Cos’è Temu, il nuovo e-commerce cinese
Punta tutto su prezzi bassissimi e pubblicità online molto aggressive, ma il suo successo preoccupa per vari motivi
In questi giorni la app gratuita più scaricata in Italia, sia su dispositivi con sistema operativo Android che su quelli con iOS, si chiama Temu, ha un’icona arancione e lo slogan «compra da miliardario». Temu (che si pronuncia ti-mu) è un e-commerce cinese che vende un po’ di tutto a prezzi molto bassi e che da alcuni mesi si sta facendo conoscere in Italia e altri paesi occidentali soprattutto per una strategia pubblicitaria online molto aggressiva, che a quanto pare funziona.
Temu è di proprietà della PDD Holdings, la grossa società digitale cinese proprietaria del già affermato e-commerce Pinduoduo, che ha centinaia di milioni di utenti in Cina e di cui Temu non è altro che la versione pensata per il mercato occidentale. A maggio la società ha trasferito la sua sede da Shanghai a Dublino, in Irlanda, dove si trova la sede europea di molte grandi aziende tecnologiche internazionali per via delle politiche fiscali locali molto vantaggiose.
Temu esiste dallo scorso settembre negli Stati Uniti e ad aprile ha aperto in Belgio, Francia, Germania, Polonia e Regno Unito, prima di arrivare anche in altri paesi come Italia, Austria, Finlandia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo e Slovacchia: in molti di questi, come in Italia, è diventata in breve tempo tra le app gratuite più scaricate. Fa parte di quegli e-commerce che puntano tutta la loro comunicazione sui prezzi molto bassi (sul sito si legge che Temu significa “team up, price down”) e un catalogo ricchissimo che va da vestiti e dispositivi tecnologici a giochi e prodotti per la casa.
Temu ricorda molto un altro e-commerce cinese che negli ultimi anni si è diffuso in Occidente, e cioè Shein, il cui modello di produzione e vendita di abbigliamento è stato definito “ultra fast fashion”: tra i due è tra l’altro in corso una causa legale per monopolio negli Stati Uniti. Nella newsletter di Semafor dedicata alla tecnologia, la giornalista Louise Matsakis ha messo in relazione il successo di questi e-commerce con la decisione di Amazon di disattivare le pagine di molti venditori cinesi dopo aver scoperto che avevano messo in piedi sistemi di recensioni a pagamento. «Per anni, i commercianti cinesi hanno venduto serenamente milioni di prodotti a basso costo su Amazon, spesso con margini elevati», scrive Matsakis: «alcuni di questi ora si stanno rivolgendo a piattaforme di e-commerce locali che potrebbero comprendere meglio le loro esigenze, come Shein e Temu».
Come anche Shein, Temu usa molto le collaborazioni con influencer grandi e piccoli per farsi pubblicità online: su TikTok e YouTube è frequente vedere persone che aprono pacchi con il logo di Temu e mostrano in video i loro acquisti. Sul sito di Temu si trovano oggetti in vendita a pochi centesimi e vengono segnalati sconti fino al 97 per cento, con offerte in immediata scadenza e prodotti in esaurimento. Un’altra cosa che il sito di Temu usa per incentivare gli acquisti sono giochi banalissimi che con una rapida interazione permettono di vincere sconti e danno agli utenti una sensazione di eccitazione che punta a farli spendere di più e in alcuni casi a tornare sul sito. Le spedizioni inoltre sono spesso gratuite anche per spese molto piccole e il tempo per fare un reso è di 90 giorni, cosa che spinge gli utenti a fare acquisti impulsivi.
Temu ha anche avviato un fitto programma di sponsorizzazioni su Google ed è frequente che cercando un qualsiasi prodotto online i primi risultati sponsorizzati siano tutti suoi.
Da quando esiste però Temu è stato in diverse occasioni criticato da esperti e istituzioni negli Stati Uniti e in Europa, sia per via del suo modello di business evidentemente insostenibile da un punto di vista etico, sia per l’approccio alla raccolta e all’uso dei dati degli utenti. Come molti siti e applicazioni infatti Temu utilizza sistemi di raccolta dati sui comportamenti degli utenti sulla sua piattaforma, ma anche fuori, per esempio sulla loro posizione geografica e sul modo in cui navigano online. Essendo un e-commerce cinese però il dubbio è che questi dati possano essere usati dal governo autoritario del paese in modi che non rispettano le leggi sulla privacy dei paesi occidentali, per commettere abusi e atti di spionaggio.
Un’inchiesta di Politico ha raccolto diverse testimonianze di esperti di dati, sicurezza e leggi europee su questi temi, che hanno parlato di scarsa trasparenza, «offuscamenti» e «un codice difficile da analizzare»: tutte cose che fanno pensare che Temu abbia qualcosa da nascondere. Apple ha rimandato a lungo la pubblicazione della app di Temu nell’App Store perché non rispettava le sue norme sulla privacy, dichiarava cose ingannevoli sull’utilizzo dei dati e non permetteva agli utenti di impostare la app in modo da non essere monitorati. A marzo Google aveva sospeso invece la app di Pinduoduo perché aveva trovato che conteneva dei malware, cioè dei programmi fatti per danneggiare un computer o violarne la sicurezza.
Al momento è solo un’ipotesi, ma è una questione che è stata sollevata anche per altre applicazioni cinesi come per esempio TikTok, tanto che negli ultimi mesi Canada, Stati Uniti, Belgio, Unione Europea e Regno Unito hanno vietato di scaricarlo sugli smartphone di lavoro dei dipendenti del governo. Lo stesso timore si applica anche all’uso di dispositivi di produzione cinese venduti da Temu, come videocamere di sorveglianza o altri dispositivi che si connettono alla rete di casa e immagazzinano dati. Per il momento comunque non sono note indagini su questo a livello europeo.
Per quanto riguarda il modello di business, Temu sostiene di essere riuscito ad abbattere i costi mettendo direttamente in collegamento i produttori con i clienti nei paesi occidentali, gestendo tutto quello che c’è nel mezzo. I prezzi bassissimi di Temu però hanno portato molte istituzioni ed esperti a ipotizzare che tutta la catena di produzione dell’e-commerce si basi su un sistema di sfruttamento dei suoi lavoratori che non sarebbe una novità per la Cina. Nel caso di Shein lo sfruttamento dei lavoratori nei suoi stabilimenti era stato raccontato nel documentario Inside the Shein Machine: UNTOLD attraverso le riprese fatte di nascosto da un operaio sotto copertura: si parlava di salari attorno ai 550 euro al mese, produzioni di 500 capi a persona al giorno e giornate lavorative da 18 ore con solo una giornata di riposo al mese.
A marzo una commissione della Camera statunitense impegnata ad approfondire questioni che riguardano la Cina aveva presentato un report che definiva Temu un canale di vendita incontrollato per far arrivare negli Stati Uniti merci prodotte con sistemi di sfruttamento.
– Leggi anche: Dovremmo chiudere TikTok?