I rischi del sistema di manutenzioni sulle ferrovie italiane
Diversi manutentori dicono che le condizioni di lavoro sono poco sicure perché non è sempre semplice ottenere l’interruzione della circolazione dei treni
Nel video dei momenti che precedono l’incidente ferroviario avvenuto nella notte tra il 30 e il 31 agosto a Brandizzo, vicino a Torino, si vede uno dei cinque operai morti, Kevin Laganà, mentre riceve alcune istruzioni. «Ragazzi se vi dico “treno” andate da quella parte», dice un uomo che secondo le prime ricostruzioni sarebbe Antonio Massa, il tecnico di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) addetto al cantiere in cui lavoravano gli operai. Laganà sorride e fa qualche battuta, poi riprende alcuni colleghi intenti a togliere il pietrisco sotto i binari. «Non abbiamo ancora l’interruzione», dice.
Gli operai iniziano a lavorare consapevoli di non avere l’autorizzazione. Laganà non pare spaventato o preoccupato mentre si avvicina al binario. Nemmeno tra i colleghi sembra esserci ansia. Guardando il video, la prima impressione è che per la squadra non sia così strano lavorare in condizioni molto rischiose. È un atteggiamento in cui si riconoscono diversi manutentori a cui il Post ha chiesto di spiegare come funzionano le procedure di sicurezza e l’organizzazione delle manutenzioni, un sistema complesso da cui emergono problemi, rischi e storture piuttosto radicate.
Spesso si legge che la rete ferroviaria italiana è tra le più sicure in Europa. Effettivamente è così: i controlli sono molto rigidi e sono quasi tutti automatizzati, soprattutto sulle reti ad alta velocità. Ma una cosa è la sicurezza della circolazione, un’altra è quella del personale addetto alla manutenzione che è sottoposto a un sistema di controlli diverso e soprattutto datato. La normativa di riferimento si chiama “istruzione protezione cantieri”, il cui impianto generale risale al 1986. Negli anni successivi il testo è stato modificato più volte.
Semplificando molto, le norme prevedono specifiche attività di vigilanza e controllo in particolare quando gli operai lavorano vicino ai binari. La distanza che fa scattare misure di sicurezza più rigide varia a seconda della velocità massima che i treni possono percorrere sulla tratta interessata dai lavori: un metro e mezzo dalla rotaia sulle tratte con la velocità massima di 140 chilometri orari, un metro e 55 centimetri sulle tratte da 160 chilometri orari, come nel caso di Brandizzo, e così via fino ai due metri e 70 centimetri per le tratte con velocità superiori a 300 chilometri orari.
Fino al 2010 le modalità per lavorare in sicurezza erano due: l’interruzione della circolazione e l’avvistamento del treno, una pratica molto pericolosa perché presuppone il controllo a vista dei binari e il posizionamento a mano di un segnale sui binari per avvertire i macchinisti dei lavori in corso. L’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali, l’ANSF, introdusse nuove prescrizioni con il decreto 16 del 2010 che vietò di lavorare semplicemente controllando a vista l’eventuale arrivo del treno.
Il decreto fu approvato in seguito a un grave incidente ferroviario avvenuto a Motta Sant’Anastasia, in provincia di Catania. Il primo settembre del 2008 due operai, Fortunato Calabrese di 58 anni e Giuseppe Virgillito di 35, morirono travolti da un treno. L’inchiesta ricostruì che i segnali di avvertimento furono posizionati sui binari soltanto dopo l’incidente. Nessuno stava controllando. Il caposquadra fu condannato per omicidio colposo plurimo e calunnia, mentre il capostazione per omicidio colposo plurimo.
L’abolizione dell’avvistamento non entrò subito in vigore. Ci furono diversi scambi di opinioni e note tra RFI e ANSFISA sulle conseguenze della rimozione delle manutenzioni con avvistamento del treno, poiché c’era il timore che interrompere la circolazione per tutti i lavori creasse troppi disagi e ritardi.
Di fatto quella modalità così rischiosa fu abolita del tutto soltanto nel 2021, tra l’altro in seguito ad altri incidenti. «C’è un aspetto che nessuno ha ancora evidenziato, e cioè che quasi tutti gli incidenti avvenuti negli ultimi anni sono dovuti alla mancata interruzione della circolazione», dice un manutentore che vuole rimanere anonimo per evitare ripercussioni lavorative. «Con la regolare interruzione non si è mai fatto male nessuno».
Le interruzioni sono di tre tipi. L’interruzione accidentale viene ordinata non per lavori di manutenzione ordinaria, ma soltanto nei casi di problemi improvvisi, come frane o alberi caduti sui binari. Le interruzioni programmate consistono nell’organizzazione molto precisa di un blocco della circolazione per lavori significativi: in questo caso viene lasciato e assicurato un periodo di tempo ai manutentori, organizzato e prenotato con un certo anticipo, per intervenire sulla rete. Il terzo tipo è la cosiddetta tecnica, utilizzata per manutenzioni molto brevi: in sostanza viene sfruttato l’intervallo libero tra due treni.
Sia per l’interruzione programmata che per l’interruzione tecnica, la squadra di manutentori deve annunciare la sua presenza almeno un’ora prima dell’inizio dei lavori a chi regola la circolazione, cioè al dirigente di movimento o al dirigente della centrale operativa. I dirigenti prendono in carico la richiesta e successivamente comunicano alla squadra di operai l’inizio dell’interruzione che dà il via ai lavori.
La comunicazione avviene con una telefonata registrata in cui chi regola la circolazione legge e detta una serie di informazioni alla cosiddetta scorta, un manutentore di RFI che sorveglia i lavori. La scorta compila sotto dettatura il modulo (identificato con la sigla M.40) e successivamente rilegge tutto al dirigente da cui ha ricevuto le informazioni. Infine i due si scambiano l’orario di trasmissione e il codice di registrazione del messaggio. In questo modo tutte le comunicazioni, come è avvenuto per l’incidente di Brandizzo, non possono perdersi.
La scorta deve a sua volta comunicare formalmente l’interruzione al capo squadra per l’inizio dell’intervento. Gli stessi passaggi devono essere fatti al termine dei lavori per concludere la manutenzione. Dalle prime ricostruzioni dell’incidente di Brandizzo sembra che la scorta abbia consentito alla squadra di lavorare sui binari senza avere l’autorizzazione. Dalla registrazione delle chiamate emergerebbe che la dirigente di movimento della stazione di Chivasso avrebbe detto per tre volte di non aver interrotto la circolazione per via di un treno in ritardo, lo stesso che poi avrebbe travolto gli operai.
Tutti i manutentori sentiti dal Post dicono che spesso, anche nei casi di interruzioni programmate con largo anticipo, il tempo di lavoro è molto meno del previsto. «Capita che un treno sia in ritardo oppure che ci sia qualche necessità improvvisa che limita la finestra temporale per intervenire», dice un manutentore che preferisce rimanere anonimo. «In quel momento la scorta è spinta a dire: iniziate a lavorare, poi scriviamo il modulo. Accade soprattutto nei lavori più semplici, quelli in cui la sicurezza è più sottovalutata. Se avessimo strumenti per conoscere in tempo reale la circolazione dei treni sarebbe tutto più sicuro: se uso strumenti e comunicazioni che risalgono a decenni fa è chiaro che i rischi aumentano».
Uno dei problemi su cui insistono diversi manutentori è la progressiva diminuzione di una risorsa essenziale per lavorare in sicurezza, il tempo.
Al di là degli ammodernamenti fatti per la circolazione dei treni ad alta velocità, la rete ferroviaria italiana non è cresciuta di pari passo con il traffico. In molte regioni, per esempio in Lombardia, circola una quantità di treni superiore a quanto la rete possa sopportare e per questo i guasti e i ritardi sono frequenti. Inoltre le molte tratte a binario unico imporrebbero interruzioni totali con il conseguente blocco della circolazione e disagi per le compagnie ferroviarie, soprattutto quelle che si occupano di trasporto merci, dato che le interruzioni sono in genere notturne.
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Il mancato sviluppo ha reso complicati i rapporti tra chi gestisce la circolazione e chi deve fare le manutenzioni. «Le interruzioni sono un problema per la circolazione, anzi diciamo chiaramente che sono una grossa rottura di scatole per chi deve far circolare i treni», dice un manutentore. «L’interesse di RFI è far passare i treni in orario. Di certo una scorta non ha interesse a mandare gli operai sui binari allo sbaraglio, lo fa perché è indotta da un sistema consolidato di lavoro. Certo, si può sempre rifiutare di lavorare senza autorizzazione, ma è comunque una scelta non facile: bisogna scegliere tra la responsabilità di lavorare in sicurezza e la responsabilità di lasciare un’insicurezza sulla rete. Cosa è successo a Pioltello?».
La domanda retorica si riferisce all’incidente ferroviario avvenuto vicino a Milano il 25 gennaio 2018 in cui morirono tre passeggere del treno Cremona-Milano: Alessandra Pirri, Ida Maddalena Milanesi e Pierangela Tadini. Altre cinquanta persone rimasero ferite. Le indagini della polizia ferroviaria stabilirono che il deragliamento fu causato dal distacco di un pezzo di rotaia di 23 centimetri in corrispondenza di un giunto che univa i binari e che era difettoso da mesi.
Già nell’agosto del 2017 un tecnico aveva segnalato ai suoi superiori che il pezzo di binario doveva essere sostituito «quanto prima». Nel novembre del 2017 fu posizionata una tavoletta di legno per sostenere il giunto e nello stesso mese i dirigenti di RFI programmarono la sostituzione per l’aprile del 2018. Per la procura l’incidente di Pioltello fu causato da una serie di omissioni nella manutenzione e nella sicurezza. Gli operai, sentiti dai giudici come testimoni nel processo ancora in corso, hanno spiegato che il giunto poteva essere sostituito in circa tre ore e mezza di lavoro con l’interruzione del traffico sulla linea. Ma l’interruzione fu programmata troppo tardi per la necessità di evitare problemi alla circolazione.
Un ex operaio specializzato del nucleo manutentivo di RFI, ascoltato lo scorso maggio durante il processo, ha detto che durante l’intervento di manutenzione del giunto danneggiato non era stata interrotta la circolazione, quindi il lavoro era stato fatto con la modalità di avvistamento dei treni. «Io facevo la scorta: quando arrivavano i treni dicevo alla squadra di uscire dal binario, guardavo i treni sia a destra che a sinistra, loro erano sul binario che intervenivano, io facevo la scorta», ha detto. «Se c’era il passaggio dei treni […] fischiavo e loro dovevano uscire fuori».
I magistrati hanno poi chiesto se per questo tipo di interventi, piuttosto importanti, era prevista l’interruzione della linea. «Eh, non sempre ce la davano», ha risposto l’ex operaio. «Questioni di movimento treni, non lo so, poi bisogna vedere: se l’intervento era lungo si chiedeva e se non ce la davano intervenivamo tra un treno e l’altro».
Enrico Calabrese e Marco Bona, avvocati dei familiari delle vittime, hanno detto che finora dai fatti sembra emergere un «modus operandi non occasionale», con «direttive assai pericolose» per i lavoratori e molti «dubbi sull’adeguatezza tecnica dei sistemi di comunicazione e di sicurezza». Secondo la procuratrice capo di Ivrea, Gabriella Viglione, «bisogna capire se procedere con i lavori senza avere il permesso è una sciagurata scelta delle persone coinvolte o, al contrario, se in questo comportamento possano esserci delle abitudini, delle consuetudini e delle richieste».
Il segretario nazionale della CGIL, Maurizio Landini, sostiene che tutto il sistema della manutenzioni vada rivisto e cambiato. «Sarebbe non accettabile pensare di ridurre quello che è accaduto alla responsabilità personale di qualcuno», ha detto. «È il momento di fare una procura nazionale sulla sicurezza e mettere insieme le persone che hanno le competenze, investire sugli ispettorati sul lavoro e sulla sicurezza».
Martedì durante un’audizione alla commissione trasporti della Camera l’amministratore delegato di RFI, Gianpiero Strisciuglio, ha negato con forza che la procedura seguita a Brandizzo sia una consuetudine: «Il sistema di regole di RFI è un sistema che non ammette deroghe, questo è il valore fondamentale nel sistema di gestione della sicurezza ferroviaria. I lavori con l’occupazione dei binari sono sempre effettuati in assenza di circolazione dei treni e comunque svolti in intervallo orario prestabilito, che deve essere formalmente autorizzato per iscritto dall’operatore della circolazione dei treni al richiedente l’interruzione».