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  • Martedì 12 settembre 2023

In Italia sono in aumento i casi di Covid

Ma l'andamento non preoccupa esperti e medici perché la buona copertura vaccinale protegge dalle conseguenze più gravi della malattia

tamponi
(Cecilia Fabiano/ LaPresse)
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Nelle ultime settimane molti ospedali italiani hanno segnalato un aumento degli accessi e dei ricoveri a causa del Covid. I sintomi sono sempre gli stessi: febbre alta, mal di testa, spossatezza, problemi respiratori più o meno gravi. L’aumento dei ricoveri è un segnale evidente di una crescita dei casi, confermata dai dati settimanali pubblicati dalla Protezione civile e dall’Istituto superiore di sanità: nella settimana tra giovedì 31 agosto e mercoledì 6 settembre sono stati trovati 21.316 contagi da coronavirus, il 43 per cento in più rispetto alla settimana precedente.

I ricoveri non preoccupano esperti e medici. La protezione assicurata dalla buona copertura vaccinale della popolazione permette di limitare le forme più gravi della malattia che possono portare alla morte. «C’è più virus ma non molta più malattia. Di persone che rischiano la vita per il Covid non ne vediamo da molto tempo e l’ultimo decesso è di molti mesi fa», ha detto Marco Rizzi, direttore del reparto di malattie infettive dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «Le varianti che abbiamo rilevato non danno problemi di resistenza al vaccino».

Anche Francesco Vaia, direttore generale della prevenzione del ministero della Salute, ha detto che l’aumento era atteso perché negli ultimi anni c’è sempre stato un rialzo dopo l’estate per via dei contatti più frequenti durante le vacanze. I dati diffusi dalla Protezione civile indicano che la crescita dei contagi è avvenuta dalla metà di agosto. Al momento non è possibile capire quando si raggiungerà il picco.

L’andamento è in crescita in quasi tutte le regioni italiane, anche se a un livello decisamente più contenuto rispetto alle fasi più gravi dell’epidemia. L’incidenza più alta, cioè il numero di contagi ogni 100mila abitanti, è stata segnalata in Sardegna con 52,5 casi ogni 100mila abitanti. Seguono il Veneto con 48,8 casi ogni 100mila abitanti e il Lazio con 39,7. La regione con l’incidenza più bassa è la Basilicata con 8,4 casi ogni 100mila abitanti. L’incidenza è in aumento soprattutto per le persone con più di 90 anni.

Anche l’occupazione delle terapie intensive è abbastanza contenuta rispetto all’inizio dell’anno. Secondo l’ultimo aggiornamento pubblicato dalla Protezione civile sono 49 le persone ricoverate in terapia intensiva: in molti casi sono persone considerate fragili, con diversi problemi di salute e con sintomi riconducibili al Covid.

Tutti questi dati possono essere utili per capire come stanno andando le cose, ma hanno molti limiti. Da quando è stata dichiarata la fine dell’emergenza, infatti, il sistema di sorveglianza si è molto allentato ed è più complicato tenere sotto controllo la situazione epidemiologica. Sono stati rimossi molti obblighi relativi ai tamponi e gli accertamenti sull’eventuale positività che fanno medici e aziende sanitarie sono meno accurati rispetto agli ultimi tre anni. La maggior parte delle persone ha smesso di fare tamponi e test quando ha sintomi simili a quelli influenzali, di conseguenza è probabile che negli ultimi mesi molte persone abbiano avuto un’infezione da coronavirus senza saperlo, e che magari l’abbiano trasmessa a qualcun altro.

Uno degli indicatori a cui vale la pena fare attenzione riguarda la diffusione delle varianti. In Italia la più diffusa è la EG.5, chiamata Eris, stimata nel 24,2 per cento dei contagi. Attualmente EG.5 è la variante più rilevata in Europa, Stati Uniti e Asia, con una prevalenza globale del 26,1 per cento. Sarà importante continuare a osservare la diffusione delle varianti per capire se anche in Italia circolerà la BA.2.86, già rilevata in almeno tre continenti: è alquanto diversa dalle varianti già in circolazione, con differenze soprattutto nella proteina “spike”, che il virus utilizza per legarsi alle cellule e replicarsi portando avanti l’infezione.

L’identificazione di BA.2.86 ha qualcosa in comune con quanto avvenne con la variante omicron nella seconda metà del 2021. All’epoca quella versione del virus si era fatta notare in alcuni paesi dell’Africa meridionale per avere caratteristiche molto particolari, tali da determinare nei mesi successivi nuove ondate di COVID-19 in buona parte del mondo. Le cose da allora sono però cambiate enormemente grazie all’immunizzazione garantita dai vaccini o a quella (molto più rischiosa) ottenuta con la malattia: secondo gli esperti è improbabile che BA.2.86 possa causare ondate simili a quelle di omicron.

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