In Brasile è iniziato il processo per l’assalto alle istituzioni dello scorso gennaio
Alla Corte suprema brasiliana, con i primi quattro imputati che rischiano fino a 30 anni di reclusione
In Brasile è iniziato il processo per l’assalto alle istituzioni brasiliane dello scorso 8 gennaio, compiuto da migliaia di sostenitori del presidente uscente Jair Bolsonaro nella sede del parlamento, della Corte suprema e dell’ufficio presidenziale a Brasilia, la capitale del Brasile. L’assalto era stato compiuto per protestare contro il risultato delle ultime elezioni, perse da Bolsonaro contro Luiz Inácio Lula da Silva. L’assalto alle istituzioni, paragonato da molti all’assalto al Congresso degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021, era avvenuto dopo una campagna elettorale particolarmente tesa e violenta in cui Bolsonaro aveva fatto capire di non essere disposto ad accettare una sconfitta.
Il processo appena iniziato si sta tenendo alla Corte suprema del Brasile: i primi imputati sono quattro uomini di età compresa tra i 24 e i 52 anni, accusati di reati che includono associazione a delinquere, rivolta violenta contro lo stato e tentativo di colpo di stato. Rischiano fino a 30 anni di reclusione. Mercoledì c’è stata l’udienza del primo imputato, un uomo di 51 anni chiamato Aecio Lucio Costa Pereira: tra le prove del suo coinvolgimento all’assalto c’è un video girato da lui stesso che lo ritrae davanti a un’aula del Senato, con una maglietta con su scritto “Intervento militare”, mentre partecipa ed elogia l’assalto in corso.
Alla fine dell’udienza solo due giudici su 11 totali della Corte suprema si sono detti a favore di un verdetto di colpevolezza, e con opinioni diverse sull’entità dei reati commessi: per un verdetto definitivo serve comunque un parere favorevole da parte della maggioranza dei giudici della Corte.
Sono inoltre in corso indagini da parte delle procure su oltre mille persone, in questi casi con accuse minori rispetto a quelle delle persone già sotto processo. Tra le persone indagate c’è anche lo stesso Bolsonaro, accusato di aver incitato l’assalto alle istituzioni e di esserne «l’autore intellettuale». Le indagini mirano inoltre a stabilire se e in che misura l’assalto sia stato sostenuto da membri delle forze dell’ordine. Nei giorni immediatamente successivi le forze dell’ordine erano state criticate e accusate non solo di non aver fatto abbastanza per evitare l’assalto, che non si può dire fosse inaspettato, ma di averlo addirittura favorito: il mese scorso con queste accuse erano stati arrestati sette agenti di polizia.
Tra i giudici della Corte suprema c’è Alexandre de Moraes, che è anche a capo della Corte suprema elettorale. De Moraes è considerato uno dei principali oppositori di Bolsonaro e in Brasile è un personaggio piuttosto influente e discusso: negli ultimi anni si è presentato come un tenace difensore della democrazia brasiliana ed è stato molto apprezzato e lodato per la sua intransigenza nei confronti di chi a vario titolo ha attaccato le istituzioni, ma è anche criticato per i suoi metodi aggressivi e la gestione spregiudicata del proprio ruolo e del proprio potere.
Durante l’assalto alle istituzioni del Brasile i sostenitori di Bolsonaro avevano sfondato le barriere attorno agli edifici istituzionali ed erano entrati in massa al loro interno: avevano occupato seggi, spaccato finestre, rovesciato tavoli, danneggiato dipinti e statue all’interno degli edifici, tentato di dare fuoco alla moquette del parlamento e sventolato bandiere dalle finestre e dai tetti degli edifici occupati. L’assalto al parlamento e poi agli altri edifici si era concluso verso le 21 locali, quando la polizia ne aveva ripreso il controllo dopo una serie di scontri violenti.