• Mondo
  • Sabato 16 settembre 2023

In Iran la tentata rivoluzione si è trasformata in resistenza

A un anno dalla morte di Mahsa Amini le proteste sono state represse con la violenza, ma le forme di opposizione al regime continuano

Una marcia di solidarietà a Berlino nel 2022 (AP Photo/Markus Schreiber)
Una marcia di solidarietà a Berlino nel 2022 (AP Photo/Markus Schreiber)
Caricamento player

Il 16 settembre del 2022, un anno fa, morì in un centro di detenzione di Teheran (Iran) la ventiduenne Mahsa Amini. La donna, originaria del Kurdistan iraniano, era stata fermata alcuni giorni prima dalla polizia religiosa perché non indossava correttamente il velo islamico, o hijab, come prescritto dalle leggi iraniane. La sua morte, causata probabilmente dalla violenza e dalle percosse della polizia, provocò enormi proteste, durate per oltre quattro mesi, che si estesero a tutto il paese. Nel tempo il movimento iniziato per chiedere più diritti per le donne e lo scioglimento della polizia religiosa assunse ampie dimensioni, diventando la sfida più seria al regime teocratico instaurato in Iran dopo la rivoluzione khomeinista del 1979.

La risposta del regime iraniano fu una repressione terribilmente violenta: si stima che 500 manifestanti furono uccisi negli scontri, migliaia furono feriti, almeno 20mila arrestati, con ricorrenti testimonianze di abusi, torture e stupri nelle carceri e nei centri di detenzione. Sette degli arrestati sono stati condannati a morte, per impiccagione.

La risposta violenta voluta dalla Guida suprema Ali Khamenei, la più importante figura politica e religiosa del paese, ha ottenuto il risultato di mettere fine alle proteste, ma allo stesso tempo la tentata rivoluzione del popolo iraniano si è trasformata in un movimento di diffusa resistenza al regime portata avanti soprattutto dalle donne: sono state loro a compiere gli atti pubblici più significativi e commentati, come quello di non indossare lo hijab, uno dei simboli della repressione del regime iraniano.

Le proteste, particolarmente intense nei primi mesi dopo la morte di Amini, non sono riuscite a forzare cambiamenti nel sistema politico, nella gestione del potere e nella legislazione iraniana. Anche le parziali concessioni fatte dal regime, come il ritiro della polizia religiosa, sono state solo temporanee, e a luglio per le strade delle città iraniane sono ripresi i pattugliamenti. I manifestanti hanno però ottenuto un risultato meno tangibile, e comunque importante, cioè quello di riuscire a trasformare le proteste in una forma di resistenza costante, fatta soprattutto da donne e giovani.

Donne senza velo a Teheran ad agosto del 2023 (AP Photo/Vahid Salemi)

Negli ultimi giorni, in vista dell’anniversario della morte di Amini, il regime iraniano ha represso duramente chiunque potesse rappresentare una qualche forma di pericolo per lo stesso regime, con l’obiettivo di bloccare nuovi tentativi di proteste: una serie di arresti ha riguardato attiviste per i diritti delle donne, giornalisti, cantanti e parenti di manifestanti uccisi durante le proteste. Nell’ultimo periodo, inoltre, oltre cento fra professori universitari e ricercatori sono stati sospesi dai loro incarichi nel tentativo di fermare il dissenso all’interno delle università, luoghi che storicamente in Iran sono stati spesso coinvolti in manifestazioni e proteste.

Il parlamento iraniano sta inoltre lavorando a una nuova legge nota come “Hijab e Castità”, che prevede multe molto ingenti (fra i 120 e i 20.000 dollari) per le donne che non portano il velo e 10 anni di prigione per chi non rispetti questa regola “in forma organizzata e incoraggi altri a seguirne l’esempio”.

Nonostante le leggi e i divieti non siano cambiati e malgrado il ritorno in funzione della polizia religiosa, negli ultimi tempi sempre più donne senza velo sono state viste girare per le strade iraniane (e non solo a Teheran). Secondo valutazioni riportate dalla BBC che citano diplomatici occidentali, il rifiuto di aderire alle imposizioni del regime non avrebbe più connotazioni geografiche o di classe, ma generazionali. Se in passato erano soprattutto le donne più istruite della capitale a rifiutare il velo, oggi sono le giovani, di qualunque estrazione sociale e anche nei piccoli centri, a considerare questa imposizione sempre meno accettabile. Secondo diverse testimonianze di donne iraniane riportate dal quotidiano francese Le Monde, anche il modo in cui gli uomini valutano questa scelta sembra essere cambiato: oggi è per lo più approvata e vista come un gesto che mostra coraggio.

Non indossare lo hijab è molto rischioso. Il regime ha messo in piedi un sistema di controllo tecnologico capillare basato per lo più su telecamere e punizioni indirette: negozi, bar e ristoranti che servono donne senza velo possono essere chiusi temporaneamente o in modo definitivo e le telecamere di sorveglianza fotografano le targhe delle auto su cui viaggiano donne che non rispettano i codici di abbigliamento. Sono previste multe (per ora di entità minore rispetto a quelle prospettate dalla nuova legge) e alla terza segnalazione può arrivare la confisca dell’auto e al divieto di frequentare la metropolitana, centri commerciali o anche le scuole dei figli. Per la repressione, il regime di Ali Khamenei può contare sulle Guardie Rivoluzionarie, unità militare molto potente, e dal Basji, milizia di volontari.

In Iran ci sono però molte donne che sembrano disposte a correre il rischio. Tra le azioni di protesta c’è per esempio quella di scrivere lo slogan “Donna, vita, libertà” (lo stesso delle manifestazioni del 2022) sui social e sui muri nelle strade cittadine.

Una delle scritte “Donna, Vita, Libertà” cancellate sui muri di Teheran (AP Photo/Vahid Salemi)

Oltre a reprimere il dissenso nelle strade iraniane, il regime di Teheran ha iniziato a preoccuparsi anche per quello che verrà espresso in occasione delle elezioni parlamentari fissate per marzo del 2024: nonostante l’inattaccabile potere della Guida Suprema, nella sua storia l’Iran ha espresso governi più o meno integralisti, ora più riformisti, ora apertamente populisti, con notevoli differenze nei modi di interpretare le regole generali dello stato.

Ad agosto il governo ha annunciato un numero record di persone che si erano registrate per diventare candidati alle prossime elezioni: 49mila. Sono il triplo rispetto alle ultime due elezioni (2020 e 2021), con la presenza di molti elementi nuovi alla politica, più vicini alle istanze delle nuove generazioni.

La Guida Suprema Ali Khamenei in una cerimonia con l’esercito a ottobre del 2022 (Office of the Iranian Supreme Leader via AP)

I candidati alle elezioni devono però essere approvati dal Consiglio dei Guardiani (sei teologi e sei giuristi): le scelte di questo gruppo chiariranno quanto spazio sia rimasto per portare avanti un processo democratico nel paese. Ma un’eliminazione dalle liste di tutti i candidati più progressisti e meno vicini alle politiche del regime – cosa che succede abbastanza abitualmente alle elezioni iraniane – potrebbe causare nuove proteste. La decisione sull’ammissibilità delle candidature è attesa per fine ottobre.