Kim Jong-un o Kim Jong Un?
Il modo in cui scriviamo i nomi coreani (con trattino o senza? tutto attaccato o staccato?) dipende dalla differenza tra Nord e Sud, dalla tradizione e molto anche dalla politica
di Guido Alberto Casanova
Uno dei primi problemi quando si scrive di Corea, sia del Nord che del Sud, è come rendere i nomi in alfabeto latino. Tutti sappiamo riconoscere il volto del dittatore della Corea del Nord. Ma quando si tratta di scrivere il suo nome, qual è la versione migliore per rendere in italiano 김정은? Gim Jeong-eun, Kim Chŏngŭn, o il più comune e diffuso in Occidente, Kim Jong Un? A complicare le cose poi ci pensa l’ortografia della trascrizione: perché il nome del dittatore (Jong Un: nella cultura coreana il nome segue il cognome) molto spesso viene scritto senza trattino, mentre altri nomi coreani si scrivono col trattino? Basti pensare al regista Bong Joon-ho o ai calciatori Kim Min-jae e Son Heung-min.
Come nel caso di Kim Jong Un, un nome coreano può essere reso in molti modi diversi, al punto che spesso per assicurarsi che si stia parlando della stessa persona è necessario ricorrere alla versione originale del nome scritta in coreano. Il fatto è che molto spesso l’onomastica e la sua traslitterazione dipendono da lasciti storici e culturali, da un notevole livello di stratificazione di sistemi di trascrizione, e ovviamente da una notevole discrezionalità politica, che discende a sua volta dalla divisione tra le due Coree.
Il problema della latinizzazione
Il primo sistema per trascrivere il coreano con l’alfabeto latino è stato inventato negli anni ’30 dagli statunitensi George McCune e Edwin Reischauer. Questo è stato considerato a lungo il miglior metodo di trascrizione e per un certo periodo è stato il sistema ufficiale sia a Nord che a Sud per traslitterare i nomi coreani. Per quanto accurato nella riproduzione della pronuncia, il sistema McCune-Reischauer ha però il problema di essere eccessivamente ricco di apostrofi e diacritici (segni grafici che servono a distinguere una diversa pronuncia di una stessa lettera, come gli accenti) che complicano la scrittura dei nomi coreani per gli stranieri. Per esempio, con questo metodo la città nordcoreana di Pyongyang andrebbe latinizzata come P’yŏngyang.
Mentre il Nord ha mantenuto il sistema McCune-Reischauer introducendo alcune modifiche per semplificare la trascrizione, il Sud (con una certa dose di nazionalismo) ha invece deciso di cambiare completamente sistema negli anni ’90. Determinato a elaborare un codice autoctono per latinizzare il coreano, il 7 luglio 2000 il governo di Seul ha adottato un sistema di latinizzazione riveduta della lingua coreana che differisce dal precedente metodo in modo sostanziale. Con questa latinizzazione riveduta, la Corea del Sud ha eliminato tutti i diacritici che complicavano la scrittura latinizzata dei nomi coreani. Così facendo, però, ha anche stravolto la pronuncia delle parole.
Nella lingua coreana esistono 14 consonanti e, soprattutto, 8 vocali fondamentali, che però possono arrivare anche a 21 se consideriamo gli iotacismi (cioè quando la vocale a diventa ya) e i dittonghi. Per questo motivo la trascrizione di tutti questi suoni con le sole 5 vocali disponibili nell’alfabeto latino è sempre stata problematica. Da questo punto di vista, la latinizzazione riveduta è un sistema molto carente che storpia notevolmente la fonetica dei nomi sudcoreani e rende la loro pronuncia molto difficile in Occidente. Ad esempio il nome di Kim Seok-jin (il nome anagrafico di Jin, uno dei cantanti dei BTS, il più famoso gruppo K-pop) in coreano è pronunciato come si leggerebbe in italiano Kim Sokcin, senza nessuna e.
Non a caso, la comunità accademica si è finora rifiutata di adottare la latinizzazione rivista per traslitterare i nomi coreani nelle lingue europee (salvo alcuni casi, come quei giornali scientifici finanziati dal governo di Seul che richiedono l’impiego di questo sistema), preferendo piuttosto l’uso della trascrizione McCune-Reischauer.
La latinizzazione rivista ha però un vantaggio per la Corea del Sud: pur essendo poco fedele nella riproduzione fonetica, l’assenza dei diacritici rinforza un senso di familiarità nel mondo anglofono. In particolare, questo sistema rende i nomi coreani più comprensibili negli Stati Uniti, che della Corea del Sud sono il principale alleato.
Il peso della “tradizione”
A questo primo livello di confusione sui metodi di trascrizione se ne sovrappone poi un secondo. E cioè che spesso per tradizione i nomi e cognomi coreani vengono resi nell’alfabeto latino in un modo che non rispetta né la latinizzazione rivista della Corea del Sud né il sistema McCune-Reischauer. Ad esempio, il nome dell’ex presidente sudcoreano Park Geun-hye (il cui nome coreano 박근혜 si pronuncerebbe in italiano più o meno come Pak Künhye) andrebbe latinizzato come Bak Geun-hye secondo le direttive sudcoreane, e Pak Kŭn-hye secondo il sistema McCune-Reischauer. In nessuno dei due casi la traslitterazione è quella ufficiale adottata dall’ex presidente, poiché spesso alcuni nomi e cognomi vengono resi con l’alfabeto latino in una particolare forma per semplice tradizione: in buona sostanza, perché si è sempre fatto così.
Kim, Lee e Park sono i cognomi più diffusi in Corea del Sud (talmente diffusi che assieme rappresentano il 45 per cento di tutta la popolazione del paese), ma a parte il primo che riproduce abbastanza fedelmente la fonetica dell’originale coreano, la latinizzazione degli altri due cognomi è grossolanamente fuorviante: Lee è la trascrizione di 이, che in coreano viene pronunciato piuttosto come i o anche yi, mentre Park, come visto nell’esempio precedente, è la trascrizione di 박 che con l’alfabeto latino sarebbe meglio reso senza la r come bak o pak. Eppure, Lee e Park sono le trascrizioni ampiamente più diffuse. Sebbene non ci sia un consenso tra gli studiosi, sembra che queste rese fonetiche anticonvenzionali siano dovute all’influenza che gli Stati Uniti avrebbero esercitato sulla metà meridionale della penisola dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Lee e Park sono delle scritture molto più familiari e simili a cognomi o comunque a parole esistenti nella lingua inglese che Yi o Bak, e per questo motivo durante l’occupazione postbellica l’amministrazione militare statunitense avrebbe preferito queste trascrizioni, che si sono poi consolidate negli anni come scrittura consuetudinaria. Secondo altri studiosi invece l’inglesizzazione della latinizzazione sarebbe stato un fenomeno spontaneo e quindi sarebbero stati i sudcoreani stessi a scegliere quelle particolari forme, scorrette secondo i sistemi di traslitterazione disponibili.
La questione del trattino
Oltre al problema della fonetica, c’è però anche quello della morfologia. Generalmente i nomi coreani sono composti da tre sillabe: una per il cognome e due per il nome. Nella forma originale scritta con l’alfabeto coreano (noto come hangeul o han’gŭl, a seconda che si usi la latinizzazione rivista o McCune-Reischauer), le tre sillabe compaiono tutte attaccate senza trattini o spazi. È raro che un nome completo sia di due o di quattro sillabe.
Il fatto però che in coreano si scriva prima il cognome del nome può provocare disguidi in Occidente e peraltro non aiuta nemmeno che le tre sillabe del nome e cognome in coreano siano tutte attaccate. Anche per sciogliere questa ambiguità le due Coree hanno trovato soluzioni alternative, a mostrare ancora una volta come le profonde differenze politiche che dividono la penisola si riflettano anche sulla trascrizione dei nomi.
Secondo l’ortografia in vigore in Corea del Nord, le tre sillabe dei nomi coreani vanno scritte tutte staccate e con la lettera maiuscola: il nome latinizzato del leader del Nord, per l’appunto, è sempre scritto come Kim Jong Un e mai come Kim Jong-un, anche se molto spesso i media occidentali usano il trattino, per uniformità. Questo sistema rispecchia da vicino la morfologia originaria perché non aggiunge nessuna punteggiatura che non sia presente nell’originale nome coreano, ma rischia di confondere chi non sia esperto di affari coreani inducendo a credere che “Un” possa essere il cognome.
Questo problema è stato invece risolto a Sud, dove nel marzo del 2013 il ministero della Cultura ha emesso una serie di linee guida che fanno chiarezza sulla trascrizione dei nomi sudcoreani. Qui l’ortografia per la latinizzazione prevede che il nome sia scritto tutto attaccato o, meglio ancora, con un trattino per evitare una sillabazione errata del nome: il nome del penultimo presidente sudcoreano, per esempio, veniva reso come Moon Jae-in e non come Moon Jae In. Questo sistema ha il pregio di rendere chiaramente visibile anche all’occhio di un non coreano quale sia il nome e quale il cognome.
Eppure, anche per quanto riguarda la morfologia non esiste uno standard univoco nemmeno all’interno dello stesso paese. Le linee guida emesse dal ministero non sono vincolanti e ogni sudcoreano può decidere autonomamente come meglio rendere il proprio nome con l’alfabeto latino. L’attuale presidente della Corea del Sud, Yoon Suk-yeol, ha deciso nelle comunicazioni ufficiali di farsi menzionare come Yoon Suk Yeol senza trattino e con le tre maiuscole. È questo un caso in cui le preferenze personali si prendono la precedenza sullo stile convenzionale e alcuni media internazionali come il Wall Street Journal e il Guardian hanno deciso di rispettare questa scelta.
Proprio il caso dell’attuale presidente è forse uno dei più interessanti nel mostrare quanto possa essere arbitrario traslitterare un nome coreano. Yoon Suk-yeol in coreano è 윤석열 e secondo la trascrizione standard in vigore a Seul dovrebbe essere scritto Yun Seok-yeol oppure Yun Sŏg-yŏl secondo il sistema McCune-Reischauer (questa traslitterazione permette una pronuncia in italiano che più delle altre si avvicina all’originale in coreano). Alcune volte, soprattutto all’inizio della sua ascesa politica, il suo nome è stato scritto dai media sudcoreani anche come Yoon Seok-youl, come qui.
Eppure, a piacimento, ognuno di questi nomi avrebbe potuto essere stato scritto con o senza trattino, Yoon o Yun, Seokyeol o Seok Yeol. Tutte sarebbero state delle trascrizioni valide, anche se qualcuna avrebbe potuto urtare qualche sensibilità politica. Ma tutte avrebbero trovato qualche coreano disposto ad accettare questa o quella versione del nome.