Papa Francesco e l’Opus Dei
La recente decisione del papa di ridurre l'autonomia di questa prelatura personale, realtà unica e molto influente all'interno della Chiesa, è stata interpretata in vari modi
Il 15 agosto un’importante rivista cattolica statunitense, Crisis Magazine, ha pubblicato un articolo intitolato: «Cos’ha il papa contro l’Opus Dei?». Con la riforma della curia romana del marzo 2022, con la lettera apostolica motu proprio, cioè una specie di decreto papale, intitolata Ad charisma tuendum di qualche mese dopo e con un nuovo motu proprio dello scorso 8 agosto, il papa ha modificato il quadro giuridico che regola le prelature personali, ovvero quelle istituzioni religiose che all’interno della Chiesa cattolica hanno un’ampia autonomia. Poiché l’Opus Dei è l’unica prelatura personale, i provvedimenti del papa riguardano direttamente l’Opus Dei: di fatto, ne limitano l’indipendenza e ne circoscrivono il potere, facendo perdere all’organizzazione lo status esclusivo ed eccezionale di cui fino ad ora aveva goduto.
L’Opus Dei, in breve
La Prelatura della Santa Croce e Opus Dei, più conosciuta nella forma abbreviata Opus Dei (che letteralmente significa “Opera di Dio”) o come Opera, è una delle organizzazioni più influenti e conservatrici della Chiesa cattolica. Venne fondata nel 1928 in Spagna dal sacerdote Jose María Escrivá de Balaguer. La dottrina dell’Opus Dei si basa in maniera piuttosto netta sui concetti di gerarchia, autorità e famiglia, oltre che sull’essere «santi in mezzo al mondo» e sull’onorare Dio tramite gli sforzi nel proprio lavoro quotidiano.
L’Opus Dei, secondo quanto consentito da un decreto del Concilio Vaticano II, ricevette lo status di prelatura personale nel 1982 da papa Giovanni Paolo II. La prelatura personale è una struttura istituzionale e gerarchica simile a una diocesi, una circoscrizione territoriale posta normalmente sotto la giurisdizione di un vescovo. Ma a differenza della diocesi, la prelatura personale non è delimitata da un territorio e possono dunque aderirvi persone da tutto il mondo che appartengono a varie diocesi. Trasformando in prelatura personale l’Opus Dei, spiega il sito Adista, papa Wojtyla «aveva dunque svincolato il movimento da qualsiasi legame con i vescovi delle diocesi dove operava, rendendolo direttamente dipendente dal papa e concedendo al prelato a capo dell’Opera il titolo di vescovo e prerogative proprie di chi guida una circoscrizione ecclesiastica». Nessun’altra istituzione dentro la Chiesa aveva questo privilegio, al quale, nel 1982, molti vescovi si opposero.
Chiunque aderisca all’Opus Dei dipende dal prelato per tutto ciò che riguarda direttamente la sua vita spirituale e sociale. E al prelato, che non è sottomesso al potere di alcun vescovo e che è anzi lui stesso un vescovo, sono riconosciuti alcuni poteri: ha potestà propria, ha giurisdizione sui sacerdoti incardinati nella prelatura e sui laici che ne fanno parte. La prelatura è dunque definita “personale” perché il “popolo” che ne fa parte è circoscritto mediante un legame personale al prelato, anziché attraverso un criterio di territorialità.
In questa istituzione possono essere incardinati i chierici (possono cioè essere assegnati alla prelatura dei sacerdoti e dei diaconi) e hanno un ruolo fondamentale i laici, che possono collaborare anche in modo significativo all’interno degli organi di governo. I membri laici dell’Opus Dei sono divisi in varie categorie: ci sono i numerari, donne e uomini che sono laureati e vivono all’interno delle strutture del gruppo anche se hanno lavori normali; ci sono le numerarie ausiliari, che dedicano la propria attività alla cura dei centri dell’Opus Dei, cioè fanno le domestiche e vivono nei centri dell’organizzazione; e ci sono infine gli aggregati e i soprannumerari, uomini e donne che vivono con le loro famiglie. Numerari, uomini e donne, numerarie ausiliari, aggregati e aggregate «vivono il celibato come dono di Dio e per motivi apostolici», dice l’Opus Dei.
Quando il fondatore Jose María Escrivá de Balaguer morì nel 1975, al suo posto fu eletto il suo più stretto collaboratore, lo spagnolo Álvaro del Portillo, che dopo la concessione di prelatura personale all’organizzazione, nel 1982, venne nominato prelato, e nel 1991 venne consacrato anche vescovo. Alla sua morte, nel 1994, Giovanni Paolo II nominò prelato lo spagnolo Javier Echevarría Rodríguez, anch’egli tra i più stretti collaboratori di Escrivá de Balaguer, e nel 1995 lo consacrò vescovo. Dal 2017 il prelato dell’Opus Dei è Fernando Ocáriz, che però papa Francesco non ha nominato vescovo.
Dalla Spagna l’Opus Dei si è progressivamente diffusa soprattutto in Europa e in America ed è oggi presente in almeno 68 paesi: è composta da circa 93.600 membri laici (57 per cento donne e 43 per cento uomini) e da 2.095 sacerdoti, secondo i dati della stessa prelatura, impossibili però da verificare.
Una multinazionale religiosa
L’Opus Dei è stata definita dal País una «multinazionale religiosa». Tra le numerosissime opere che dirige e promuove direttamente o tramite i suoi membri ci sono chiese, centri pastorali, mense, istituzioni educative e di formazione professionale, tra cui la IESE spagnola, considerata una delle migliori facoltà economiche d’Europa, la Pontificia Università della Santa Croce o l’Università Campus Bio-Medico di Roma. Queste scuole «hanno reso l’Opus Dei una fucina di talenti che sono andati a occupare posizioni di potere», ha scritto in un articolo di qualche tempo fa il New York Times.
Fin dai suoi primi anni l’Opus Dei ha attirato su di sé molte critiche e sospetti. Anzitutto per la sua vicinanza al regime spagnolo di Francisco Franco («Ci hanno fatti ministri», fu la famosa frase attribuita a Escrivá de Balaguer quando apprese che alcuni dei suoi erano stati scelti come ministri del dittatore spagnolo). E poi per l’influenza dell’organizzazione che si estende ad ambiti che vanno ben oltre le sue chiese. L’Opus Dei, ha scritto il País, «è una delle istituzioni ecclesiastiche più conservatrici, opache e ricche della Chiesa»: è spesso stata definita una setta, una lobby o una «massoneria bianca».
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Il patrimonio e i dati economici dell’Opus Dei sono difficili da calcolare e quantificare proprio perché la sua struttura è completamente decentralizzata e perché la maggior parte delle scuole, delle università, degli ospedali o degli immobili è intestata a fondazioni o a società presiedute o dirette da suoi membri. Nel 2005 John L. Allen, vaticanista della rivista National Catholic Reporter, aveva comunque calcolato che il patrimonio totale dell’Opus Dei ammontasse a circa 2.800 milioni di dollari (circa 2.590 milioni di euro).
Uno dei momenti più contestati nella storia dell’istituzione fu la beatificazione di Escrivá de Balaguer, avvenuta nel 1992, e poi la sua canonizzazione del 2002 voluta da Giovanni Paolo II, avvenuta attraverso un procedimento che era stato definito da molti insolitamente rapido. La teologa, giornalista e scrittrice Adriana Zarri, morta nel 2010 e spesso vicina alle istanze del femminismo, scrisse ad esempio:
«Si sta avvicinando la data in cui il beato Escrivà de Balaguer (il discusso fondatore della più discussa Opus Dei) verrà proclamato santo. Di questo papa è stato detto che soffre di una incontinenza canonizzatrice: definizione invero impertinente ma ben giustificata. In effetti il numero dei beati e di santi proclamati da papa Wojtyla supera il numero delle canonizzazioni decretate da tutti i suoi predecessori messi insieme: un fatto anomalo, nella storia della chiesa, e non certo positivo, anche perché la quantità è spesso a discapito della qualità».
Ricordando l’amicizia di Escrivà de Balaguer con il governo del dittatore Franco, Zarri scrisse anche che l’Opus Dei aveva sempre sostenuto e continuava a sostenere «i regimi di destra contro gli interessi del popolo e dei poveri».
Nel tempo molte critiche all’Opus Dei sono arrivate anche da persone che ne avevano fatto parte.
Una delle più celebri è contenuta nel libro Tras el umbral: una vida en el Opus Dei pubblicato nel 1992 e tradotto in italiano con Oltre la soglia. Una vita nell’Opus Dei. Un viaggio nel fanatismo. È stato scritto da Maria del Carmen Tapia, che era entrata nell’Opus Dei nel 1948 ricoprendo ruoli dirigenziali. Aveva conosciuto molto bene il fondatore ed era uscita dall’organizzazione nel 1966.
Nel libro, a partire dalla propria esperienza personale, Maria del Carmen Tapia denunciava il sistema chiuso dell’Opus Dei, l’obbedienza a ogni costo, la pratica della delazione e dell’indottrinamento, i gravi sacrifici economici richiesti ai suoi membri, l’umiliazione, la mortificazione e la disistima esaltate come mezzo di santificazione, la strumentalizzazione delle amicizie per scopi apostolici o proselitistici, la repressione della sessualità e, in generale, il controllo e l’esercizio di autorità su ogni sfera della vita dei membri:
«La casa di Roma è una sorta di fortezza medievale a cominciare dalla porta principale che è blindata e non ha serratura esterna, aprendosi unicamente dall’interno. Per aprirla bisogna dare cinque mandate e la chiave deve essere annessa alla cintola della persona incaricata della portineria. Chi vuole uscire deve suonare un campanello posto accanto alla porta e attendere che la portinaia venga ad aprirgli. Quando qualcuno suona per entrare ad aprire vanno due persone. L’accompagnatrice rimane indietro di un passo e la portinaia apre. Quello che voglio sottolineare è che nessuno, assolutamente nessuno, a Roma, può aprire direttamente una porta e uscire sulla strada».
Nel suo libro Maria del Carmen Tapia aveva parlato di microfoni piazzati in diversi punti della sede dell’Opus Dei a Roma, tutti collegati con la stanza del fondatore, e di armadi con documenti segreti in cui si prescriveva di tenere della benzina per poter bruciare le carte in caso di emergenza. Aveva raccontato inoltre di quello che era successo dopo che lei aveva preso le distanze dalle posizioni dell’Opus Dei, tra le altre cose venendo rinchiusa in una stanza senza possibilità di contatti con l’esterno: «Ero talmente terrorizzata che mi venne un tremito continuo. Avevo paura che mi chiudessero in manicomio, come avevano fatto con altre persone». Maria del Carmen Tapia riuscì ad andarsene grazie all’intervento di un amico:
«Mi dissero di recarmi nella sala delle riunioni. Monsignor Escrivà cominciò a camminare su e giù agitato, rosso, furioso, dicendomi: “non parlare con nessuno né dell’Opus Dei né di Roma perché se vengo a sapere che parli male dell’Opus, io Josè Maria Escrivà de Balaguer, che ho in mano la stampa mondiale, ti disonoro pubblicamente”. E guardandomi negli occhi con una furia spaventosa, agitando le braccia, come se volesse picchiarmi, urlò: “puttana porca”»
Quella di Maria del Carmen Tapia non è l’unica testimonianza di come sia stato molto difficile restare e poi uscire dall’organizzazione: «La via d’uscita che alcuni scelgono è sempre più complessa e traumatica. E molte volte hanno bisogno di aiuto psicologico», ha raccontato ad esempio Antonio Moya Somolinos, un ex numerario che ha trascorso più di quarant’anni nell’organizzazione e che oggi guida il più grande fronte critico dell’Opera.
Nel 2021, in Argentina, 43 numerarie ausiliari denunciarono la prelatura dell’Opus Dei davanti al Vaticano e alla Congregazione per la Dottrina della Fede per abusi di potere e di coscienza con sottomissione delle vittime a situazioni di sfruttamento personale. Altri membri ancora hanno parlato di «lavaggi del cervello», di pratiche autopunitive o del fatto che erano stati obbligati a cedere i propri beni all’organizzazione, a devolvere lo stipendio e a fare testamento in suo favore. Sul País un responsabile della comunicazione dell’Opus Dei ha detto che queste cessioni sono sempre volontarie, ma ex membri che vivevano nei centri dell’Opus Dei hanno testimoniato che si tratta invece di una prassi, particolarmente problematica nel caso delle categorie di laici e laiche che vivono nei centri e delle numerarie ausiliari: se riescono a uscire dall’organizzazione si ritrovano senza nulla.
Poche settimane fa un gruppo di ex membri guidati da Antonio Moya Somolinos ha presentato alla Santa Sede una denuncia per frode normativa e abuso di potere contro l’Opus Dei chiedendone la soppressione nella sua forma attuale. L’accusa è che l’organizzazione, come un’associazione segreta, si basi su una serie di regole vincolanti per chi ne fa parte, che sono state tenute nascoste alla Santa Sede e che prevedono pratiche che violano sistematicamente la coscienza dei membri «attraverso abusi di potere, di coscienza e spirituali».
Il papa gesuita e l’Opus Dei
La critica più diretta all’Opus Dei venne fatta fin dai suoi primi anni di vita dall’allora Superiore Generale dei gesuiti Wlodimir Ledóchowski, che definì l’organizzazione una specie di «massoneria cristiana» e un «pericolo per la Chiesa di Spagna».
All’interno della Chiesa è piuttosto nota la storica rivalità tra gesuiti e Opus Dei, entrambi di origine spagnola, e semplificando portatori di due visioni differenti del mondo e della Chiesa. Dopo il Concilio Vaticano II, ha spiegato lo storico del cristianesimo Massimo Faggioli, l’Opus Dei è diventato il simbolo «del mantenimento dello status quo politico, economico e sociale dominato da un certo tipo di élite», mentre i gesuiti, soprattutto in Sud America, sono diventati il simbolo della lotta «per una Chiesa di popolo, per la giustizia sociale». Papa Francesco proviene dall’ordine dei gesuiti.
Nel 2017 il papa non ha ordinato vescovo il nuovo prelato dell’Opus Dei, Fernando Ocáriz, dando un segnale di discontinuità con i pontificati precedenti. Nel marzo del 2022 con l’atto Praedicate evangelium che riformava la curia romana (il complesso di organi e autorità che costituiscono l’apparato amministrativo della Santa Sede), poi con il motu proprio Ad charisma tuendum e con quello dello scorso 8 agosto, il papa ha infine ridimensionato l’autonomia e il potere dell’Opus Dei. Ha modificato la specificità giuridica della prelatura personale ponendola al livello di altri istituti interni alla Chiesa, e ha riformulato il suo rapporto con il Vaticano spostandola dalle dipendenze della Congregazione per i Vescovi al Dicastero per il clero, l’organismo che vigila sui sacerdoti nel mondo.
Sarà a questo dicastero, e non più direttamente al papa, che il prelato dovrà riferire «sullo stato della prelatura e sullo svolgimento del suo lavoro apostolico», dando dunque ogni anno e non più ogni cinque anni spiegazioni sulla gestione dei suoi centri educativi, ad esempio, o sul modo in cui forma i propri sacerdoti o risponde alle accuse degli ex membri.
Il papa ha poi deciso che il prelato dell’Opus Dei non possa diventare vescovo e che non possa dunque ordinare altri sacerdoti. E per quanto riguarda la partecipazione dei fedeli all’istituzione, l’Opus Dei sarà più controllato. I laici che vi appartengono potranno continuare a dedicarsi alla prelatura personale, ma ricordando che i fedeli laici hanno un proprio parroco e un proprio vescovo a seconda dell’indirizzo in cui risiedono, il papa ha stabilito che «il modo di questa organica cooperazione ed i principali doveri e diritti ad essa connessi saranno opportunamente determinati».
Su Repubblica don Giancarlo Rocca, esperto di storia e diritto canonico, ha detto che con queste riforme l’Opus Dei sarà «privato dei laici, che costituivano la sua forza», i quali non potranno più essere considerati dei «membri» che si riferivano a un loro vescovo, il prelato: saranno soggetti alla giurisdizione del proprio parroco o del proprio vescovo locale.
L’affermazione dell’autorità del vescovo locale ha già avuto delle conseguenze concrete. Dal primo settembre il santuario di Torreciudad, in Spagna, che era stato costruito negli anni Sessanta per volontà del fondatore dell’Opus Dei e che era gestito da sacerdoti dell’Opera, sarà amministrato da un prete nominato dal vescovo locale.
Le decisioni del papa sull’Opus Dei sono state interpretate in diversi modi. Sono state criticate dagli ambienti cattolici più ostili all’attuale pontificato e più conservatori che hanno parlato di una volontà accentratrice del papa. Crisis Magazine ha fatto riferimento ad esempio a «un’offensiva canonica» del papa contro l’Opus Dei e ha spiegato come questo papa non si sia dimostrato affatto «timido riguardo al suo potere sia di legiferare che di imporre l’obbedienza»: «Sta usando il potere istituzionale per imporre la sua visione carismatica».
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Altri hanno visto i provvedimenti del papa come una continuazione della storica rivalità tra gesuiti e Opus Dei e tra le loro rispettive e divergenti visioni della Chiesa. Giovanni Maria Vian, storico e ex direttore dell’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, ha detto che la tensione tra gesuiti e Opus Dei potrebbe aver avuto un ruolo nelle decisioni del papa («anche se sarebbe completamente sbagliato pensare che tutti i gesuiti siano progressisti, o che tutti i membri dell’Opus Dei siano conservatori, nonostante questo sia effettivamente il loro tratto identitario»).
Per Vian, le modifiche giuridiche all’Opus Dei sono un «tentativo di controllo» e di «normalizzazione canonica e di potere» che il papa ha fatto intervenendo nella vita anche di altri movimenti, come Comunione e Liberazione, o di altri ordini religiosi in conventi e monasteri.
Alfonso Botti, storico, ispanista e professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia, vede nel provvedimento del papa «il riverbero della linea caratterizzante l’attuale pontificato» contro il clericalismo che, come ribadito dal papa in una lettera al clero romano del 5 agosto scorso, può essere alimentato «vivendo la propria chiamata in modo elitario, chiudendosi nel proprio gruppo ed erigendo muri verso l’esterno, sviluppando legami possessivi nei confronti dei ruoli nella comunità, coltivando atteggiamenti boriosi e arroganti verso gli altri». Per Alfonso Botti, dunque, i provvedimenti del papa sono «un ammonimento» a tutti quei movimenti e gruppi che sono stati particolarmente sostenuti da Giovanni Paolo II, «promotore di un cattolicesimo identitario e trionfale poco compatibile con la Chiesa ‘ospedale da campo’ e punto di riferimento dell’umanità spaesata, del papa argentino».
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Nel frattempo, il prelato dell’Opus Dei Fernando Ocáriz ha commentato le disposizioni del papa assicurando che l’Opus Dei le accoglierà «con sincera obbedienza filiale», chiedendo anche ai membri dell’Opera «di rimanere, anche in questo, tutti molto uniti».