Lo scorso giugno il ministero della Cultura ha avviato le procedure per la nomina dei direttori di alcuni dei più importanti musei italiani, tra cui la Pinacoteca di Brera, a Milano, le Gallerie degli Uffizi di Firenze e le Gallerie Estensi di Ferrara. Da anni i bandi pubblici prevedono che possano candidarsi cittadini italiani ed europei, ma negli ultimi mesi questa possibilità è stata criticata da alcuni esponenti del governo di Giorgia Meloni, secondo cui sarebbe auspicabile che i musei italiani abbiano un direttore o una direttrice italiana. La posizione ufficiale del ministero della Cultura è più sfumata, e infatti le regole dell’ultimo bando pubblicato a luglio non sono state cambiate, tuttavia ne è nato comunque un dibattito generato dalle apparenti difficoltà di questo governo, che è di destra, di intestarsi politicamente eventuali nomine di persone straniere in importanti musei italiani.
I primi direttori stranieri di musei italiani furono nominati nel 2015, durante il governo di Matteo Renzi e in seguito alla riforma del settore della cultura promossa dall’allora ministro Dario Franceschini, del Partito democratico. Le candidature vennero aperte ai cittadini europei, e furono poi nominati i direttori e le direttrici dei 20 principali musei italiani. Sette di questi erano stranieri, tra cui il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt, il direttore del Museo di Capodimonte a Napoli, Sylvain Bellenger, e quello della Pinacoteca di Brera, James Bradburne. Al tempo, Franceschini disse che le nuove nomine avrebbero permesso di «voltare pagina», e definì la selezione internazionale «un passo storico».
Alcune di queste nomine finirono però al centro di una lunga contesa amministrativa: nel 2017 il TAR (Tribunale amministrativo regionale) del Lazio annullò le nomine di cinque direttori, sostenendo che la legge italiana non prevede che incarichi così delicati siano assegnati a persone non italiane. Dopo una serie di ricorsi, nel 2018 il Consiglio di Stato ribaltò la sentenza del TAR e stabilì che i musei italiani possono avere direttori stranieri.
Le polemiche sono ricominciate con l’insediamento del governo Meloni. Già a gennaio uno dei sottosegretari alla Cultura, Vittorio Sgarbi, aveva detto che il governo stava lavorando per cambiare le regole. L’obiettivo, secondo Sgarbi, era di aggiornare la composizione della commissione incaricata di seguire il processo di selezione dei candidati, formata da cinque membri scelti direttamente dal ministero della Cultura. La commissione valuta le candidature ricevute e seleziona un massimo di dieci candidati per ogni ruolo, con cui fare un colloquio. I tre candidati migliori passano poi alla selezione finale, che è fatta dal ministro della Cultura per quanto riguarda i musei cosiddetti di “prima fascia”, come la Pinacoteca di Brera o gli Uffizi, e dal Direttore generale Musei – che al momento è Massimo Osanna – per gli incarichi di “seconda fascia”, come le Gallerie Estensi o il Museo Nazionale d’Abruzzo.
Nel 2015 la commissione di valutazione era formata da quattro membri italiani e uno straniero, l’allora direttore della National Gallery di Londra, Nicholas Penny. Nel 2020 arrivarono anche altri stranieri, tra cui il direttore del Prado Miguel Falomir Faus. Secondo Sgarbi invece i componenti dovrebbero essere «più legati al territorio»: i membri della nuova commissione di valutazione sono stati annunciati lo scorso luglio, e sono tutti italiani.
Due associazioni di esperti di beni culturali, la Consulta universitaria per la storia dell’arte (CUNSTA) e la Società italiana di storia della critica d’arte (SISCA), hanno criticato la nuova commissione, non solo perché formata solo da persone italiane ma soprattutto perché su cinque membri soltanto una, l’ex direttrice del Museo Nazionale Romano Daniela Porro, è una storica dell’arte. Inoltre nella commissione ci sono due funzionari che lavorano al ministero della Cultura, la cui valutazione potrebbe quindi essere influenzata dalle richieste del governo: Porro, che oggi è Soprintendente speciale per l’archeologia, le belle arti e il paesaggio di Roma, e Luigi La Rocca, che tra le altre cose è Soprintendente speciale per il PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Inoltre, il nuovo bando pubblicato dal ministero ha imposto altre condizioni che favoriscono le candidature di professionisti italiani, a scapito degli altri: per esempio, i candidati stranieri dovranno dimostrare di conoscere la lingua italiana almeno al livello B2, considerato intermedio dal quadro europeo di riferimento. Il bando del 2015 invece considerava la conoscenza della lingua italiana come una competenza «ulteriore», ma non imponeva un livello minimo.
Sgarbi è tornato sul tema delle nomine il 21 agosto. Durante un evento a Viareggio, in Toscana, ha detto che i direttori stranieri «adesso se ne vanno», perché la «stagione» voluta da Franceschini «è semplicemente finita». Sgarbi aveva anche detto che «non si è mai visto» un direttore del Louvre che non fosse francese. È anche vero però che alcune istituzioni culturali straniere sono dirette da persone italiane, come Gabriele Finaldi alla National Gallery di Londra e Andrea Bellini al Centro d’arte contemporanea di Ginevra, in Svizzera.
In ogni caso, pochi giorni dopo Sgarbi ha in parte ritrattato le sue affermazioni, descrivendole come semplici «battute» e dicendo che i direttori stranieri attualmente in carica «hanno fatto bene», ma che comunque molti sono ormai al secondo mandato e per questo non potranno ricandidarsi. Il mandato dei direttori di museo dura infatti quattro anni, ed è rinnovabile una sola volta: i direttori nominati nel 2015 e poi rinnovati nel 2019 non potranno più rimanere in carica.