La pornografia mainstream alimenta le violenze di genere?
Lo ha suggerito la ministra Roccella, ma la risposta è complessa: di sicuro influenza il rapporto degli adolescenti con la sessualità
Intervenendo al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella ha fatto riferimento allo stupro di gruppo di Palermo sostenendo che abbia confermato come sia necessario «intervenire sul piano educativo» e «forse anche sulla fruizione del porno per i minori».
La discussione intorno a una maggiore regolamentazione nella fruizione del porno mainstream (quello disponibile su siti come Pornhub e YouPorn, che è per la maggior parte gratuito e facilmente reperibile) non è nuova, se ne parla da tempo in molti paesi del mondo e d’Europa. Qualche mese fa ad esempio il governo francese ha presentato una proposta per impedire ai minorenni l’accesso ai siti porno attraverso un meccanismo «affidabile» di certificazione della maggiore età. Spesso a proporre limiti di questo tipo non sono peraltro movimenti che si occupano di violenza maschile, bensì politici e partiti conservatori – come Roccella – ispirati più o meno esplicitamente da principi proibizionisti e legati alla difesa di una presunta moralità.
Ci sono diverse ricerche che cercano di spiegare l’impatto della pornografia mainstream sugli e sulle adolescenti: sul modo in cui concepiscono e praticano il sesso, sul modo in cui ne parlano, e su come costruiscono di conseguenza l’idea di mascolinità, femminilità, intimità, potere e relazione tra i sessi. Questa questione, aveva scritto qualche anno fa in un lungo articolo sul tema il New York Times Magazine, assume ancor più rilevanza in un contesto in cui l’educazione sessuale è scarsa, approssimativa, antiquata e spesso in mano a persone senza competenze. Almeno quando c’è, perché ci sono poi paesi in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria per legge. E l’Italia è uno di questi.
I diversi studi sono innanzitutto concordi nel dire che il consumo di pornografia tra gli e le adolescenti è aumentato costantemente nel tempo, che si è abbassata l’età della prima esposizione a materiale sessualmente esplicito e che è piuttosto alta anche la percentuale di fruizione involontaria di pornografia, quella che capita di vedere senza volerlo stando online (negli Stati Uniti, ad esempio, varia dal 35 al 66 per cento). Anche i cambiamenti sociali o ambientali hanno avuto delle conseguenze sui numeri: il consumo segnalato di materiale pornografico è ad esempio aumentato durante il periodo della pandemia da coronavirus e dei lockdown.
A consumare pornografia, rilevano poi le ricerche, sono soprattutto maschi, anche se le consumatrici abituali sono comunque una percentuale rilevante. Già nel 2012, uno studio condotto in Germania diceva che il 93 per cento degli adolescenti maschi e il 52 per cento delle adolescenti di età compresa tra 16 e 19 anni avesse testimoniato di aver visto del porno quando erano minorenni.
Anche se è molto difficile avere risposte certe, esistono molte ricerche che hanno provato a comprendere l’impatto concreto della pornografia mainstream sulla salute e sul benessere sessuale degli e delle adolescenti. La maggior parte di questi studi stabilisce però delle correlazioni, non dei rapporti di causa-effetto, limitando dunque le conclusioni che si possono trarre dai risultati. Alcune indicazioni, comunque, le danno.
Di recente le ricerche hanno esaminato alcuni potenziali aspetti positivi del consumo di pornografia mainstream: hanno segnalato che può aiutare lo sviluppo sessuale nell’adolescenza e, oltre ad essere uno strumento di gratificazione, può essere anche una fonte di informazione, soprattutto in assenza di un’adeguata educazione sessuale.
Alcuni studi qualitativi hanno poi rilevato come la pornografia abbia un ruolo nella decisione di esplorare alcune nuove pratiche sessuali o nell’aumento di fiducia delle persone: suggeriscono cioè che la pornografia possa contribuire a mostrare delle pratiche e a dare informazioni su ciò che al partner può potenzialmente piacere, incoraggiando un approccio al sesso più positivo. Alcune ricerche dicono infine che la pornografia può avere un ruolo nella sperimentazione dell’attrazione sessuale e nell’identificazione del proprio o dei propri orientamenti.
La maggior parte delle ricerche si concentra comunque sugli effetti negativi del consumo di porno mainstream nella formazione dell’immaginario sessuale. Questi studi sono limitati nelle conclusioni, e gli scienziati sono piuttosto divisi su quanto si possa attribuire a un singolo fattore, come il porno, eventuali trasformazioni nel comportamento degli e delle adolescenti e delle persone in generale. Uno studio pubblicato nel 2021 sul Journal of Sex Research ha concluso che il consumo di pornografia sia sostanzialmente irrilevante nel determinare il sessismo di una persona, e che anzi possa al limite contribuire a un maggiore egualitarismo. Anzi, lo stesso studio ha rilevato che le persone che sostengono divieti contro il porno siano meno a favore dell’uguaglianza di genere rispetto a quelli che lo difendono.
La questione non è tanto se il porno stia creando una generazione di ragazzi violenti, né se li stia rendendo più precoci: i dati dicono anzi che negli Stati Uniti gli adolescenti arrestati oggi per reati sessuali sono meno di prima, e in generale gli adolescenti in media fanno sesso più tardi. Ma l’impatto della pornografia online tra le nuove generazioni è interessante, e per molti preoccupante, soprattutto per come sta plasmando il modo in cui gli adolescenti concepiscono il sesso, per come ne parlano, e i collegamenti di questi temi con l’idea di mascolinità, di femminilità, di intimità e di potere.
L’accesso sempre più precoce e massiccio alla pornografia mainstream, dicono la maggior parte degli studi, alimenta credenze, aspettative e atteggiamenti non realistici sulla sessualità: gli adolescenti si aspettano cioè che quel che vedono nei video assomigli a un’esperienza vissuta nel mondo reale, cosa che nella maggior parte dei casi non è. Uno studio condotto alla Middlesex University di Londra ha rilevato che più della metà dei ragazzi tra gli 11 e i 16 anni che ne ha consumata pensa che sia realistica. Tra le ragazze, la percentuale scende al 39%. Gli studi dicono anche che gli e le adolescenti potrebbero essere influenzati nella percezione del sesso come qualcosa di principalmente fisico, performativo, meccanico e casuale, piuttosto che come qualcosa anche di emotivo e relazionale.
Le ricerche suggeriscono di conseguenza che più gli adolescenti consumano pornografia più sperimentano preoccupazioni e sfiducia verso loro stessi, legate alla sessualità. E sviluppano anche alcuni atteggiamenti, come la convinzione che le donne siano degli oggetti sessuali piuttosto che persone con cui relazionarsi, come aveva rilevato già nel 2009 una ricerca pubblicata sul Journal of Communication. I maschi, in particolare, se esposti a porno sessualmente violenti hanno riferito di considerare più accettabili gli atteggiamenti violenti e la violenza sessuale. L’esposizione alla pornografia può avere infine un impatto anche sulle condotte sessuali: maggiore frequenza di sesso occasionale, comportamenti ad alto rischio o sessualmente coercitivi, uso di sostanze durante il sesso, livelli elevati di aggressività sessuale. E questo soprattutto tra i maschi.
Intervistata un paio di anni fa dal Guardian, la docente di criminologia della Middlesex University Elena Martellozzo aveva detto che, senza per questo generalizzare e pensare che valga per chiunque consumi la pornografia mainstream, «sappiamo che alcuni giovani uomini vogliono riprodurre quello che vedono e quindi si aspettano che le ragazze ubbidiscano alle loro richieste, ai loro desideri o ai loro gesti». Il messaggio di molta pornografia è che gli uomini abbiano un “diritto” sul corpo delle donne, e questo mina la consapevolezza sul concetto di consenso. «È la definizione di “cultura dello stupro”», secondo Martellozzo.
Diverse studiose e diversi studiosi ritengono infatti che il fatto che il punto di vista del porno mainstream sia prevalentemente maschile alimenti la cosiddetta “cultura dello stupro”, un insieme di convinzioni, pregiudizi e comportamenti che non solo contemplano la violenza e gli abusi di genere, minimizzandoli e normalizzandoli, ma che normalizza e incoraggia anche gli atteggiamenti e le pratiche che giustificano e sostengono quella violenza e che pretendono di avere il controllo sulla sessualità femminile. Sono esempi di questa “cultura” l’utilizzo di un linguaggio misogino, l’oggettivazione costante del corpo delle donne o lo “slut shaming”, cioè la stigmatizzazione dei comportamenti e dei desideri sessuali femminili che si discostano dalle aspettative di genere tradizionali.
Alcuni anni fa Debby Herbenick e Bryant Paul della Indiana University School of Public Health analizzarono circa 6.000 video di porno eterosessuale mainstream in cerca di episodi di aggressioni, definite come azioni volontarie per recare danno fisico o psicologico a un’altra persona. Ce n’erano nel 33 per cento dei video, e in oltre il 90 per cento dei casi a subirle erano donne.
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Inoltre, mettendo in scena corpi che corrispondono a determinati canoni estetici, la pornografia mainstream rappresenta l’esasperazione di ciò che è considerato “femminile” o “maschile” rafforzando gli stereotipi di genere.
Paul B. Preciado, filosofo e scrittore spagnolo che si occupa di teoria queer e studi di genere, sostiene che la pornografia sia «una potente tecnologia di produzione di genere e sessualità» che ha creato e normalizzato i modelli stereotipati di mascolinità e femminilità, e che ha generato «scenari utopici scritti per soddisfare l’occhio eterosessuale maschile». La pornografia «mostra essa stessa quali sessualità vengano al suo interno socialmente legittimate o scoraggiate, quali siano le pratiche accettabili e i soggetti rappresentabili e degni di essere “sessualmente desiderabili”». Codifica la sessualità, induce desideri, impone stereotipi, stabilisce ciò che è “normale” ed esclude ciò che non lo è.
Storicamente all’interno dei movimenti femministi, la pornografia è stata un argomento di conflitto molto aspro. A partire dalla fine degli anni Sessanta, all’interno del pensiero femminista il rapporto sessuale era diventato una vera e propria vicenda politica: alla radice del predominio maschile sulle donne, avevano teorizzato diverse pensatrici, non c’era lo sfruttamento economico né l’esclusione dai diritti politici e civili (come avevano sostenuto le femministe fino a quel momento), ma una supremazia nella sfera della sessualità e della riproduzione. Alle donne era stato cioè imposto un modello di sessualità basato unicamente sul piacere maschile, un piacere che conduce alla procreazione e che porta, automaticamente, all’imposizione di ruoli sociali e familiari ben definiti.
A partire da qui, parte del femminismo interpretò la pornografia come il prodotto più evidente della disuguaglianza sociale, economica e politica tra i sessi. E attraverso la pornografia spiegò lo sfruttamento politico e sessuale delle donne, così come la violenza esercitata nei loro confronti. Arrivò dunque a rifiutare la pornografia sostenendo nei suoi confronti posizioni abolizioniste e censorie.
Allo stesso tempo si sviluppò un altro movimento di donne, che si identificava anch’esso con il movimento femminista e che venne definito pro-sex. Denunciava anch’esso l’industria pornografica commerciale così com’era, ma criticava le conclusioni a cui era arrivato il femminismo abolizionista. Sosteneva che le rappresentazioni pornografiche mainstream non fossero le uniche possibili, che il corpo e il piacere delle donne non avessero un’unica storia, e che potevano dunque rappresentare anche una resistenza al patriarcato.
Questo femminismo parlò della necessità di una nuova politica della sessualità: che mettesse al centro la riappropriazione femminile del piacere e della sua rappresentazione dando vita a un altro porno che, a seconda dei casi, si è autodefinito indipendente, etico, femminista, queer o tutte queste categorie insieme.
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Al di là delle loro differenze tutti i movimenti femministi hanno sempre insistito, allora come oggi, sulla necessità di un’adeguata educazione sessuale fin dai primi anni di scuola. Anche l’Organizzazione mondiale della sanità ha più volte ribadito come l’educazione sessuale non debba consistere nel parlare alle persone più giovani di sesso e di preservativi, ma li debba piuttosto preparare a una vita sessuale e riproduttiva sana e piacevole. Ci sono molte prove provenienti dai paesi di tutto il mondo sul fatto che i programmi di educazione sessuale ben progettati e combinati con un’educazione di genere migliorino la conoscenza e la comprensione della sessualità, promuovano comportamenti positivi, riducano le gravidanze indesiderate, le infezioni trasmesse sessualmente, l’omofobia e gli abusi sessuali. L’OMS dice anche che l’assenza di un’adeguata educazione sessuale unita alla diffusa disponibilità della pornografia mainstream contribuisce a sviluppare comportamenti, sessuali e non, malsani.
Roccella, nel suo intervento a Rimini, oltre ad aver preso posizione contro la pornografia non ha fatto alcun riferimento all’introduzione di corsi di educazione sessuale nelle scuole: ha solo genericamente annunciato l’attivazione nelle scuole di alcune «campagne di sensibilizzazione».