L’uomo che ha cambiato il New York Times ora ci prova con la CNN
Il britannico Mark Thompson, che ha trasformato il quotidiano in un'azienda di successo, è stato scelto per rilanciare una televisione in crisi
Mercoledì una delle più importanti aziende giornalistiche statunitensi e mondiali, la CNN, ha nominato il suo nuovo amministratore delegato, che dovrà guidare la rete durante la campagna presidenziale del 2024 e che proverà a risollevarla da una profonda crisi di identità e di risultati. Il management di Warner Bros. Discovery, la società che possiede CNN, ha scelto per questo ruolo il britannico Mark Thompson, ex direttore generale della britannica BBC (2004-2012) ed ex presidente e amministratore delegato del New York Times dal 2012 al 2020.
Thompson è particolarmente noto nell’ambiente dei media proprio per quest’ultimo ruolo nella gestione di uno dei più autorevoli quotidiani del mondo. Quando assunse l’incarico il New York Times era infatti un’azienda editoriale alle prese con una radicata crisi economica e sempre alla ricerca di costi da tagliare; quando la lasciò era un’impresa solida, con una base di abbonati paganti quasi decuplicata e con dimensioni, possibilità e risorse che lo collocano a un altro livello rispetto a tutti gli altri giornali al mondo.
Alla CNN Thompson troverà una situazione anche peggiore rispetto a quella che trovò al New York Times: la rete oggi perde quasi sempre e piuttosto largamente i confronti di audience con i due principali rivali, Fox News, canale della destra americana, e MSNBC, schierata invece su posizioni più progressiste. Negli ultimi due anni ha inoltre provato a ricollocarsi politicamente su posizioni più centriste, finendo per snaturarsi e perdendo quote di spettatori fra i sostenitori di orientamento Democratico, senza guadagnarne fra quelli più vicini ai Repubblicani.
CNN deve inoltre confrontarsi con una crisi più generale e strutturale del modello televisivo tradizionale, che ad alcuni decenni di distanza sembra ripercorrere il declino vissuto dai giornali cartacei: Thompson dovrà sviluppare una strategia per rendere lo streaming online una risorsa, anche economica, senza indebolire in modo eccessivo il business televisivo, destinato a rimanere finanziariamente centrale nei prossimi anni.
Thompson è stato scelto e convinto a “rientrare” dalla pensione (ha 66 anni) perché considerato l’uomo giusto per riuscire a portare a termine questo compito non semplice: da una parte c’è l’esperienza al New York Times, dall’altra i molti anni passati all’interno di BBC, un’altra grande televisione dalla gestione complessa. Thompson iniziò nei primi anni Ottanta come produttore e arrivò alla direzione generale della televisione pubblica britannica nel 2004: le valutazioni sulla sua gestione furono tutto sommato positive, nonostante qualche polemica politica, il sospetto di un mancato controllo nello scandalo sessuale scoppiato alla morte del presentatore Jimmy Savile, e una riduzione della forza lavoro complessiva di 6000 unità negli otto anni in cui è stato ai vertici dell’azienda.
La sua esperienza al New York Times è riconosciuta da tutti come di grande successo: quando Thompson entrò in carica il giornale aveva circa 640mila abbonamenti digitali, regolati da un paywall: all’interno dell’azienda c’era «scetticismo» – come spiegò in un’intervista – sul fatto di poterne ampliare il numero. L’azione del nuovo amministratore delegato si concentrò soprattutto in quel campo: assunse esperti di dati e ingegneri, ridisegnò i prodotti digitali per funzionare soprattutto sugli smartphone, garantì autonomia, rigore e mezzi alla sezione delle news, ma aprì a nuove aree “laterali”. L’idea fu di ripensare il New York Times come un marchio che proponesse non solo la grande tradizione giornalistica, ma funzioni di intrattenimento e di “life style”: parole crociate, giochi, sezioni di ricette diventarono componenti fondamentali per aumentare il bacino di utenti. Il sito Puck, che si occupa di media, economia e politica, ha scritto: «Thompson ha dimostrato che notizie e intrattenimento non solo possono coesistere sotto il marchio Times, ma possono creare una simbiosi».
L’altro fronte di sviluppo era l’internazionalizzazione del marchio: sin dai primi giorni dopo l’ufficializzazione del suo incarico Thompson spiegò che il New York Times doveva trasformarsi in un quotidiano globale, così come era passato nella sua storia lunga 170 anni da giornale metropolitano a nazionale. Quando lasciò, nel 2020, gli abbonati digitali residenti fuori dagli Stati Uniti erano più degli abbonati totali del 2012: la cifra complessiva infatti era quasi decuplicata, passando da 640mila a 5 milioni e 670mila, con ricavi superiori ai 400 milioni di dollari.
Questi risultati economici furono ottenuti mantenendo gli elevatissimi standard di rigore e autorevolezza della testata: nel suo New York Times non sono mancate critiche, contraddizioni e discussioni, ma il quotidiano si è confermato un modello di buona informazione e Thompson è diventato anche un autorevole e ascoltato critico della deriva retorica e populista del linguaggio della politica (un suo libro è anche stato tradotto in italiano da Feltrinelli).
La replicabilità dell’operazione di rilancio di un’azienda editoriale resta tutta da verificare: il New York Times rimane per caratteristiche un caso probabilmente unico e Thompson si è inserito all’interno di una squadra di management che aveva forse già imboccato la strada giusta. Alla CNN troverà un’azienda dalla notorietà internazionale simile, ma da un presente molto complesso: Thompson sarà anche direttore editoriale, il che significa che sarà responsabile di tutti i contenuti pubblicati o messi in onda (i due predecessori non avevano questa carica). Da quando era stato licenziato il precedente amministratore delegato, Chris Licht, la rete era guidata da un triumvirato di figure interne esperte.
Secondo i dati Nielsen l’ascolto medio giornaliero della rete nel secondo trimestre del 2023 è stato di 573mila spettatori: nello stesso periodo del 2020 era di 1,8 milioni di spettatori. Il dato rappresenta bene il fallimento del tentativo di riposizionamento della rete all’interno della competizione fra i canali all news. Licht era stato in carica per 13 mesi dopo un periodo in cui l’impronta di CNN era stata marcatamente antitrumpiana, e aveva predicato e praticato un nuovo corso di ritorno alla maggiore equidistanza delle origini, ma i risultati di audience erano rimasti deludenti e una serie di incertezze, resistenze, scelte criticate era culminata nel fallimento dell’intervista con Donald Trump di maggio, che invece avrebbe dovuto segnare l’inizio del nuovo corso. Un lungo e informato articolo dell’Atlantic, che aveva sottolineato le contraddizioni della sua gestione e l’opposizione di gran parte della redazione, aveva probabilmente convinto la dirigenza di Warner Bros. Discovery a sostituirlo.
Il repentino allontanamento dell’amministratore delegato si aggiunse alla quasi immediata chiusura della piattaforma di streaming CNN+ e al licenziamento per frasi misogine di uno dei conduttori di punta della rete, Don Lemon. Il Financial Times ha raccontato che nella prima comunicazione ai dipendenti Thompson ha detto che si aspetta di «avvicinarsi al picco del caos», ma di essere convinto che, nonostante le pressioni che arriveranno «da ogni direzione» si possa presto invertire la tendenza.