Come sta il ghiacciaio più vasto delle Alpi italiane
Tra il 2007 e il 2022 il ghiacciaio dell'Adamello si è ridotto di 2,6 chilometri quadrati e ha cominciato a frammentarsi
La superficie del ghiacciaio dell’Adamello, il più vasto e profondo ghiacciaio delle Alpi italiane, si è ridotta di 2,6 chilometri quadrati in 15 anni, tra il 2007 e il 2022, arrivando a misurarne 13,1 complessivi. L’anno scorso la scarsità di precipitazioni e le temperature particolarmente alte avevano avuto un impatto significativo sulla sua massa, come su quella degli altri ghiacciai italiani. Secondo le stime del Servizio glaciologico lombardo e della Commissione glaciologica trentina, lo spessore era diminuito tra i due e i tre metri di media, la perdita annuale più grave del trentennio precedente.
Negli ultimi giorni le precipitazioni che hanno interessato il Nord Italia hanno riguardato anche le Alpi: sulle cime ha nevicato e in questo momento anche le rocce intorno al ghiacciaio dell’Adamello sono imbiancate. Nel corso dell’estate però ha fatto parecchio caldo, tanto che una decina di giorni fa in molte zone delle Alpi lo zero termico, cioè l’altitudine a cui l’aria ha una temperatura di 0 °C, ha superato i 5.000 metri. Per questo ci si aspetta che anche lo spessore del ghiacciaio dell’Adamello diminuirà ancora, sebbene non come l’anno scorso.
Il ghiacciaio dell’Adamello si trova nel nord della Val Camonica, a cavallo tra la Lombardia e il Trentino-Alto Adige. Nonostante le sue dimensioni, si prevede che scomparirà probabilmente entro la fine del secolo a causa del riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra dovute alle attività umane, perché nei mesi estivi la quantità di ghiaccio che fonde è molto maggiore di quella che si riforma nei mesi invernali.
«L’ultimo inverno è stato molto asciutto nella prima parte», racconta Roberto Ranzi, professore di Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia dell’Università di Brescia, da anni studioso del ghiacciaio ed esperto degli effetti del cambiamento climatico sul ciclo idrologico: «In tarda primavera però c’è stato un recupero, quindi dal punto di vista dell’accumulo è andata un po’ meglio rispetto all’anno scorso. Poi c’è stata una prima parte del mese di agosto più fresca».
All’altezza del lago artificiale Pantano d’Avio, che si trova a 2.378 metri di altitudine, più in basso rispetto al ghiacciaio, la temperatura media dei primi dieci giorni di agosto è stata di 11 °C. In quei giorni gli scienziati dell’Università di Brescia e del Servizio glaciologico lombardo, che collaborano nell’ambito dei progetti ClimADA e “Un suono in estinzione”, hanno misurato una perdita di ghiaccio media di 5 centimetri al giorno. Nella seconda decade del mese però le temperature sono aumentate, raggiungendo quasi 16 ° C di media, e le perdite medie sono salite fino a 7 centimetri al giorno.
«Prevedo che sull’anno la perdita non sarà grave come quella dell’anno scorso», commenta Ranzi, «ma probabilmente anche quest’anno la perdita di spessore media del ghiacciaio dell’Adamello sarà di circa 2 metri». Già a fine luglio un’analisi del Servizio glaciologico lombardo riguardo a tutti i ghiacciai della regione diceva: «Possiamo quindi affermare con ragionevole certezza che i bilanci di massa dei ghiacciai lombardi saranno fortemente negativi (…). Difficilmente verranno raggiunti i valori di fusione glaciale del 2022 ma, immaginando di cancellare tale nefasta annata della serie storica, saremmo probabilmente qui oggi a parlare del 2023 come una delle potenziali peggiori annate da quando si rilevano i dati».
L’arretramento del fronte del ghiacciaio, cioè della parte più bassa e visibile della massa di ghiaccio, che ormai è consuetudine indicare con cartelli appositi in molti ghiacciai del mondo, tra il 2020 e il 2022 per l’Adamello è stato di 174 metri nel fronte principale (il ghiacciaio ne ha diversi, data la sua vastità). Il dato sarà aggiornato a settembre, perché ancora nelle prossime settimane potrebbe arretrare. La Commissione glaciologica della Società Alpinisti Tridentini, la sezione trentina del CAI, lo misura regolarmente.
Un altro cambiamento che il ghiacciaio sta attraversando, come tanti altri ghiacciai alpini, è la frammentazione. L’Adamello non è più un’unica “unità glaciologica”, ma è composto da almeno tre o quattro masse di ghiaccio separate tra loro. È un fatto che potrebbe accelerarne la fusione, perché le rocce circostanti hanno un effetto di riscaldamento e il processo di arretramento sarà sempre più rapido anche tenendo conto del riscaldamento globale che tutti i modelli climatici prevedono.
Per chi vuole avvicinarsi al ghiacciaio e vederlo dal vivo, significa che bisogna fare particolare attenzione: «Sui ghiacciai bisogna sempre essere cauti», ricorda Ranzi, «ma ora più cauti che in passato per i calderoni, o crepacci circolari, che sono evidenze di collassi interni del ghiacciaio».
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Sono da considerare anche le conseguenze sul lungo termine. Fino a che il ghiacciaio continuerà effettivamente a esserci, il maggiore arrivo a valle dell’acqua proveniente dalla fusione del ghiacciaio non sarà più verso luglio, come succede ora, ma uno o due mesi prima. Questo avrà delle conseguenze per chi si occupa della gestione dell’uso dell’acqua.
Come succede in parte già oggi, i deflussi saranno più corposi rispetto al passato proprio per la maggiore fusione del ghiaccio. Più avanti, spiega Ranzi, «ci sarà un periodo che durerà diversi decenni in cui tutto il limo di esarazione glaciale, cioè prodotto dall’erosione delle rocce da parte del ghiacciaio, verrà portato a valle». Poi l’attuale bacino legato all’Adamello non avrà più un regime “nivo-glaciale”, cioè legato alle fasi di fusione di un ghiacciaio, ma “nivo-pluviale”, cioè dipendente solo da piogge e nevicate. I regimi nivo-pluviali, tipici della fascia pedemontana delle Alpi, quella di minor altitudine, riforniscono d’acqua la pianura in tempi diversi.
Ai grandi laghi comunque continuerà ad arrivare acqua, data da pioggia o neve: i modelli climatici per il futuro non prevedono una riduzione delle precipitazioni, vale a dire che sulle Alpi continuerà a piovere anche con l’intensificarsi del cambiamento climatico.
Questo aspetto è stato studiato da Ranzi in relazione al fiume Adda, che nasce più a nord dell’Adamello ed è il principale immissario del lago di Como. Nel 2021 Ranzi e altri scienziati hanno pubblicato sull’International Journal of Climatology un articolo che mostra come le piogge nel bacino dell’Adda non sono diminuite dal 1850 a oggi. Quella che è cambiata è la distribuzione delle precipitazioni nel corso dell’anno.
Con la progressiva sparizione del ghiacciaio, non solo di quello dell’Adamello, «ci potranno essere piene più rapide perché i ghiacciai e i nevai assorbono i picchi di precipitazione durante i temporali più intensi, mentre se la pioggia incontrerà un terreno roccioso scorrerà più rapidamente. Ma «complessivamente non è detto che i deflussi ai fiumi di pianura cambieranno in maniera drastica per effetto della riduzione dei ghiacciai», conclude Ranzi.
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Potrebbero però essere influenzati da altre trasformazioni del territorio montano causate dalle attività umane. I deflussi di alcuni grandi fiumi alpini sono diminuiti negli ultimi anni, e nonostante il contributo aggiuntivo della fusione pronunciata dei ghiacciai Ranzi e altri scienziati ritengono che possa essere successo perché è aumentata l’acqua che dal suolo passa all’atmosfera attraverso l’evaporazione e la respirazione delle piante (il termine tecnico è “evapotraspirazione”). Questo fenomeno è dovuto all’aumento delle temperature medie, «ma probabilmente anche all’aumento delle aree forestate», dice Ranzi, diffuso in tutta Italia: i boschi infatti emettono maggior vapore acqueo rispetto all’erba dei pascoli.