Un’altra canzone dei Tears for fears

E di qualcun altro, con una lunga storia

(Kevin Winter/Getty Images)
(Kevin Winter/Getty Images)

Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Che estate è stata? Non chiedete a me dei tormentoni dell’estate, che io non ne ho sentito neanche uno, se sono esistiti. Dovete chiedere a Matteo Bordone, forse. Il mio rapporto con le programmazioni stagionali e le canzoni “che si sentono ovunque” è ormai quello di Michele Serra coi social network. Ne sono tagliato fuori e ho l’impressione di vivere benissimo, ma forse me la racconto e chissà cosa mi perdo. Ma intanto bentornati, in compenso ho visto un sacco di documentari sulla musica, di cui vi dirò.
Ho trovato in un articolo sul New Yorker sulla pizza un passaggio interessante per indicare la sterilità inconsistente di molte discussioni sui gusti, che riguardano anche le canzoni. C’è una quota di qualità riconoscibile e ammirevole (quando c’è), nella pizza e nelle canzoni, ma anche una quota di gradimento che è del tutto personale e non argomentabile.
Al concerto dei National di New York hanno fatto un singalong davvero “da brividi”.
Il Post ha raccontato il disco dal vivo di Joni Mitchell e l’imprevisto arrivo nella fama mainstream delle Indigo girls.
Ho approfittato delle vacanze anche per studiare per questa newsletter, e riempire dei buchi di conoscenza sul rock dei primordi che mi portavo dietro da sempre, confondendo nomi di band che per me si somigliavano tutti: Little Feat, Blind Faith, Humble Pie, Canned Heat.
È in corso una ricerca di un basso di Paul McCartney sparito da mezzo secolo.
Qui c’è quell’articolo che Michela Murgia scrisse sul Post sulla sua passione per i BTS e su altre cose.
A proposito di Michele Serra, aderisco alle sue considerazioni sulle canzoni di Toto Cutugno. Con tutto il comprensibile dispiacere, non possiamo diventare così indulgenti e populisti da apprezzare persino il contributo dato da Toto Cutugno alla storia della musica. Né all’immagine dell’Italia: se quello che esportiamo è L’italiano, non stiamo facendo niente di buono (posso salvare qualche passaggio di Gli amori, sopra la sufficienza). Con tutto il rispetto per chi amasse L’italiano (o la pizza all’ananas), per le insondabili ragioni personali di cui sopra.

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