La nuova teoria secondo cui i nostri antenati rischiarono di estinguersi
Sostiene che 930mila anni fa una specie di ominini arrivò a contare meno di 1.300 individui, ma è ancora tutta da confermare
Uno studio pubblicato la scorsa settimana su Science ha proposto una nuova ipotesi sulla storia dell’evoluzione umana che, se confermata da altre ricerche, potrebbe farci scoprire qualcosa dell’ultimo antenato comune a noi e ai Neanderthal, la specie molto vicina alla nostra che visse tra mezzo milione e qualche decina di migliaia di anni fa. Secondo lo studio, realizzato da un gruppo di ricerca internazionale, 930mila anni fa una specie di ominini (il termine per definire le specie più vicine agli esseri umani moderni) da cui discendiamo rischiò l’estinzione, arrivando a contare meno di 1.300 individui, forse a causa di un cambiamento climatico. E solo dopo 117mila anni la popolazione si riprese, aumentando di numero.
L’ipotesi è basata su un’analisi statistica del DNA di 3.154 persone viventi che provengono da 50 diverse zone del mondo: il genoma di ognuno di noi deriva da quello dei suoi antenati e nelle mutazioni che presenta contiene indizi della loro storia (il genoma è tutto il DNA che troviamo all’interno di una cellula). Prendendo in considerazione le differenze tra i genomi esaminati, il gruppo di ricerca ha indagato sulle possibili dinamiche demografiche responsabili dell’attuale diversità genetica tra le popolazioni umane. Ha poi concluso che a un certo punto del nostro passato accadde qualcosa che fece da “collo di bottiglia” alla variabilità genetica, cioè la contenne, e causò una grossa differenza tra il DNA dei nostri antenati e quello degli altri primati.
Il collo di bottiglia sarebbe stato appunto una grande diminuzione della popolazione della specie da cui poi si evolse Homo sapiens, la nostra. Gli autori dello studio hanno stimato che la popolazione si ridusse del 98,7 per cento, lasciando in vita meno di 1.280 individui. Rischiò dunque di estinguersi: se fosse successo, Homo sapiens non sarebbe mai esistito.
Secondo le ipotesi degli scienziati le cose sarebbero andate così: a partire da sette milioni di anni fa, e nei sei milioni di anni successivi, alcuni primati che vivevano in Africa svilupparono un cervello di grandi dimensioni e un’altezza superiore agli altri. Secondo la nuova ipotesi, 930mila anni fa una specie discendente da questo ramo evolutivo dovette affrontare una grave carenza di cibo dovuta a un cambiamento climatico, una fase di raffreddamento che conosciamo grazie agli studi geologici. Secondo la teoria, tale cambiamento causò la morte della stragrande maggioranza dei nostri antenati diretti, ma circa 1.300 di loro sopravvissero. Passarono poi circa 117mila anni prima che la popolazione tornasse a espandersi in modo significativo verso l’Asia e l’Europa, dando origine a specie diverse: i Neanderthal (Homo neanderthalensis), i Denisovani e una popolazione che restò in Africa da cui discenderebbero gli Homo sapiens. I ricercatori hanno anche ipotizzato che l’ultimo antenato comune sarebbe una specie già nota e identificata come Homo heidelbergensis.
L’ipotesi comunque resta da dimostrare. A sostegno delle conclusioni del gruppo di ricerca – composto da scienziati cinesi e italiani, dell’Accademia cinese delle scienze, dell’Università normale orientale di Shanghai, dell’Università del Texas, della Sapienza di Roma e dell’Università di Firenze – ci sarebbe il fatto che in Africa sono stati trovati pochissimi fossili di specie antenate della nostra risalenti al periodo compreso tra 950mila e 650mila anni fa. Se l’ipotesi del nuovo studio fosse corretta, questo si spiegherebbe col fatto che essendoci pochissimi individui le possibilità che i resti di alcuni di loro si fossilizzassero erano molto basse.
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Il collo di bottiglia però è solo una possibile ipotesi per spiegare l’origine della varietà genetica umana attuale. Brenna Henn, una genetista dell’Università della California, ha detto al New York Times che le differenze nei genomi di oggi sono dovute a separazioni delle popolazioni antiche e a loro riunificazioni successive. Per Henn bisognerebbe mettere alla prova anche ipotesi diverse.
Invece Nick Ashton, un archeologo del British Museum di Londra, ha fatto notare che al di fuori dell’Africa sono stati trovati fossili di “parenti” degli umani risalenti al periodo in cui ci sarebbe stato il collo di bottiglia: secondo lui un cambiamento climatico di portata tale da ridurre del 98 per cento una popolazione in Africa avrebbe dovuto avere delle conseguenze anche in altre parti del mondo. Stephan Schiffels, un genetista del Max Planck Institute per l’antropologia evoluzionistica di Lipsia (Germania), ha invece qualche dubbio sul metodo statistico utilizzato dagli autori del nuovo studio. Pensa che servano più prove.