Il disastroso terremoto del Kantō in Giappone, cent’anni fa
Distrusse buona parte di Tokyo, provocò la morte di oltre 140mila persone e contribuì a cambiare la storia del paese
Il primo settembre del 1923, cento anni fa, poco prima di mezzogiorno, un terremoto di magnitudo 7.9 fece crollare le case e gli edifici della regione in cui si trova Tokyo, nel Giappone centrale. Conosciuto come il “Grande terremoto del Kantō”, al tempo fu considerato il peggiore disastro naturale della storia del paese: distrusse buona parte della capitale e delle province circostanti e provocò la morte di oltre 140mila persone, con conseguenze sociali ed economiche enormi. In concomitanza con il suo anniversario, ogni primo settembre in Giappone si celebra la giornata nazionale della prevenzione dei disastri naturali.
Nella regione del Kantō la terra cominciò a tremare poco dopo le 11:58. L’epicentro fu nella baia di Sagami, una sessantina di chilometri a sud-ovest di Tokyo, con ipocentro a una profondità di 23 chilometri. I resoconti ufficiali dicono che il terremoto durò poco meno di cinque minuti, ma secondo alcune testimonianze sarebbe durato più o meno il doppio, con repliche (cioè successivi eventi sismici di entità inferiore) per almeno altre due ore.
Nel giro dei primi 14 secondi le scosse fecero crollare gli edifici in legno o in calcestruzzo sia a Tokyo che nella città portuale di Yokohama e nelle province circostanti. Uno tsunami con onde alte 6 metri provocò la morte di 300 persone a Kamakura, che si affaccia sulla baia e la sua intensità fu tale da riuscire a spostare di alcune decine di centimetri l’enorme statua del Buddha della città, una delle più famose del Giappone, che pesa circa 121 tonnellate. Un altro tsunami con onde ancora più alte spazzò via decine di villaggi, provocando colate di fango, allagamenti e danni irreparabili alle infrastrutture. A Yokohama centinaia di persone si rifugiarono sulla nave di lusso Empress of Australia, che era diretta a Vancouver: poco dopo una forte scossa fece collassare il molo della città su se stesso, trascinando in acqua auto, case, persone. Crollò anche il Grand Hotel, un elegante albergo a tre piani sul lungomare della città.
I danni peggiori tuttavia furono quelli provocati dagli incendi che si svilupparono proprio a causa del terremoto. Come ha raccontato lo Smithsonian Magazine, il vento forte favorì la diffusione delle fiamme partite dal gas fuoriuscito dalle condutture rotte, che provocò numerosi incendi in tutta l’area colpita dal terremoto, e in particolare nelle aree densamente popolate nella parte est e nord-est di Tokyo. Le case giapponesi erano – quelle tradizionali lo sono ancora – costruite interamente in legno, cosa che le rendeva molto esposte alle fiamme. Secondo i resoconti della polizia giapponese citati sempre dallo Smithsonian Magazine, alle 12:15 in tutta la regione del Kantō erano stati contati 83 incendi. Un quarto d’ora dopo gli incendi segnalati erano 136.
Una colonna di aria calda, fumo e fiamme simile a un tornado si abbatté poi su un’area vicino al fiume Sumida, dove si erano rifugiate più di 40mila persone. Alcune centinaia morirono quando un ponte sul fiume crollò; quasi tutte le altre, che si erano riparate lungo le sue rive, vennero uccise dal vortice di fuoco attorno alle 16 (sopravvissero solo in 300). È stato stimato che le persone morte o disperse per le conseguenze del terremoto in tutta la regione furono più di 140mila. Quelle sfollate circa un milione e mezzo.
Gli incendi vennero spenti il tre settembre, due giorni dopo il terremoto, che in totale distrusse circa 370mila abitazioni e il 45 per cento di Tokyo. Il disastro provocò danni per oltre 6,5 miliardi di yen, più o meno quattro volte tanto la spesa pubblica giapponese per l’anno 1922.
Gli interventi per cercare di dare assistenza alla popolazione cominciarono subito. 50mila soldati delle truppe imperiali giapponesi furono mobilitati per allestire strutture mediche di emergenza e ponti temporanei, ma anche per distribuire generi di prima necessità e liberare le strade da macerie e cadaveri. Arrivarono anche dall’estero alcune navi con scorte di riso, carne in scatola, alimenti vari e carburante.
Oltre ad aver provocato danni enormi e ad aver traumatizzato un’intera nazione, l’evento provocò anche un episodio di repressione xenofoba, in un periodo in cui il Giappone aveva cominciato il proprio percorso di espansione militare e di modernizzazione.
Nel 1905 l’esercito giapponese aveva invaso la Corea, annettendola ufficialmente cinque anni più tardi e instaurando un regime molto duro. Subito dopo il terremoto, nelle zone tra Tokyo e Yokohama cominciarono a diffondersi voci secondo cui gli immigrati coreani volevano approfittare della situazione per avvelenare i pozzi d’acqua e derubare i negozi, con l’obiettivo di ribellarsi contro il governo giapponese. Iniziò così un massacro di stranieri durante il quale secondo le stime degli storici vennero uccise circa 6mila persone coreane. Inizialmente i giornali giapponesi adottarono un approccio molto elusivo rispetto alla questione, ma alcuni mesi dopo condannarono i fatti.
Alcuni politici, leader religiosi e giornalisti sostennero inoltre che il terremoto fosse stato una sorta di punizione divina, sfruttando il disastro per cercare di legittimare le loro preoccupazioni per la presunta stravaganza e il presunto individualismo della società giapponese in trasformazione, ed esaltando invece le virtù di sacrificio, lealtà e obbedienza alla base dell’ideologia nazionalista.
Lo studioso Kenneth Pyle, esperto di Giappone dell’Università di Washington, sostiene che il terremoto cominciò a «rovesciare alcune delle tendenze liberali che si erano viste nel paese dopo la Prima guerra mondiale», facendo guadagnare sostegno ai gruppi patriottici della destra. Negli anni della ricostruzione si diffuse quella che alcuni storici hanno definito una «retorica dell’emergenza», che trasformò il Giappone in «un posto dell’eterna crisi» e creò il contesto ideale per l’ascesa del fascismo nel paese.
Il grave terremoto del 1923 comportò anche l’introduzione delle prime leggi nazionali in termini di edilizia, che ancora oggi prevedono di adottare materiali e tecniche specifiche per avere edifici il più possibile resistenti a terremoti e altri disastri naturali.
I primi criteri per la costruzione di edifici più resistenti furono introdotti nel 1924, mentre nel 1950, due anni dopo il grave terremoto di Fukui, i vincoli antisismici vennero ulteriormente ampliati e le norme vennero estese in tutto il paese. Da allora le leggi nazionali hanno subìto numerose revisioni e adeguamenti, per esempio nel 1981, nel 2000 e anche negli anni successivi. Oggi il Giappone è uno dei paesi con i regolamenti antisismici più rigidi e avanzati al mondo: i suoi grattacieli sono progettati per essere elastici e assorbire le oscillazioni causate dalle scosse, i piani di emergenza e di evacuazione sono periodicamente testati e migliorati, a scuola si insegna come sopravvivere a una scossa e si fa un grande lavoro di prevenzione.
Una dimostrazione dell’efficacia dei sistemi di sicurezza in vigore in Giappone ci fu nel 2011, con il grande terremoto di magnitudo 9.1 al largo della costa orientale del paese, che causò un grande tsunami e scosse piuttosto intense anche a Tokyo. In pochi istanti l’intera rete della metropolitana sospese il servizio o rallentò la corsa dei treni, per precauzione. Tra il 2016 e il 2020 tuttavia ci furono anche diversi falsi allarmi.
Come ha ricordato Bloomberg, secondo gli esperti dell’amministrazione metropolitana di Tokyo c’è il 70 per cento di probabilità che nei prossimi trent’anni in città si verifichi un altro grave terremoto di magnitudo superiore al 7, che comporterebbe gravi rischi per la popolazione e danni materiali enormi. Per questo nel 2022 il governo locale ha stanziato l’equivalente di quasi 100 miliardi di euro in progetti di riqualificazione antisismica da completarsi entro il 2040. Tra le altre cose l’amministrazione offre sussidi a chi vuole ammodernare la propria abitazione in modo da renderla più sicura, e sta contribuendo alla riqualificazione di scuole, ospedali e strutture pubbliche. Al contempo sta investendo su interventi per ampliare certe strade in modo da agevolare l’accesso degli operatori di soccorso in caso di emergenza.
Akihiko Hamanaka, uno dei direttori del dipartimento per la prevenzione dei disastri del governo metropolitano, ha osservato che «è importante prepararsi al maggior numero di scenari possibile, perché ogni terremoto è diverso a seconda dell’epicentro, della durata e anche delle condizioni meteorologiche». È anche per questo che nel 2015 il governo di Tokyo ha distribuito ai residenti una guida per spiegare come si affrontano le emergenze causate da terremoti, attentati ed eventi naturali di vario tipo.
Dal 1960 inoltre ogni primo settembre in Giappone si celebra la giornata della prevenzione dei disastri naturali: una ricorrenza in cui oltre a commemorare il terremoto del 1923 si cerca di creare consapevolezza sui rischi degli tsunami, dei tifoni o degli allagamenti che potrebbero interessare il paese. Il primo settembre è anche uno dei giorni in cui solitamente si tengono le esercitazioni di emergenza in scuole, aziende e uffici pubblici.
– Leggi anche: L’attesa del grande terremoto a Tokyo