Quando e come si può intercettare qualcuno
E cosa si intende per “intercettazioni”, ora che internet ha cambiato tutto: se ne parla dopo una denuncia di Marco Cappato
Martedì l’ex deputato e attivista Marco Cappato ha detto di aver ricevuto informazioni anonime e a suo giudizio attendibili secondo cui sarebbe stato intercettato, sia sul telefono che mentre si trovava nelle sue «sedi abituali di lavoro e di vita». Secondo Cappato le intercettazioni sarebbero state fatte dall’Agenzia di informazione e sicurezza interna (AISI), che fa parte dei servizi segreti ed è sotto il controllo della presidenza del Consiglio. Cappato ha chiesto spiegazioni alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, e il governo ha diffuso in breve tempo una risposta di uno dei sottosegretari alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, che escludeva qualsiasi attività di intercettazione nei confronti di Cappato.
È una storia a cui mancano ancora troppi dettagli per capire se effettivamente Cappato sia stato intercettato e se abbia ragione di lamentarsene. In Italia le intercettazioni sono consentite anche quando ancora non è stata aperta un’indagine giudiziaria, allo scopo di prevenire eventuali reati. In base al tipo di intercettazioni – telefoniche, ambientali o informatiche – ci sono però regole e limiti diversi da rispettare sulle modalità con cui farle e utilizzarle.
Prima di tutto bisogna capirsi su cosa siano nel concreto le intercettazioni. L’articolo 266 del codice di procedura penale le considera uno dei mezzi di ricerca della prova di un reato. Nel codice però non c’è una definizione precisa di intercettazione, che si può invece ricavare da alcune sentenze della Corte di Cassazione, l’ultimo grado di giudizio per la giustizia italiana. La sentenza 6 del 2000 definisce intercettazione la «captazione» di conversazioni, che deve essere fatta con strumenti abbastanza sofisticati da impedirne la rilevazione. Inoltre, sempre secondo la sentenza, la conversazione deve avvenire tra «terze persone» senza che queste, o almeno una di loro, «ne siano a conoscenza».
Fino a qualche decennio fa le intercettazioni si distinguevano in “telefoniche” e “ambientali”: nel primo caso la conversazione da intercettare avviene attraverso una rete telefonica tradizionale, a volte con il coinvolgimento del fornitore del servizio telefonico; nel secondo caso si svolge in un determinato luogo e la captazione avviene attraverso l’installazione di microfoni o microspie nell’ambiente stesso.
Con la diffusione di internet e degli smartphone, però, la comunicazione è profondamente cambiata, e sono state introdotte nuove forme di intercettazione. Una è l’intercettazione di “flussi telematici” (introdotta a metà degli anni Novanta), cioè del traffico internet: in teoria dovrebbe consentire di intercettare i dati della rete. Inoltre nel 2017 si è cominciato a intercettare attraverso i cosiddetti “trojan”, cioè virus installati in genere su uno smartphone e in grado di introdursi praticamente in ogni sua parte, azionando il microfono per registrare, scattando foto, registrando video e acquisendo immagini delle schermate.
In ogni caso, le intercettazioni non si possono fare in qualsiasi occasione. L’articolo 15 della Costituzione dice: «La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge». Questo precetto costituzionale è stato poi attuato con le modifiche al codice di procedura penale introdotte dalla legge 517/1955, che estese l’ambito di applicazione anche alle intercettazioni telefoniche.
La regola generale dice che l’attività di intercettazione può essere autorizzata dall’autorità giudiziaria solo per alcuni reati, cioè delitti dolosi puniti con pene massime superiori a cinque anni, o per una serie di delitti espressamente elencati nel codice di procedura penale. Il numero di questi reati è aumentato significativamente negli anni, l’ultima volta nel 2019, con l’introduzione dei reati contro la pubblica amministrazione attraverso la legge che fu chiamata dai suoi promotori “spazzacorrotti”.
Le intercettazioni possono anche servire a proseguire alcune indagini o agevolare le ricerche di una persona latitante, in questo caso si parla informalmente di “intercettazioni processuali”. Oppure possono avere una funzione di pubblica sicurezza, quando hanno l’obiettivo di prevenire eventuali reati: in questi casi si parla di “intercettazioni preventive”, che possono essere avviate senza l’apertura di un procedimento penale, quindi in assenza di reato accertato e persone indagate.
Questo genere di intercettazioni fu pensato negli anni Settanta per prevenire reati terroristici o legati alla criminalità organizzata. La polizia ne faceva un uso piuttosto disinvolto, ma il loro contenuto non poteva essere utilizzato durante i processi né essere citato negli atti, e doveva essere distrutto in poco tempo. Nei decenni successivi poi è stato ulteriormente ristretto l’ambito di utilizzo, e le intercettazioni preventive sono rimaste solo per casi riguardanti mafia o terrorismo, senza che i materiali si possano usare nel processo.
Proprio per questa loro eccezionalità, devono essere richieste dal ministero dell’Interno o da suoi delegati. L’autorità giudiziaria le approva solo se ritiene che ci siano «elementi investigativi che giustifichino l’attività di prevenzione», per un massimo di 40 giorni e con una proroga massima di 20 giorni. Un emendamento alla legge di bilancio approvata alla fine del 2022 (art. 1, comma 684) ha introdotto alcune modifiche alle regole sulle intercettazioni preventive, tra cui ulteriori limiti sui casi in cui si possono usare.
Lo stesso emendamento ha anche introdotto la possibilità per la presidenza del Consiglio di delegare le intercettazioni preventive alle agenzie investigative controllate dai servizi segreti: tra queste c’è anche l’AISI, che secondo Marco Cappato avrebbe avviato le presunte intercettazioni nei suoi confronti. Anche queste intercettazioni devono comunque ricevere un’autorizzazione, in questo caso dal procuratore generale della Corte d’Appello di Roma.
Per le intercettazioni processuali invece la richiesta è presentata dal pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari (gip), che la approva con un decreto se ci sono gravi indizi di reato e se l’intercettazione è ritenuta assolutamente indispensabile per proseguire le indagini. Non è dunque necessario che ci siano gravi indizi di colpevolezza, ma è sufficiente che ci siano gravi indizi di reato, purché sia uno dei reati per cui è previsto l’uso delle intercettazioni come mezzo di prova.
L’autorizzazione del gip vale 15 giorni e può essere prorogata su richiesta del pubblico ministero. Le intercettazioni acquisite nel periodo non coperto dal decreto del giudice non sono utilizzabili. In situazioni considerate di urgenza, quando il ritardo dell’autorizzazione da parte del giudice potrebbe compromettere le indagini, il pubblico ministero può iniziare le intercettazioni con un proprio decreto, che deve però essere confermato dal giudice entro 48 ore.
Nel codice di procedura penale ci sono poi regole precise su come si possono svolgere le «captazioni» e le registrazioni. La modalità ancora oggi più usata sono le classiche intercettazioni telefoniche: iniziano dopo l’autorizzazione del gip, con una richiesta agli operatori che gestiscono le reti telefoniche. Le società di telefonia duplicano la linea da intercettare, cioè creano una linea parallela che è possibile controllare all’insaputa della persona intercettata, e trasmettono le conversazioni registrate al CIT, il Centro intercettazioni telefoniche della procura da cui è partita la richiesta.
Le intercettazioni infatti devono essere fatte esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella procura della Repubblica, salvo casi eccezionali di mancanza di disponibilità, e l’ascolto viene svolto comunque da ufficiali di polizia giudiziaria, che provvedono alla redazione in tempo reale dei verbali chiamati “brogliacci”.
Nei brogliacci l’ufficiale addetto annota le informazioni relative alla conversazione (data, ora, luogo, chi sono gli interlocutori) e una sintesi del contenuto. Il ruolo dei brogliacci diventa cruciale nei processi, perché è generalmente impossibile, anche per il giudice stesso, ascoltare e analizzare centinaia di ore di registrazione. Un errore di trascrizione o un’interpretazione errata nei brogliacci può anche generare gravi errori giudiziari.
Per le intercettazioni ambientali tradizionali l’esecuzione è più complessa. Si utilizzano strumenti come le microspie, anche dette cimici, piccolissimi apparecchi elettronici dotati di microfoni e spesso di videocamera che vengono nascosti dalla polizia giudiziaria nel luogo in cui dovrà avvenire l’intercettazione. Per esempio si possono posizionare durante una perquisizione in un cassetto, su una libreria o all’interno di un’auto. Le intercettazioni ambientali hanno anche un ulteriore limite legato a dove vengono effettuate: per consentirle all’interno delle abitazioni dev’esserci un motivo fondato per ritenere che il reato sia commesso proprio lì, nel domicilio. Questa limitazione non vale solo nei casi di reati legati alla criminalità organizzata.
Infine ci sono le intercettazioni informatiche e telematiche, che hanno potenzialità molto più ampie. Con i trojan l’investigatore può accedere a tutti i dati che sono contenuti nel telefono e a ogni funzione del dispositivo, tra cui il microfono e la fotocamera, la geolocalizzazione e l’acquisizione di password, immagini, email e altri dati d’archivio. La prima legge che ha cercato di disciplinare l’uso dei trojan è la 103 del 2017: prevede che possano essere utilizzati solo come strumento di intercettazione di conversazioni, attraverso l’attivazione del microfono in determinate circostanze. In questo modo di fatto il loro uso è limitato a quello delle intercettazioni ambientali, con la differenza però che sono molto più potenti: non sono infatti legati a un solo luogo, come le cimici. In teoria infatti il telefono potrebbe registrare qualsiasi conversazione in qualsiasi luogo.
I trojan vengono utilizzati da tempo per registrare comunicazioni a voce via internet, come ad esempio le chiamate via WhatsApp, o per intercettare chat e messaggi: in questi casi il loro utilizzo è assimilato agli altri casi di intercettazioni telefoniche, ma sembra ancora mancare un’adeguata regolamentazione al riguardo. È difficile definire “intercettazione” l’acquisizione di una chat, che ha effetti molto invasivi e lesivi della riservatezza.
La legittimità dell’utilizzo di questi software è tutt’altro che condivisa e il dibattito intorno alla loro compatibilità con la nostra Costituzione e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è animato, anche a causa della poca trasparenza delle società produttrici dei trojan e del loro esteso e frequente utilizzo anche nei paesi democratici.