Sull’aereo che cerca i migranti
Da sei anni una ong tedesca sorvola il Mediterraneo centrale con un piccolo aereo, alla ricerca di imbarcazioni in difficoltà
di Luca Misculin
A bordo di Seabird 2, l’aereo della ong tedesca Sea-Watch che monitora il Mediterraneo centrale alla ricerca di migranti in difficoltà, ciascun passeggero deve portare almeno tre cose. Servono a sopravvivere nel caso l’aereo abbia un guasto e debba atterrare in mare: un razzo per segnalare la propria posizione, un coltellino per tagliare le cinture di sicurezza, un dispositivo satellitare con una piccola antenna che se attivato invia una richiesta di aiuto a tutte le autorità costiere nel raggio di decine di chilometri.
Un dispositivo del genere costa migliaia di euro. Se ciascuno dei migranti che partisse per raggiungere l’Italia ne avesse uno, si avrebbe una stima molto più precisa di quante persone muoiono durante le traversate. Nel 2023 i morti accertati sono già più di 2.000. Senza Seabird 2 sarebbero ancora di più. Seabird 2 è infatti l’unico aereo civile che presidia con costanza il tratto di mare fra la Tunisia, la Libia e l’Italia, coordinandosi sia con le autorità nazionali sia con le ong attive nel soccorso in mare.
«A volte siamo gli unici ad accorgerci di un caso o a cercare un’imbarcazione di cui si sono perse le tracce», racconta Tamino Böhm, fra i capimissione che si alternano su Seabird 2. Una nave alla ricerca di migranti in difficoltà può permettersi missioni di più settimane consecutive, ma è molto lenta e deve decidere accuratamente quali zone pattugliare della vasta area in cui avviene la maggior parte dei naufragi. In poche ore, invece, un aereo che parte da Lampedusa può arrivare fino a ridosso delle acque territoriali libiche e tunisine, e tornare indietro a Lampedusa.
Alle 11:37 di giovedì 24 agosto l’equipaggio di Seabird 2 ha avvistato un ex peschereccio con a bordo 110 migranti a circa 50 chilometri dalle coste di Zuara, in Libia, una delle principali cittadine da cui ormai da anni partono imbarcazioni di migranti. Nessun altro aveva visto quell’imbarcazione, che era decisamente sovraffollata e stava procedendo a 5-6 nodi, circa 10 chilometri all’ora. Dopo l’avvistamento Seabird 2 ha passato immediatamente l’informazione via radio alla ong SOS Méditerranée, la cui nave Ocean Viking si trovava nei paraggi e ha soccorso le persone a bordo.
Non esiste una controprova, ma è possibile che se Seabird 2 non avesse sorvolato quel tratto di mare, nessuno avrebbe saputo di quell’imbarcazione. Lampedusa distava ancora 230 chilometri, la Sicilia poco meno di 500. Per chilometri e chilometri all’orizzonte non si vedeva nessun altro.
Sea-Watch è attiva in volo, oltre che in mare, dal 2017. I suoi mezzi decollano tutti i giorni in cui è plausibile che imbarcazioni di migranti siano in viaggio nel Mediterraneo centrale. Molto poco durante l’inverno, quasi tutti i giorni d’estate. È impossibile stimare esattamente quanti migranti siano stati soccorsi anche grazie alle missioni aeree di Sea-Watch: soltanto nel 2017, durante il primo anno di attività, furono circa un migliaio. Da allora almeno un aereo è sempre rimasto in servizio.
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Fino al 2020 Sea-Watch usava un piccolo aereo modello Cirrus SR22, lungo 7,92 metri e con un’autonomia di circa 6 ore. Nel 2020, grazie alle donazioni raccolte, comprò due aerei bimotore Beechcraft Baron 58, che oggi si alternano nelle missioni. Quello usato in questo periodo si chiama Seabird 2: è lungo 8,53 metri e ha un’apertura alare di 11,53 metri. Può stare in volo fino a 9 ore coprendo un’area di circa 27.000 chilometri quadrati, grande più o meno come la Sicilia. I piloti sono membri della della ong svizzera Piloti Umanitari (HPI), il resto dell’equipaggio ce lo mette Sea-Watch.
L’abitacolo di Seabird 2 è grande più o meno come quello di un furgone, o di un piccolo camper. Rispetto a un veicolo però il rumore del motore è enormemente più alto: per comunicare fra loro, i membri dell’equipaggio usano delle cuffie con un dispositivo di cancellazione del rumore, e un microfono. Ogni centimetro dell’aereo è prezioso, ed è occupato da dispositivi di sicurezza o materiale di riserva per documentare la presenza di imbarcazioni in difficoltà. In una borsa frigo ci sono delle bottiglie d’acqua, qualche bibita, biscotti e panini. L’equipaggio cerca di bere e mangiare il meno possibile: sull’aereo non c’è spazio per un bagno. A chi sale a bordo viene data la possibilità di indossare un pannolino.
I posti a sedere sono quattro. Davanti ci sono quello del pilota e del coordinatore tattico, cioè del capomissione. Seduti su quelli dietro ci sono altre due figure: la persona incaricata di scattare foto e video alle imbarcazioni individuate, e un’altra che può avere incarichi variabili. Il compito principale di tutte e quattro, pilota compreso, è lo spotting, ovvero l’osservazione del mare alla ricerca di eventuali imbarcazioni di migranti in difficoltà.
«L’aereo viene diviso come se fosse un orologio e a ciascuna persona a bordo viene assegnato un quadrante», spiega Luca Marelli, che a bordo si occupa soprattutto di scattare foto e girare video. Il pilota sorveglia il quadrante compreso fra le ore 9 e le ore 12, il coordinatore tattico quello fra le ore 12 e 3, e così via. Per la maggior parte del tempo si osserva il mare a occhio nudo: ogni volta che si intravede una imbarcazione va controllata con un apposito binocolo, che va tenuto sulle gambe per averlo sempre a portata di mano. «In fase di spotting il contributo più importante lo danno le due persone sedute dietro: il pilota deve badare all’aereo e il coordinatore tattico ha anche il compito di gestire le comunicazioni con l’esterno», spiega Marelli.
A volte una missione di Seabird 2 inizia con un obiettivo preciso: sorvolare una imbarcazione in difficoltà di cui si è ricevuto notizia tramite una nave di ong oppure Alarm Phone, il centralino per migranti gestito dall’omonima ong e attivo 24 ore su 24. Se non ci sono casi particolarmente preoccupanti da seguire, Seabird 2 segue uno schema di ricerca con una serie di rettilinei paralleli distanti circa 1o chilometri l’uno dall’altro, cioè più o meno la distanza che si scorge a occhio nudo, guardando fuori. Cosa che è avvenuta, per esempio, nella missione del 24 agosto.
Ogni volta che viene individuata una possibile imbarcazione in difficoltà i membri dell’equipaggio si scambiano freneticamente sigle e abbreviazioni sulla sua posizione e condizione. Ogni imbarcazione viene chiamata target, “obiettivo”. Poi si specifica dove si trova: se il coordinatore tattico avvista una imbarcazione alla sua destra nel mezzo del quadrante comunica di averla vista a ore 1 all’altezza dell’engine pod, cioè di uno dei due motori. Quando l’imbarcazione esce dal campo visivo del coordinatore tattico deve essere presa in carico dalla persona che siede dietro di lui, che dovrà confermare di averla avvistata col comando visual.
Le imbarcazioni di migranti sono piuttosto semplici da distinguere dall’alto. I tipi di barche utilizzate dai trafficanti non sono molti. Se a bordo di un peschereccio ci sono effettivamente delle persone che stanno pescando, se ne vedono due, tre, cinque. Un peschereccio che sta trasportando dei migranti ha a bordo 100, 200, anche 500 persone. In linea generale se una imbarcazione sta navigando verso nord e ha a bordo una quantità di persone spropositata rispetto alla sua stazza quasi sicuramente è una imbarcazione di migranti. O un DC, come lo chiama l’equipaggio di Seabird 2: sta per distress case, o “imbarcazione in difficoltà”.
Per avere una visuale migliore, e anche per stimare più esattamente quante persone ci siano a bordo, ogni volta che Seabird 2 incrocia un DC scende dalla quota di crociera a 450 metri fino a 150 metri dal livello del mare. Allo stesso tempo il pilota comincia a “orbitare” intorno all’imbarcazione, per dare modo a tutto l’equipaggio di osservarla meglio: è il momento più delicato della missione, oltre che il più problematico per le persone a bordo: la gravità le schiaccia contro il sedile e il moto circolare innesca una forte sensazione di nausea. A bordo non mancano mai gomme da masticare e pillole a base di dimenidrinato, per ridurre gli effetti della nausea.
L’equipaggio di Seabird 2 non può fare altro che osservare: l’ong ha valutato se portare a bordo degli oggetti da lanciare alle imbarcazioni in difficoltà, come per esempio un gommone che si gonfia da solo. Ma anche da 150 metri di altezza il rischio di sbagliare mira e di lanciare il gommone troppo lontano, oppure, viceversa, di lanciarlo in testa ai migranti, è stato considerato troppo alto.
Una volta osservata una imbarcazione in difficoltà, e annotate la sua posizione e le sue condizioni dall’esterno (quante persone sembra avere a bordo, a che velocità sta procedendo, come è messo lo scafo) il coordinatore tattico passa queste informazioni al team di terra di Sea-Watch, che a sua volta le mette in ordine e avverte sia le ong che si trovano nell’area sia le autorità nazionali competenti.
Fino a qualche anno fa succedeva anche il contrario. Capitava per esempio che il Centro Nazionale di Coordinamento del Soccorso Marittimo (in inglese MRCC) di Roma, la centrale italiana che coordina le attività di ricerca e soccorso nella maggior parte del Mediterraneo centrale, chiedesse a Sea-Watch di sorvolare una imbarcazione in difficoltà che non poteva essere raggiunta via mare. Dall’estate dal 2018, cioè da quando l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini consolidò la politica di ostilità verso le ong avviata dal suo predecessore Marco Minniti, le autorità italiane non parlano più con Sea-Watch né con le altre ong attive nella ricerca e soccorso di migranti in mare.
Nell’estate del 2023 questo approccio era stato sospeso per alcune settimane, verosimilmente per via dei numeri molto ingenti degli arrivi via mare. Dalla fine di agosto il governo è tornato all’approccio più rigido diventato la norma dal 2018 a oggi. Le ong non vengono mai avvisate di una imbarcazione in difficoltà nel Mediterraneo. Le autorità italiane le contattano solo per assegnare loro un porto di sbarco dopo una operazione di soccorso.
Negli stessi anni in cui le autorità italiane ed europee hanno smesso di comunicare con le ong, intorno al 2018, le stesse autorità hanno messo in piedi un sistema aereo di sorveglianza nel Mediterraneo centrale. Il 16 agosto, per esempio, il tratto di mare compreso fra Lampedusa, Malta e le coste libiche e tunisine è stato sorvolato da una decina di aerei militari. Una delle autorità più attive nei cieli del Mediterraneo centrale è Frontex, la controversa agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
Secondo un rapporto di Human Rights Watch nel 2021 gli aerei di Frontex hanno passato informazioni su imbarcazioni di migranti alla cosiddetta Guardia costiera libica che hanno portato al respingimento di circa 10mila persone. Sono circa un terzo delle persone intercettate e riportate con la forza in Libia in tutto il 2021. Allo stesso tempo succede assai raramente che Frontex segnali le imbarcazioni in difficoltà a tutte le navi che ascoltano il canale 16 del sistema radio marittimo, quello dedicato alle emergenze. Sempre secondo Human Rights Watch tra gennaio 2020 e aprile 2022 l’agenzia ha emesso 21 allarmi di emergenza, cioè una piccolissima parte delle centinaia di imbarcazioni che ha avvistato nello stesso periodo.
Nel tempo la collaborazione fra i mezzi aerei militari europei e italiani e la cosiddetta Guardia costiera libica sembra essersi ulteriormente rafforzata. Sea-Watch sostiene che oggi circa il 90 per cento delle operazioni di intercettazione di migranti da parte delle autorità libiche avvenga grazie alle informazioni passate dagli aerei di Frontex, della Guardia costiera e della Guardia di Finanza italiane, e dell’aeronautica di Malta.
La Libia è un paese in cui da 12 anni si combatte una guerra civile (non sempre con la stessa intensità), e dove i migranti vengono tenuti per mesi o anni nei centri di detenzione dove subiscono sistematicamente violenze, stupri, ricatti. Sea-Watch ha deciso di attivare un monitoraggio aereo per evitare che le informazioni ottenibili solo da una sorveglianza aerea finissero tutte alla cosiddetta Guardia costiera libica, che è collusa con i trafficanti di esseri umani. «Abbiamo dovuto costruire una struttura parallela perché nessuna ong riceveva più alcun tipo di informazione dalle autorità», racconta Böhm.
Di questa struttura parallela fanno parte Alarm Phone, gli aerei di Sea-Watch e le navi delle ong attive nel soccorso in mare. D’estate nel Mediterraneo centrale ce ne sono tante: le ong con meno risorse concentrano le loro attività nel periodo con più partenze, e le ong più grandi fanno in modo di tornare attive il più velocemente possibile, dopo uno sbarco.
Quando questa struttura parallela funziona, riesce a evitare che i migranti vengano intercettati dalla cosiddetta Guardia costiera libica e riportati in Libia. È successo con il peschereccio avvistato giovedì 24 agosto da Seabird 2: l’equipaggio ha avvisato via radio la Ocean Viking, che era nei paraggi e ha soccorso rapidamente le 110 persone a bordo.
Durante la missione di giovedì 24 agosto Seabird 2 si è coordinata anche con la Geo Barents, la nave di Medici Senza Frontiere che soccorre le persone nel Mediterraneo.
«Per la Geo Barents la presenza di un assetto del genere è di una utilità indescrivibile», spiega Fulvia Conte, responsabile del team di soccorritori e soccorritrici a bordo della nave. «Con SeaBird abbiamo fatto varie operazioni congiunte. A volte l’aereo, continuando a monitorare l’imbarcazione verso la quale ci stiamo avvicinando, permette che i nostri gommoni semirigidi la raggiungano in maniera più precisa. Una delle immagini forse più belle dal punto di vista operativo è quella dell’aereo che dopo aver lanciato l’allarme si dirige verso il barchino in difficoltà e ce ne indica la posizione».
I gommoni semirigidi delle navi delle ong infatti sono molto bassi, e l’equipaggio a bordo riesce a vedere solo quello che c’è nelle immediate vicinanze. Quando vuole segnalare la posizione di un barchino alle navi delle ong e ai loro gommoni semirigidi, Seabird 2 alza e abbassa le ali, come a richiamare l’attenzione di chi è in mare.
Con la Geo Barents non ce n’era stato bisogno: attorno alla nave di Medici Senza Frontiere non c’erano imbarcazioni in difficoltà. Qualche ora prima però Seabird 2 aveva effettuato questa manovra di segnalazione nei confronti della Ocean Viking. L’equipaggio dell’aereo aveva avvistato un barchino di legno con circa 50 persone a bordo. La Ocean Viking era nei paraggi e guidata dall’oscillazione delle ali di Seabird 2 aveva soccorso tutte le 50 persone portandole a bordo.
È stata una questione di minuti. Poco dopo era arrivata sul posto anche una motovedetta della cosiddetta Guardia costiera libica modello 658 Fezzan, donata nel 2018 dall’Italia. La motovedetta era andata via a mani vuote: la Ocean Viking stava già compiendo un soccorso.
Ad altre persone, quel giorno, è andata diversamente. Fulvia Conte di Medici Senza Frontiere ha detto che nel pomeriggio ha visto una motovedetta della Guardia costiera libica piena di persone intercettate, che di lì a poco sarebbero state riportate in Libia.