Neanche stavolta l’UNESCO ha inserito Venezia nella lista dei siti in pericolo
Le rassicurazioni e il lavoro diplomatico del governo hanno convinto il comitato a non includere la città nella “danger list”
L’assemblea del comitato World Heritage dell’UNESCO, l’agenzia culturale dell’ONU riunita a Riad, in Arabia Saudita, ha escluso l’inserimento di Venezia nella cosiddetta danger list, la lista dei patrimoni mondiali dell’umanità in pericolo. L’inserimento era stato chiesto dal segretariato della commissione, cioè dal gruppo di esperti che si occupa di individuare i siti che per varie ragioni sono a rischio e che hanno bisogno di interventi straordinari per la loro conservazione.
Gli esperti sostengono che Venezia sia in pericolo perché «gli effetti del continuo deterioramento dovuto all’intervento umano, tra cui il continuo sviluppo, gli impatti del cambiamento climatico e il turismo di massa minacciano di causare danni irreversibili all’eccezionale valore universale» della città. In ogni caso il documento in questa versione non è stato nemmeno esaminato o votato dall’assemblea.
Le rassicurazioni fatte dall’Italia e un lavoro diplomatico durato settimane hanno portato a stilare un documento alternativo, proposto ufficialmente dal Giappone, in cui vengono lodate le «concrete e valide misure» adottate dal governo italiano e dal comune. Il nuovo documento che di fatto escludeva l’iscrizione nella danger list è stato votato quasi all’unanimità. Si sono espresse a favore India, Oman, Mali, Grecia, Etiopia, Bulgaria, Sudafrica, St Vincent, Qatar, Argentina, Messico, Ruanda, Zambia, Egitto, Nigeria, Thailandia e Belgio.
L’assemblea ha valutato positivamente alcuni degli interventi fatti negli ultimi anni come l’apertura del Mose, l’enorme e discussa opera ingegneristica che protegge Venezia e la laguna da maree alte; l’installazione di barriere di vetro di fronte alla basilica di San Marco; e la recente approvazione di un biglietto di ingresso per regolare e limitare l’arrivo dei turisti.
L’inserimento nella danger list non sarebbe stato solo una questione simbolica o un problema di reputazione per la città. Secondo il trattato firmato dagli stati membri dell’UNESCO l’inserimento prevede provvedimenti concreti, nuovi progetti e investimenti per tutelare meglio i siti in pericolo. In generale per Venezia e l’Italia finire nella lista avrebbe significato avere limitazioni all’autonomia decisionale sulla città. In questo senso molte associazioni civiche e ambientaliste considerano la danger list una forma di tutela, una maggiore presa di coscienza dei rischi, e per questo negli ultimi dieci anni hanno sollecitato l’UNESCO a comprendere anche Venezia tra i siti a rischio.
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Con il voto di Riad, Venezia ha evitato l’inserimento nella danger list per la terza volta. L’UNESCO pose la questione per la prima volta nel 2014 durante l’assemblea di Doha, in Qatar: i delegati chiesero un esame più approfondito sui rischi per Venezia anche sulla base di segnalazioni e denunce presentate da alcune associazioni ambientaliste italiane, tra cui Italia Nostra. Negli anni successivi gli esperti e le esperte dell’UNESCO organizzarono due missioni a Venezia.
Questo lungo lavoro portò a presentare la prima bozza di documento per l’iscrizione nella danger list nel 2021 durante l’assemblea a Fuzhou, in Cina. Il testo originale fu pesantemente corretto su proposta dell’Etiopia: vennero eliminate tutte le critiche e rimossa la proposta di iscrizione nella danger list.
Il voto fu influenzato dall’approvazione da parte del governo italiano di un decreto per impedire il passaggio delle grandi navi nel canale della Giudecca e nel bacino e canale di San Marco. Quel provvedimento ha consentito di spostare il traffico nel canale dei petroli verso attracchi chiamati “provvisori”, ormai quasi definitivi, nella zona industriale di Marghera. Secondo diverse associazioni, tuttavia, questa soluzione ha creato un porto diffuso con 7 attracchi – più un altro in rada – che non rispettano l’ambiente della laguna.
Anche quest’anno l’inserimento nella lista dei siti in pericolo è stato evitato grazie a un provvedimento approvato pochi giorni prima del voto. La scorsa settimana la giunta di Venezia ha approvato l’introduzione di un “contributo d’accesso” di 5 euro per tutti i turisti che intendono visitare il centro storico della città in giornata, senza quindi pernottare nelle sue strutture ricettive.
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Nelle intenzioni del comune il contributo dovrebbe servire a «disincentivare il turismo giornaliero in alcuni periodi, in linea con la delicatezza e l’unicità della città». Da tempo Venezia fatica a gestire l’arrivo di un numero sempre maggiore di turisti che spesso visitano solo i punti principali della città usufruendo di servizi pubblici senza pagare la tassa di soggiorno, obbligatoria invece per chi alloggia nelle strutture ricettive della città.
Un altro grosso problema legato al turismo è l’aumento significativo di appartamenti in affitti a breve termine, denunciato da anni da molte associazioni di residenti. Oggi trovare una casa a Venezia è complicato e viverci è molto più costoso di quanto non fosse dieci anni fa, cosa che ha contribuito in parte allo spopolamento e di conseguenza a trasformare i negozi, i servizi e più in generale la città.
La scorsa settimana l’associazione Ocio, che vuol dire “occhio” in veneziano ma è anche la sigla dell’Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza, ha comunicato che dall’inizio di settembre il numero di posti letto per i turisti ha superato quello degli abitanti. I posti letto sono 49.693, gli abitanti 49.304. Nel 2008 gli abitanti del centro storico di Venezia erano 60mila. «Il problema più importante della città è l’eccesso di turismo: 20mila residenti hanno lasciato il centro tra il 2000 e il 2019», ha detto il prefetto di Venezia Vittorio Zappalorto durante un’audizione alla commissione ambiente della Camera, in cui si discuteva dell’emendamento per limitare gli affitti brevi. «Se Venezia è un patrimonio dell’umanità non si può continuare a pensare che l’utilizzo di queste proprietà sia nella piena disponibilità dei privati».
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Finora il comune non ha sfruttato l’emendamento approvato lo scorso anno dal parlamento per consentire solo a Venezia, e non ad altre città, di limitare gli affitti brevi offerti ai turisti da piattaforme online come Airbnb. L’emendamento non contiene direttive precise, ma dà la possibilità al comune di studiare un nuovo regolamento per limitare le autorizzazioni in alcuni quartieri (a Venezia chiamati sestieri) oppure nei periodi di alta stagione.
Il fatto che Venezia sia stata risparmiata dalla danger list è stato accolto con soddisfazione dal governo italiano e dalla Regione Veneto. Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha detto che Venezia non è in pericolo e che il percorso di salvaguardia portato avanti negli ultimi anni continuerà. Il presidente della Regione, Luca Zaia, ha detto che Venezia è salva, mentre per il sindaco Luigi Brugnaro la proposta di inserimento nella lista dei siti in pericolo era molto poco politica e il risultato ottenuto è un riconoscimento degli sforzi che il comune sta facendo.
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