Le proteste contro Assad nella Siria meridionale
I manifestanti chiedono da più di una settimana le dimissioni del presidente, accusato di essere responsabile della crisi economica
Per la seconda settimana consecutiva in alcune aree nel sud della Siria ci sono state manifestazioni contro il governo, con esplicite richieste di dimissioni nei confronti del presidente Bashar al Assad. Le proteste più grandi sono state organizzate a Sweida, città che si trova nei territori siriani controllati da Assad, dove le proteste antigovernative non sono molto frequenti: è proprio questa circostanza a renderle così particolari. A quasi 12 anni dall’inizio della guerra nel paese, la Siria ha ancora alcuni territori controllati da gruppi di ribelli (più o meno estremisti), in alcuni casi ostili tra loro.
Intorno a Sweida i manifestanti hanno bloccato alcune strade, mentre altre persone si sono riunite in una delle piazze centrali della città inneggiando alla Siria e chiedendo le dimissioni di Assad. Sweida è abitata per la maggior parte da drusi, una minoranza religiosa di derivazione musulmana e sciita, che dall’inizio della guerra in Siria nel 2011 hanno cercato di non essere coinvolti nel conflitto. In questi anni i loro capi religiosi, per esempio, si sono rifiutati di autorizzare l’arruolamento nell’esercito dei propri seguaci.
Le proteste degli ultimi giorni sono iniziate in seguito all’aumento del prezzo del carburante e alle difficili condizioni economiche della zona, che riflettono le gravi conseguenze di molti anni di guerra, come in diverse altre aree della Siria. Il numero di partecipanti alle manifestazioni nel sud del paese è via via aumentato negli ultimi giorni, così come è aumentata la richiesta di dimissioni di Assad (mettere in dubbio e criticare direttamente il presidente può avere gravi conseguenze in Siria).
Con cartelli e slogan urlati in piazza, a Sweida i manifestanti hanno inoltre chiesto che vengano liberate le migliaia di persone arrestate negli ultimi anni e scomparse, sulle quali le loro famiglie non hanno più avuto notizie. Tramite una risoluzione, le Nazioni Unite hanno più volte chiesto al regime di Assad di fornire informazioni su quegli arresti, senza ottenere risposte soddisfacenti.
In molti casi le proteste sono sostenute dai leader religiosi dei drusi, un possibile segnale della fine della loro posizione di equidistanza. Il loro assenso alle manifestazioni è un ulteriore problema per Assad, che in questi anni aveva cercato di mantenere il favore di alcune delle più principali minoranze del paese.
Il regime di Assad fatica a controllare parti importanti della Siria e a rilanciarne l’economia dopo quasi 12 anni di guerra. La lira siriana continua a perdere valore rispetto alle altre valute e il governo non riesce a contrastarne gli effetti, nonostante abbia più volte annunciato piani per un rilancio economico. Si stima che circa il 90 per cento della popolazione sia oltre la soglia di povertà proprio a causa delle conseguenze della guerra, con i beni di prima necessità molto costosi e difficili da reperire. Il governo accusa l’Occidente di avere messo in queste condizioni il paese con le sanzioni economiche applicate negli ultimi anni, soprattutto in seguito all’emergere di nuove prove sui crimini di guerra commessi dal regime siriano.