Cosa rende speciale il Festivaletteratura di Mantova
È stato il primo festival letterario italiano e continua a distinguersi per partecipazione pagante e per non dipendere da editori ed enti pubblici
di Ludovica Lugli
Ogni anno a settembre piazze e aule di alcune città italiane si riempiono per qualche giorno di persone interessate ad ascoltare persone che scrivono libri che dialogano tra loro in occasione dei festival letterari. Per tante lettrici e tanti lettori sono appuntamenti ricorrenti e per le case editrici un’occasione proficua per far conoscere nuovi libri, non solo al pubblico degli eventi ma anche a chi legge i giornali, dato che i festival danno modo di organizzare interviste e scrivere di libri in modo diverso dal solito. Ma non è sempre stato così: fino a qualche decennio fa in Italia di festival culturali dedicati ai libri non ce n’erano. Cominciò tutto nel 1997 con il primo Festivaletteratura di Mantova, il cui successo ispirò tante altre manifestazioni venute dopo.
Ancora oggi il Festivaletteratura spicca in vari modi tra i festival italiani. Non si può sapere con esattezza quale sia il più partecipato, ma quello di Mantova è sicuramente tra i primi, e tra i più grandi è l’unico che richiede di pagare un biglietto (in genere da 6 euro e 50) per la stragrande maggioranza degli eventi, che nonostante questo sono sempre molto partecipati e spesso fanno il tutto esaurito, soprattutto nel weekend.
Si distingue anche perché la programmazione è totalmente indipendente dagli enti pubblici, e quindi dagli orientamenti politici delle amministrazioni che si sono succedute nel tempo: se lo può permettere perché è finanziato con fondi pubblici solo per una piccola parte, l’11 per cento lo scorso anno. Mantiene una significativa indipendenza pure dal calendario delle nuove uscite editoriali, cioè dagli editori: non propone solo presentazioni dei libri pubblicati di recente, quelli disponibili in grandi quantità nelle librerie e su cui le case editrici puntano di più per le vendite.
Infine fin dalla prima edizione ha saputo far venire in Italia famosi autori internazionali, più difficili da incontrare in altre occasioni. Nel 1997 parteciparono Salman Rushdie (con la sua scorta), Abraham Yehoshua, Josephine Hart, Paco Ignacio Taibo II, Hanif Kureishi e David Leavitt. Quest’anno sono venuti o verranno Olga Tokarczuk, premio Nobel per la Letteratura del 2018, Colm Tóibín, Guadalupe Nettel e David Sedaris tra gli altri.
Per tutte queste ragioni e per il tipo di esperienza che riesce a offrire è molto apprezzato sia da chi lo frequenta come pubblico, e spesso si affeziona alla manifestazione, sia dagli addetti ai lavori.
«Sono cinque giorni in cui si vive nell’allucinazione collettiva che la letteratura sia la cosa più importante del mondo», dice Vincenzo Latronico, scrittore che ha più volte partecipato al festival e per l’edizione in corso, che durerà fino al 10 settembre, ha organizzato una serie di incontri. «È incredibile: ovunque ci sono lettori, per strada si incontrano grandi autori e durante gli eventi se ne scoprono di nuovi, e la città è bella ma meno turistica di altre». Certe cose sono difficili da quantificare, ma secondo Latronico il Festivaletteratura è un «autentico portatore sano dell’entusiasmo per la lettura», non pratica quella «celebrazione del libro come qualcosa di intrinsecamente positivo che è molto diffuso e che spesso è solo marketing».
Mantova è una città del sud della Lombardia ed è il capoluogo di una provincia che si allunga tra Emilia e Veneto. È una città piccola, ha circa 50mila abitanti, e il suo centro storico si affaccia su tre laghi artificiali creati lungo il corso del fiume Mincio. Prima che fosse fondato il Festivaletteratura, i suoi principali legami col mondo dei libri erano Virgilio, il poeta latino autore dell’Eneide, che nacque poco fuori città, e Arnoldo Mondadori, il fondatore della più grande casa editrice italiana, nato a sua volta nella provincia.
Il festival letterario dura cinque giorni, da mercoledì a domenica, all’inizio di settembre e si svolge tra cinque piazze e una serie di spazi chiusi adatti alle conferenze, collegati tra loro da strade di impianto medievale in cui il traffico è limitato, in mezzo a chiese e palazzi antichi. Alcuni eventi sono analoghi a canoniche presentazioni: c’è un autore e una persona che lo intervista, si parla principalmente di un libro. Molti altri sono conversazioni a due o più voci, in cui si discute in modo più ampio di due o più libri e del contesto in cui sono stati scritti.
Ci sono serie di eventi curati dalle stesse persone in cui, giorno dopo giorno, si segue un percorso tematico: quest’anno ad esempio le scrittrici Olga Campofreda e Francesca Massarenti hanno curato quattro conferenze su alcune autrici italiane del Novecento i cui libri per anni sono stati introvabili, Alba de Céspedes, Dolores Prato, Fabrizia Ramondino e Fausta Cialente. Latronico invece ha replicato un formato di incontri in cui un critico letterario mette in discussione in qualche modo il valore e la portata di scrittori considerati generalmente “mostri sacri”, come si dice: quest’anno Omero, Italo Calvino, Carlo Emilio Gadda e Philip Roth.
Tra i nomi degli autori invitati, oltre a quelli molto noti, ce ne sono anche di poco conosciuti e questo è un altro aspetto del Festivaletteratura molto elogiato tra gli addetti ai lavori. «C’è una grande ricerca editoriale sugli esordi sia italiani che stranieri», dice Chiara Valerio, scrittrice, editor e curatrice di eventi culturali, che partecipò per la prima volta al festival come autrice esordiente. E molto spesso chi partecipa una volta torna successivamente grazie ai rapporti personali costruiti con molte autrici e autori. Spiega Valerio:
Per lavoro, tra le altre cose, mi occupo di narrativa italiana, e curo la fiera della piccola e media editoria. Lo specifico perché ho imparato che l’editoria – in senso stretto, cioè trovare e pubblicare i libri, e in senso lato cioè pensare a come e a chi far conoscere sia libri che autori – è una faccenda di esche vive. Che significa poi che dietro i libri ci sono le persone. Molto prima che l’editoria diventasse per me un mestiere, questa faccenda delle esche l’ho imparata a Festivaletteratura di Mantova. Nel 2007, facevo ancora ricerca in matematica e la insegnavo, e lo avrei fatto per un altro anno. Ma sono certa di aver imparato lì che dietro i libri ci sono le persone, a Mantova, e che dunque spesso sono le persone che ti portano ai libri.
Il programma prevede anche visite guidate e altre attività più particolari: spettacoli teatrali, concerti, dj set e uscite in barca su uno dei laghi cittadini. Quest’anno c’è anche una escape room, cioè uno di quei giochi in cui si ha un tempo massimo per rispondere a una serie di indovinelli e risolvere un rompicapo, dedicata a Se una notte d’inverno un viaggiatore di Calvino.
Le prime ragioni dell’unicità del Festivaletteratura sono dovute alle sue origini. Intorno al 1995 la Regione Lombardia commissionò all’agenzia britannica Comedia degli studi per capire quali potenzialità turistiche non ancora sfruttate ci fossero nelle città più meridionali del suo territorio. Comedia visitò Mantova, intervistò tutte le persone coinvolte in ambiti culturali nella città – dagli amministratori pubblici ai bibliotecari – e in una relazione finale propose, tra le altre cose, di trasformarla in una “città del libro” sul modello di Hay-on-Wye, una cittadina gallese che ha circa duemila abitanti e una ventina di librerie dell’usato e in cui ogni anno si tiene un importante festival letterario.
«All’inizio non successe nulla», racconta Alessandro Della Casa, membro della segreteria generale del Festivaletteratura, di cui ha fatto parte fin dalla prima edizione, «nel senso che gli enti destinatari che avevano commissionato la ricerca non le diedero seguito. Però a molte delle persone che erano state coinvolte nell’indagine piaceva l’idea di ripensare la città e da lì iniziò il percorso di quello che poi diventò il comitato organizzatore di Festivaletteratura». All’inizio era solo un gruppo di mantovane e mantovani che si occupavano di cose diverse: i librai Carla Bernini e Luca Nicolini (morto nel 2020); la gallerista d’arte ed editrice Marzia Corraini; Laura Baccaglioni e Paolo Polettini, che avevano esperienza nel settore pubblico, la filosofa Annarosa Buttarelli, l’architetto Francesco Caprini e il commercialista Gianni Tonelli. A Mantova li chiamano «i magnifici otto».
Al gruppo piaceva soprattutto l’idea del festival letterario. All’epoca c’erano già fiere librarie (il primo Salone del Libro di Torino fu organizzato nel 1988), ma erano manifestazioni commerciali; c’erano festival culturali ma erano dedicati a teatro e musica; le presentazioni di libri al di fuori dei contesti accademici erano rare. Il gruppo organizzò un dibattito pubblico per presentare l’idea e chiedere disponibilità ad aiutare, coinvolgendo da subito cittadini volontari e aziende disposte a fare da sponsor. Poi contattò Peter Florence, fondatore e all’epoca direttore del festival di Hay, tuttora frequentatore del Festivaletteratura, e attraverso i suoi contatti riuscì a invitare fin dalla prima edizione grandi autori stranieri.
Questo aiuto fu importante soprattutto nei primi anni: oggi il festival non ha bisogno di presentazioni all’estero, anche perché nel tempo gli organizzatori hanno mantenuto stretti rapporti con molti scrittori, che ormai frequentano Mantova periodicamente.
Anche la dimensione collettiva dell’organizzazione è sempre rimasta: tuttora il festival non ha un direttore artistico, ma è organizzato da gruppi di persone («lettori e lettrici fortissimi», dice Valerio). C’è il consiglio direttivo di Mantova Festival Internazionali ETS, l’associazione erede del comitato organizzatore, che è composto da 9 persone, e la segreteria organizzativa, composta da 11 persone che sono le uniche a lavorare alla manifestazione tutto l’anno. La cura editoriale del programma poi avviene con la collaborazione di vari consulenti, come gli scrittori che si occupano degli eventi in serie, che lo fanno gratuitamente.
In generale nessun autore, italiano o straniero, partecipa al festival dietro compenso: sono pagati dall’organizzazione solo vitto e alloggio, eventualmente anche per i familiari accompagnatori. Anche chi si occupa della logistica nei giorni del festival è volontario: sono centinaia di persone, quest’anno circa 550. Latronico, che proprio sul Post ha scritto un articolo molto commentato tra gli addetti ai lavori dell’editoria sul fatto che in Italia tendenzialmente gli scrittori non vengono pagati per presentare i libri propri e altrui, non ci vede un problema. «Il punto non è che tutte le presentazioni vanno pagate, ma che se qualcuno si arricchisce non è giusto che chi produce veramente un valore non ne abbia una parte. A Mantova non stai lavorando per qualcuno: tutto è basato sul volontariato e tu stai collaborando alla costruzione di qualcosa».
Nel 1997 furono venduti 15mila biglietti per gli eventi a pagamento. Nel 2006, decennale della nascita del comitato organizzatore, circa 50mila. Negli anni Dieci il numero di partecipazioni e di eventi si è più o meno stabilizzato, la pandemia da coronavirus ha imposto un iniziale ridimensionamento e poi ha portato a una lieve diminuzione dei biglietti perché è stato ridotto il numero dei posti agli eventi a pagamento. Nel 2022 i biglietti venduti per i 317 eventi in programma sono stati 42mila: non sono nominali e una stessa persona può acquistarne diversi per un gruppo, quindi non si può sapere esattamente a quante persone corrispondano.
Altri festival letterari sostengono addirittura di avere 200mila partecipanti, ma sono stime che valgono quel che valgono perché principalmente autopromozionali, e non derivano da calcoli sul proprio pubblico attraverso i biglietti venduti. Lo fa anche Festivaletteratura per gli eventi gratuiti e ha stimato 14mila partecipanti nel 2022. Per quanto riguarda la provenienza, secondo i dati raccolti dall’organizzazione attraverso i biglietti e dal lavoro di alcuni studenti che hanno scritto tesi sul festival, il 20 per cento del pubblico è della città di Mantova, un altro 20 per cento della provincia e il restante 60 per cento di altre province italiane, principalmente del Nord.
Sempre nel 2022 i biglietti hanno coperto il 17 per cento delle spese del festival. Del resto, solo l’11 per cento è stato finanziato con soldi pubblici. È per questo che il Festivaletteratura è indipendente da comune, provincia e regione: la prima edizione era stata finanziata per il 62 per cento da fondi pubblici, ma poi la quota è sempre diminuita.
Da anni ormai il grosso è finanziato da privati, aziende e fondazioni: il 72 per cento nel 2022. Normalmente gli sponsor privati non sono coinvolti nella stesura del programma, ma possono scegliere solo di associare il proprio marchio a uno o più eventi specifici. Uno dei finanziatori principali di Festivaletteratura è Eni, la più grande azienda italiana di combustibili fossili, partner del festival dal 2008 e che invece ogni anno organizza anche un proprio evento. In Italia Eni finanzia anche molti altri eventi culturali e giornali, in controtendenza rispetto a quanto succede in altri paesi in cui le sponsorizzazioni di aziende simili sono molto criticate e quindi sempre più evitate da enti e organizzazioni culturali. Per quanto riguarda Festivaletteratura, si deve a Eni tra il 5 e il 7 per cento dei finanziamenti.
L’ambizione dell’organizzazione di Festivaletteratura non è quella di una continua crescita del numero di partecipanti e della manifestazione in generale. Non solo perché «gli spazi non permetterebbero di fare di più», come dice Della Casa, ma anche perché ha a cuore cose diverse. Arianna Tonelli, che fa sempre parte della segreteria organizzativa e si occupa dell’economia della manifestazione, dice: «Gli eventi culturali non si possono valutare solo in base ai biglietti staccati. La cultura dovremmo giudicarla sulla qualità».
Tra le cose che non si possono quantificare numericamente ci sono i tanti momenti memorabili citati da autori, volontari e partecipanti (tra gli altri: una studentessa che potè chiacchierare con Nick Hornby mentre un volontario lo portava in auto da Milano a Mantova e incluse la conversazione nella sua tesi di laurea). I ricordi più significativi di Valerio invece sono:
Nadine Gordimer che dice che l’apartheid finirà quando sarà morto l’ultimo bambino bianco che ha visto qualcuno impedire a un bambino nero di entrare in biblioteca. Anna Nadotti sul palco con Antonia S. Byatt che alla fine dell’incontro, mentre mi sto facendo firmare la copia, aggiunge la mia risposta a quella di Byatt sul campo lontano. Wole Soyinka che dice che la prima cosa difficile che ha dovuto fare in vita sua è stata imparare a scrivere nella lingua dei colonizzatori. Michela Murgia che dice che in Grazia Deledda ci sono le banshee. L’incontro con Enrique Vila Matas e quello con Ena Marchi. Prima di tutto Simonetta Bitasi e Marella Paramatti che mi hanno scelto e accolto per Scritture Giovani 2007.