Le carceri dell’Ecuador sono sempre più violente
Sono uno dei principali luoghi di attività della criminalità organizzata, e il governo sta facendo fatica a recuperarne il controllo
Negli ultimi giorni in Ecuador ci sono stati diversi episodi di violenza, legati soprattutto a proteste nelle carceri e scontri tra le forze dell’ordine e i detenuti. La settimana scorsa sono esplose due bombe nella capitale Quito, la prima nei pressi dell’edificio in cui in passato si trovavano gli uffici del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, noto con l’acronimo SNAI, e la seconda vicino alla sua attuale sede. Altre due esplosioni si sono verificate nel sud del paese, al confine con il Perù. Non ci sono stati feriti, ma dieci persone sono state arrestate. Inoltre, il giorno successivo alle esplosioni 50 guardie penitenziarie e sette poliziotti sono stati presi in ostaggio dai detenuti in sei diverse prigioni.
Da anni in Ecuador gli episodi di violenza sono sempre più frequenti, ma la situazione è peggiorata negli ultimi mesi fino ad arrivare all’assassinio dell’ex candidato presidenziale Fernando Villavicencio, ucciso il 9 agosto a colpi di arma da fuoco al termine di un comizio. Molti degli scontri hanno a che fare con le dinamiche del narcotraffico e partono, o perlomeno coinvolgono, le carceri del paese, da tempo sovraffollate e in cui sono rinchiusi migliaia di membri delle gang criminali. Di conseguenza, alcuni istituti penitenziari si sono di fatto trasformati in centri per le operazioni dei narcotrafficanti, e il governo ha perso il controllo su molte delle prigioni più grandi e importanti.
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Secondo le autorità, almeno una delle quattro esplosioni degli ultimi giorni sarebbe un tentativo di ritorsione nei confronti della polizia, che mercoledì aveva perquisito il carcere di Cotopaxi, nella città meridionale di Latacunga, per cercare armi, esplosivi e altri ordigni pericolosi. Il presidente Guillermo Lasso ha detto che in questo modo le organizzazioni criminali cercano di «intimidire lo stato», ma che il governo «non intende fare passi indietro» sulle misure prese per «catturare i criminali, smantellare le bande e riportare la pace nelle carceri».
Il clima di tensione presente nelle carceri del paese ha avuto un ruolo importante anche nell’omicidio di Villavicencio, che in passato aveva lavorato come giornalista e si era occupato spesso dei legami tra politica e narcotraffico. Il 9 agosto, poco prima di essere ucciso, Villavicencio aveva detto di aver ricevuto minacce di morte che secondo lui provenivano da José Adolfo Macìas, il leader della gang criminale dei Choneros noto come “Fito”, in carcere dal 2011. «Se continuo a nominare Fito e i Choneros mi uccideranno», aveva detto in un’intervista televisiva. Il 13 agosto Fito è stato trasferito in una prigione di massima sicurezza nella città di Guayaquil nota come “La Roca”, ossia “la roccia”. L’operazione ha coinvolto 4mila persone tra soldati e poliziotti, che oltre a gestire il trasferimento hanno anche perquisito il carcere in cui si trovava Fito e confiscato moltissime armi, munizioni ed esplosivi.
Esta madrugada en seguimiento del Decreto 823, se ha ejecutado el traslado de alias Fito a la cárcel de La Roca por la seguridad de los ciudadanos y de los detenidos. El Ecuador va a recuperar la paz y la seguridad.
De generarse reacciones violentas, actuaremos con toda la fuerza… pic.twitter.com/N2cwoEH2zp— Guillermo Lasso (@LassoGuillermo) August 12, 2023
Oltre che più frequenti, gli scontri nelle carceri dell’Ecuador stanno diventando anche particolarmente cruenti. Nel maggio del 2022, per esempio, almeno 44 persone furono uccise nello scontro tra due gruppi rivali nel carcere di Santo Domingo de los Tsáchilas, circa 80 chilometri a ovest di Quito. La prigione è progettata per ospitare 1.100 detenuti, ma al tempo ce n’erano circa 1.700. Un’altra tra le prigioni più problematiche e sovraffollate è quella del Litoral, a Guayaquil: ha una capienza da 9.500 persone, ma nei primi tre mesi del 2023 ne ospitava oltre 12mila. Lì nell’ottobre del 2021 una serie di scontri tra bande rivali causò oltre 100 morti, seguiti da altri 68 decessi meno di un mese dopo. Lo scorso luglio altre 31 persone furono uccise in dinamiche simili, e nel carcere furono ritrovati corpi mutilati e decapitati.
A causa dell'intensificarsi delle violenze, a luglio alcuni detenuti in diverse prigioni del paese hanno iniziato uno sciopero della fame per chiedere migliori condizioni igieniche e sanitarie, e oltre 90 agenti penitenziari sono stati presi in ostaggio in cinque diversi istituti.
In risposta, il 24 luglio il presidente Lasso ha dichiarato uno stato di emergenza di 60 giorni in tre aree costiere particolarmente colpite dalle violenze, e autorizzato le forze dell'ordine a entrare negli istituti penitenziari per riprenderne il controllo (o almeno provarci). «Non possiamo negare che la criminalità organizzata ha ormai permeato gli apparati dello Stato, le organizzazioni politiche e tutta la società», ha detto Lasso. «È un problema che esiste da oltre un decennio».
Intanto, in Ecuador la campagna elettorale per le elezioni presidenziali durerà ancora qualche settimana: il 20 agosto si è tenuto il primo turno, ma nessun candidato ha ottenuto abbastanza voti per essere eletto al primo turno e si andrà quindi al ballottaggio, in programma il 15 ottobre. I due candidati rimasti in corsa sono Luisa González, del partito di sinistra Movimiento Revolución Ciudadana, e l’imprenditore Daniel Noboa Azin, centrista e figlio di un imprenditore multimilionario attivo nel settore della coltivazione delle banane. Data la situazione esasperata, il timore è che le elezioni si svolgano in quello che molti giornali hanno definito un «clima di terrore» e di enorme sfiducia nei confronti delle istituzioni.
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