Non è semplice capire se la Francia abbia avuto un ruolo nella strage di Ustica
Se ne riparla dopo l'intervista di Giuliano Amato secondo cui l'aereo fu abbattuto per errore da un caccia francese
Dopo la recente intervista su Repubblica in cui Giuliano Amato ha detto che sulla strage di Ustica del 1980 «la versione più credibile è quella della responsabilità dell’aeronautica francese», sui giornali italiani sono stati pubblicati diversi articoli in cui si conferma che il coinvolgimento dei francesi resta in effetti, dopo decenni di indagini e di processi, tra reticenze e depistaggi, un’ipotesi plausibile, condivisa anche dai familiari delle vittime. Ma è una tesi che, per diversi motivi, non è semplice da verificare.
Amato a partire dal 1983 fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e nel 1986 ricevette dall’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi l’incarico di occuparsi della vicenda. Nell’intervista ha sostenuto che il 27 giugno del 1980 l’aereo DC-9 della compagnia Itavia in volo da Bologna a Palermo con 81 persone a bordo fu abbattuto per errore da un caccia francese, che voleva colpire un aereo Mig su cui si pensava viaggiasse il leader libico Muammar Gheddafi. Secondo Amato il piano prevedeva di simulare un’esercitazione della NATO, «una messa in scena che avrebbe permesso di spacciare l’attentato come incidente involontario».
Amato ha poi chiesto al governo francese e al presidente Emmanuel Macron di fare chiarezza sulle eventuali responsabilità della Francia, scusandosi con le famiglie delle vittime, o in alternativa di dimostrare la propria estraneità.
In un comunicato la ministra degli Esteri francese, Catherine Colonna, ha detto che la Francia «ha fornito ogni elemento in suo possesso ogni volta che le è stato chiesto», soprattutto in occasione delle inchieste della magistratura. E di essere a disposizione per «lavorare con l’Italia se ce lo chiederà». Sulla reale volontà di collaborazione della Francia o sulle reali possibilità che possa essere fruttuosa ci sono però molti dubbi, da parte di storici e giornalisti.
Le prime indagini sulla strage di Ustica furono svolte parallelamente dalla magistratura e da una commissione ministeriale. Nel 1981 la commissione ministeriale ipotizzò che l’aereo fosse caduto per un guasto dovuto alla scarsa manutenzione. La tesi, che divenne famosa come quella del “cedimento strutturale”, venne presto messa in discussione, così come quella di una bomba sistemata a bordo dell’aereo al momento della sua partenza da Bologna.
Nel frattempo acquisì concretezza un’altra ipotesi: quella che il DC-9 dell’Itavia fosse stato abbattuto per errore nel corso di una battaglia aerea tra aerei della NATO, americani o francesi, e aerei libici. La Libia all’epoca aveva relazioni particolarmente tese con gli Stati Uniti, tra i due paesi erano avvenuti diversi incidenti armati in quegli anni. E la Francia aveva diversi interessi militari ed economici in Africa che, come ha ricordato lunedì su Repubblica lo storico e assessore alla Cultura di Roma Miguel Gotor, «contrastavano con la politica espansionistica di Gheddafi nella fascia subsahariana, lesiva degli interessi nazionali transalpini».
Tra gli elementi a favore della tesi della battaglia aerea ci fu, un mese dopo l’incidente di Ustica, il ritrovamento sulle montagne della Calabria di un aereo da combattimento libico abbattuto. Anche se nessuna forza armata ha mai ammesso di aver colpito l’aereo libico, il ritrovamento è considerato la prova che nell’estate del 1980 nei cieli sopra il Mediterraneo centrale erano avvenuti uno o più scontri aerei. E questa è stata anche la conclusione di uno dei filoni dei processi su Ustica, quello civile intentato dai familiari dei passeggeri: i giudici civili stabilirono infatti che il DC-9 fu abbattuto per errore nel corso di uno scontro aereo, ma non si sa tra chi, e la sentenza venne confermata dalla Corte di Cassazione.
Nel frattempo Francesco Cossiga, che all’epoca dell’incidente era presidente del Consiglio ma non aveva mai fornito particolari contributi alla ricostruzione della strage durante le indagini, nel 2007 disse che all’epoca i servizi segreti lo avevano informato che ad abbattere il DC-9 era stato un missile sparato da un aereo francese, partito dalla portaerei Clemenceau al largo della costa meridionale della Corsica. Disse anche che il pilota francese che aveva sganciato il missile si era suicidato per i sensi di colpa. Le dichiarazioni di Cossiga furono ritenute sufficientemente affidabili e importanti visto il ruolo istituzionale che aveva, tanto da spingere la procura di Roma a riaprire le indagini. Altri invece ritennero poco affidabili le dichiarazioni di Cossiga, che anche in altre occasioni aveva compiuto ricostruzioni controverse o inattendibili su eventi storici a cui aveva assistito.
Il coinvolgimento della Francia comunque resta tuttora un’ipotesi plausibile, come ha spiegato qualche anno fa in un’intervista al quotidiano francese Libération la storica Cora Ranci che, nel 2020, ha pubblicato per Laterza una ricostruzione della strage di Ustica: «Sono state individuate due tracce aeree rilevate dai radar che provenivano dalla Corsica verso la zona di Ponza [l’aereo precipitò nel tratto compreso tra le isole di Ponza e Ustica, ndr]. Il giudice Rosario Priore [incaricato del caso, ndr] scrisse in una delle sue ordinanze che c’erano, a quel tempo, solo due potenze presenti nel Mediterraneo a dotarsi di missili e di portaerei: gli Stati Uniti e la Francia. Quindi ci sono buone ragioni per essere sospettosi».
Nel corso delle indagini, le autorità francesi fornirono documenti in base ai quali risultava che il 27 giugno la portaerei Clemenceau si trovasse nel porto di Tolone, ben lontano quindi dalla Sicilia e dal mar Tirreno meridionale. Alcune inchieste giornalistiche hanno però messo in dubbio la versione francese ed è condivisa l’opinione che la collaborazione giudiziaria tra i due paesi non si sia mai concretizzata in un modo che potesse far avanzare l’inchiesta.
«Le risposte francesi ai pm di Roma sono state spesso evasive sui tanti chiarimenti sollecitati», ha scritto la corrispondente da Parigi di Repubblica Anais Ginori. «Molte domande sono state rivolte alla Francia, ma poche hanno avuto risposta. La collaborazione è stata molto limitata», aveva affermato nel suo libro Cora Ranci. L’ex ministro della Difesa nel governo Amato, Salvo Andò, ha a sua volta detto che i francesi «hanno sempre opposto una resistenza passiva all’accertamento della verità, non prove a discolpa». E la stessa cosa venne denunciata già nel 2011 dal giudice Rosario Priore.
Per Ranci il capitolo della strage di Ustica è ancora aperto, e per chiuderlo «serve una volontà politica, non solo da parte dell’Italia». Gli elementi per ricostruire quanto accaduto e capire il reale coinvolgimento francese nella strage si potrebbero trovare negli archivi militari della Francia. Ma la Francia ha una delle durate più lunghe per il segreto sulla Difesa e dunque, a meno di un intervento diretto di Macron, quegli archivi non saranno resi pubblici prima del 2040.
Se anche questi nuovi documenti venissero acquisiti non è comunque detto che possano chiarire in modo definitivo quanto accaduto a Ustica, poiché, come ha spiegato la giornalista Benedetta Tobagi, «sono state accertate numerose distruzioni di documenti» riguardanti la strage. Nell’archivio dei servizi segreti militari italiani, ad esempio, «non si trovano documenti di particolare rilevanza dell’anno 1980, Ustica inclusa». In generale, ha scritto Tobagi, «gli archivi sono plasmati dall’intenzionalità e dalle esigenze di chi li detiene» che conserva, distrugge o decide cosa rendere accessibile a seconda dei propri interessi. È possibile supporre che come questo vale in Italia così valga anche in Francia: «Molto, come da noi, potrebbe essere stato distrutto, e rischia di essere occultato».