politica per fare piani a lungo termine per interventi infrastrutturali.
La mancanza di questo genere di investimenti ha provocato conseguenze concrete nel crollo delle dighe a Derna, che ha portato alla devastazione della città. Alcuni studi accademici che avevano segnalato la necessità di interventi sulle dighe di Derna: lo scorso anno una ricerca dell’università libica Omar Al-Mukhtar aveva avvertito della loro urgenza per via di «un alto rischio di inondazioni». L’autore dello studio, l’idrologo Abdul Wanis Ashour, ha detto a Reuters che c’erano stati diversi avvertimenti del pericolo di cui le istituzioni erano consce da tempo: «Lo stato lo sapeva bene, sia attraverso gli esperti della Commissione pubblica per l’acqua, sia attraverso le società straniere che erano venute a valutare le condizioni delle dighe».
Sabato le autorità libiche hanno annunciato l’apertura di un’indagine sulle responsabilità del crollo delle dighe e sulla mancata manutenzione: il procuratore generale Al-Sediq al-Sour ha detto che sarà indagata l’attuale amministrazione della città di Derna e quelle precedenti. Le dighe furono costruite negli anni Settanta.
Oltre alle responsabilità pregresse, le autorità libiche sono state accusate anche per il modo in cui hanno risposto al pericolo una volta che è diventato imminente. Sabato, prima che la tempesta Daniel arrivasse nella zona causando le alluvioni, il consiglio municipale di Derna aveva postato un messaggio sui social network in cui annunciava un coprifuoco e chiedeva ai residenti di evacuare solo le zone vicine alla costa.
Secondo Anas El Gomati, direttore del centro di ricerca indipendente Sadeq Institute, «l’inazione delle autorità nonostante il chiaro pericolo è costata migliaia di vite, mentre sarebbe bastato spendere per dei blocchi di cemento e sacchi di sabbia», riferendosi agli interventi necessari per evitare che le acque invadessero la città. Il sindaco di Derna ha respinto le critiche sostenendo di aver fatto il possibile per avvertire la popolazione, e un portavoce del governo di Haftar parlando con BBC ha detto che i soldati avevano avvertito la popolazione di fuggire, negando di aver imposto il coprifuoco che ha trattenuto molte persone nelle proprie case.
Nel frattempo ci sono grosse difficoltà anche nella gestione dei corpi delle persone morte: al momento non ci sono abbastanza sacchi per i cadaveri e secondo l’ONU più di mille persone sono state seppellite in fosse comuni, una pratica fortemente stigmatizzata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’impatto psicologico che potrebbe avere sulla popolazione locale.