La storia del palazzo di Johannesburg in cui sono morte più di 70 persone per un incendio
Per anni fu legata al regime dell'apartheid in Sudafrica, più di recente l'edificio era diventato un simbolo della crisi abitativa della città
Nella notte tra mercoledì e giovedì oltre 70 persone sono morte per via di un incendio in un palazzo di Johannesburg, in Sudafrica. Il palazzo, in cui abitavano soprattuto migranti e persone senza fissa dimora, si trova al numero 80 di Albert Street e ha una storia che per anni è stata legata all’apartheid, la politica di segregazione razziale in vigore nel Sudafrica dalla fine degli anni Quaranta all’inizio degli anni Novanta e stabilita dalla minoranza bianca al governo.
Il palazzo in cui si è sviluppato l’incendio è alto cinque piani e aveva da tempo problemi di sicurezza. Non si sa ancora cosa di preciso abbia provocato l’incendio, che sembra sia iniziato al piano terra e abbia intrappolato alcune persone all’interno. Alcune uscite erano bloccate da cancelli, che insieme all’infiammabilità di molti materiali presenti all’interno hanno probabilmente contribuito ad aggravare la situazione.
Secondo alcune testimonianze, diverse persone avrebbero cercato di calarsi dalle finestre, come sembrano suggerire anche le immagini di lenzuola legate ai davanzali.
Il palazzo in cui c’è stato l’incendio era stato inaugurato nel 1954, pochi anni dopo l’inizio dell’apartheid, come sede del Central Pass Office, un ufficio in cui venivano rilasciati dei “pass” ai cittadini neri per controllarne e regolarne i movimenti, i cosiddetti dompas: erano delle specie di passaporti che favorivano la segregazione e impedivano l’ingresso di neri in alcune aree, stabilendo dove potessero vivere e lavorare. Il pass doveva sempre essere portato con sé: dimenticarlo o perderlo poteva comportare l’arresto e la prigione.
Le visite al Central Pass Office erano per molti un’esperienza definita “umiliante“. Nel tempo furono organizzate proteste per abolire i dompas: una delle foto che ritraggono Nelson Mandela, primo presidente nero della storia del Sudafrica e leader dell’opposizione all’apartheid, lo mostra proprio impegnato a bruciare il proprio pass.
Nel corso degli anni Sessanta l’edificio di Albert Street fu progressivamente ampliato, e con la fine dell’apartheid smise di funzionare da centro di rilascio dei dompas. Nel 1994 venne affidato a un’organizzazione non profit che lo trasformò in un rifugio per donne che avevano subìto violenze, l’Usindiso Women’s Shelter. L’attività dell’organizzazione cessò nel 2019, anno in cui l’edificio venne abbandonato.
Fu occupato fin da subito da migranti e persone senza fissa dimora. Lo scorso maggio le condizioni di quel palazzo erano state raccontate dal New York Times che descriveva i problemi abitativi di Johannesburg, la più grande e popolosa città del Sudafrica. Nel palazzo mancavano acqua corrente ed elettricità, e più persone condividevano stanze anche piccole, usando candele e piccoli fuochi per illuminarle e scaldarle. Stanze, pavimenti e corridoi erano ricoperti da materiali infiammabili, come cartoni e lenzuola, e dal soffitto pendevano cavi elettrici.
L’ultima ispezione di funzionari comunali all’interno del palazzo era stata proprio nel 2019, pochi mesi dopo la sua occupazione, e aveva portato all’arresto di oltre 100 persone straniere accusate di far pagare irregolarmente l’affitto a chi viveva nell’edificio.