• Sport
  • Lunedì 4 settembre 2023

Le volte in cui l’Italia ha battuto gli Stati Uniti a basket

In 14 precedenti ufficiali è successo solo due volte, ma l’amichevole prima delle Olimpiadi del 2004 è rimasta nella storia

di Pietro Cabrio

Carlton Myers tra Vince Carter e Kevin Garnett alle Olimpiadi di Sydney (Hamish Blair /Allsport)
Carlton Myers tra Vince Carter e Kevin Garnett alle Olimpiadi di Sydney (Hamish Blair /Allsport)
Caricamento player

Martedì la Nazionale maschile di basket gioca contro gli Stati Uniti i quarti di finale dei Mondiali. È una partita a suo modo storica per due motivi: l’Italia non arrivava ai quarti di un Mondiale da venticinque anni e ora ci torna per giocare contro la Nazionale più famosa e ammirata del basket, che rimane tale anche se a questi Mondiali non si presenta con i suoi giocatori più famosi. Di titoli mondiali gli Stati Uniti ne hanno vinti cinque, più di tutti (a pari merito con la Jugoslavia), e soprattutto hanno vinto sedici tornei olimpici sui venti disputati dal 1936 a oggi.

Nella storia del basket internazionale Italia e Stati Uniti si sono incontrate 27 volte, 14 delle quali in tornei ufficiali. Il bilancio è nettamente a favore degli Stati Uniti, che contano 18 vittorie contro le 9 dell’Italia. In ambiti ufficiali il divario è ancora più ampio: 12 vittorie degli Stati Uniti, 2 dell’Italia.

Ai Giochi olimpici l’Italia non ha mai vinto. Il primo confronto fu a Roma nel 1960 e finì 88-54 per gli Stati Uniti. L’ultimo incontro risale a Sydney 2000 e si concluse con un netto 93-61. Ai Mondiali, che per gli Stati Uniti sono perlopiù un evento di preparazione alle Olimpiadi, l’Italia riuscì a vincere 81-80 nel 1978 e 66-64 otto anni prima. In entrambe le edizioni gli Stati Uniti si presentarono però senza professionisti, come erano soliti fare all’epoca (il primo “dream team” di giocatori NBA fu messo insieme per le Olimpiadi del 1992 come risposta alla sconfitta contro l’Unione Sovietica nel 1988). L’Italia invece i professionisti li aveva, e tra questi c’erano Dino Meneghin, Edoardo Rusconi, Carlo Recalcati e Pierluigi Marzorati.

L’ultima vittoria italiana in assoluto fu in una partita amichevole giocata a Colonia, in Germania, il 3 agosto del 2004 come preparazione alle Olimpiadi che sarebbero cominciate una decina di giorni dopo in Grecia. Quella vittoria, nonostante fosse un’amichevole, è ricordata ancora oggi per quello che significò e per i giocatori che c’erano in campo, tra i quali Gianmarco Pozzecco, l’attuale allenatore della Nazionale.

L’allenatore degli Stati Uniti nell’estate del 2004 era Larry Brown, che pochi mesi prima aveva vinto il titolo NBA con i Detroit Pistons. La squadra americana era composta dai già esperti Tim Duncan, vincitore di cinque titoli NBA tra il 1999 e il 2014, Allen Iverson, miglior giocatore del campionato nel 2001, e Lamar Odom dei Los Angeles Lakers. C’erano poi i tre giocatori che un anno prima avevano reso il draft del 2003 uno dei più influenti nella storia del basket NBA: LeBron James, Carmelo Anthony e Dwyane Wade, ancora giovani ma destinati a grandi carriere.

A sentirli oggi quei nomi messi insieme nella stessa squadra sembrano insuperabili (e a loro se ne aggiungevano altri, noti ai più esperti, come Carlos Boozer e Amar’e Stoudemire), ma all’epoca gli Stati Uniti avevano dei grossi problemi. Nei mesi precedenti quasi tutti i giocatori più esperti, cioè quelli che avevano vinto gli ultimi tre titoli olimpici, non avevano dato la loro disponibilità alla convocazione. Per sostituirne nove su dodici la NBA propose allora di coinvolgere quelli che riteneva sarebbero stati i suoi futuri campioni, anche per scopi promozionali. Ma erano appunto giovani, inesperti e senza dei riferimenti in quell’ambiente.

«Non mi ero meritato un posto in quella squadra. Era l’estate dopo il mio anno da esordiente. Pensavo solo a uscire con gli amici, alla mia famiglia e ad allenarmi con Cleveland» ha ricordato di recente LeBron James in un documentario di Netflix su quel periodo del basket americano. Wade invece ha raccontato: «Avevo finito la mia prima stagione in NBA, ero a Chicago con la mia famiglia e mi chiamarono per far parte della squadra olimpica. Risposi: “Cosa??”».

Fu con queste premesse che gli Stati Uniti si avvicinarono al maggior torneo internazionale impreparati come squadra e inconsapevoli della grande crescita avuta dal basket nel resto del mondo. I problemi si notarono già in fase di preparazione e a evidenziarli fu proprio l’Italia, che poteva contare invece sul miglior gruppo della sua storia recente.

L’allenatore era Carlo Recalcati, che oggi è assistente di Pozzecco in Nazionale. Pozzecco era il playmaker, aveva trent’anni, non avrebbe avuto un’altra occasione per battere gli Stati Uniti, almeno da giocatore, e nemmeno per vincere una medaglia olimpica. Lo stesso valeva per gli altri di quella generazione, come Giacomo “Gek” Galanda e Denis Marconato. Il livello della squadra era poi tenuto alto da Massimo Bulleri, Matteo Soragna e Gianluca Basile, che come gli altri erano membri delle tre migliori squadre italiane dell’epoca — Benetton Treviso, Mens Sana Siena e Fortitudo Bologna — o lo sarebbero diventati nei mesi successivi.

Per Basile in particolare quella partita segnò una svolta. Contro gli Stati Uniti segnò 25 punti (fu il secondo miglior realizzatore della gara) mettendo in grande difficoltà il suo marcatore, LeBron James, segnando in particolare una serie micidiale di canestri da tre punti, di cui cinque nel solo terzo quarto. Alle Olimpiadi sarebbe stato altrettanto decisivo, e l’anno dopo venne ingaggiato dal Barcellona, con cui giocò fino al 2011 diventando anche campione d’Europa.

Il risultato finale fu 95-78. Durante la partita l’Italia arrivò a un massimo di 21 punti di scarto, Galanda fu il miglior marcatore, con 28 punti, e Pozzecco il migliore negli assist, nonché uno dei più ispirati in campo, tanto che dopo un canestro sul finale in cui superò in penetrazione Allen Iverson si fermò e fece un inchino al pubblico. Poi raccontò: «In spogliatoio scommettevamo su quanti ne avremmo presi. Per Bulleri una sessantina. Poi qualcuno disse che avremmo potuto perdere anche solo di venti. Scoppiammo tutti a ridere».

Quella partita fu un’anticipazione di quello che accadde poche settimane dopo ai Giochi di Atene, dove l’Italia vinse la sua seconda e ultima medaglia olimpica arrivando seconda proprio davanti agli Stati Uniti, battuti in semifinale dall’Argentina. Per Carmelo Anthony in quei mesi la Nazionale statunitense «toccò il fondo». Negli anni successivi fu necessario rifondarla coinvolgendo tutti i migliori giocatori disponibili, compreso Kobe Bryant, per tornare alla vittoria.

– Leggi anche: Trent’anni fa morì Drazen Petrovic