Cent’anni fa don Minzoni venne ucciso dai fascisti
Ci sono strade intitolate a lui in quasi ogni città italiana, ma la sua storia è poco ricordata
Il 23 agosto del 1923, cento anni fa, don Giovanni Minzoni fu assassinato ad Argenta, nel ferrarese, a colpi di bastone e pietre da due fascisti. I due assassini rispondevano agli ordini di quello che era allora il maggiore esponente del Partito Nazionale Fascista di Ferrara, Italo Balbo. Balbo, politico e aviatore, celebrato poi dal regime fascista come eroe dopo la trasvolata atlantica del 1933, era finanziato da molti proprietari terrieri. Comandava tutte le squadre fasciste della zona che in quegli anni picchiavano e uccidevano sindacalisti e braccianti che protestavano e scioperavano contro le insopportabili condizioni di lavoro.
Don Minzoni era nato a Ravenna nel 1885. Fu ordinato sacerdote nel 1909, l’anno seguente divenne cappellano di Argenta e nel 1916 prese il posto del parroco. Nel 1917 andò al fronte nella Prima guerra mondiale e venne nominato cappellano della 225ᵃ brigata di fanteria Veneto. Dopo la battaglia del Piave venne decorato con la medaglia d’argento al valor militare. Tornato ad Argenta si avvicinò alle posizioni del Partito Popolare Italiano, che don Luigi Sturzo aveva fondato nel 1919. Fu promotore della nascita di cooperative cattoliche tra i braccianti e gli operai e si oppose ai capi del movimento fascista dell’Emilia-Romagna: oltre a Balbo, Dino Grandi e Leandro Arpinati.
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Dalla fine del 1920 le squadre fasciste romagnole manganellarono, ferirono, umiliarono con l’olio di ricino, e in molti casi uccisero, attivisti di sinistra ma anche esponenti del cattolicesimo sociale. Le loro azioni erano sistematicamente ignorate, e a volte protette, dalla polizia.
Il 17 aprile 1921 le milizie fasciste comandate da Balbo occuparono per un’intera giornata Argenta, considerato “comune rosso”. Il 7 maggio uccisero a bastonate, finendolo con due colpi di pistola, il sindacalista Natale Gaiba. Parlando ai parrocchiani don Minzoni accusò i capi fascisti di «viltà» e «barbarie». In quei mesi fondò un gruppo scout in aperto contrasto con l’istituzione dell’Avanguardia giovanile fascista.
Ciò che accadeva nei comuni dell’Emilia-Romagna accadeva in quegli anni ovunque, soprattutto nel Nord Italia dove i fascisti tentarono di smantellare, riuscendoci, la rete organizzativa del movimento operaio e contadino.
Già nel 1921 i capi fascisti del ferrarese, tra cui Balbo, esercitavano un dominio incontrastato circondati da bande armate, le cosiddette camicie nere, che erano di fatto milizie personali. Il 27 luglio del 1922 Balbo guidò le camicie nere all’occupazione di Ravenna. Tra il 27 e il 28 ci furono nove morti tra le squadre fasciste. Per rappresaglia, Balbo diede ordine di bruciare l’Hotel Byron, sede delle cooperative socialiste. Poi guidò una colonna di autocarri, che Mussolini chiamò «colonna di fuoco» e che incendiò e distrusse case di antifascisti nei comuni di Forlì e Ravenna. Nell’agosto dello stesso anno 10mila fascisti tentarono l’occupazione di Parma. Gli scontri furono violenti: morirono quattro persone a Sala Baganza, due fascisti e due abitanti, e cinque persone a Parma, tutti antifascisti del quartiere Oltretorrente, tra cui un consigliere comunale del Partito Popolare Italiano.
Nel 1922 Balbo fece parte del quadrunvirato che guidò la marcia su Roma, l’evento che secondo molte interpretazioni storiche fu il passaggio cruciale per trasformare l’Italia in una dittatura. Divenne poi membro del Gran Consiglio del fascismo e comandante generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale. Nel frattempo don Minzoni aumentava il suo impegno antifascista schierandosi apertamente contro le milizie. Il 23 aprile del 1923 il Partito Popolare Italiano uscì dal governo di Mussolini, di cui inizialmente aveva fatto parte. La frangia filofascista del partito si dissociò, creando una nuova formazione politica. Poco dopo don Sturzo, su pressioni del Vaticano, fu costretto a dimettersi dalla segreteria.
Subito dopo l’uscita del PPI dal governo, don Minzoni annunciò pubblicamente la sua adesione al partito. In quei mesi in tutta l’Emilia-Romagna si intensificarono le violenze contro esponenti cattolici antifascisti.
La sera del 23 agosto, mentre stava rientrando in canonica assieme a un parrocchiano, don Minzoni fu aggredito da due fascisti di Casumaro, una frazione del comune di Cento, in provincia di Ferrara. I due aggressori erano Giorgio Molinari e Vittorio Casoni: entrambi rispondevano agli ordini della milizia comandata da Italo Balbo. Don Minzoni fu colpito con bastoni e pietre che gli fratturarono le ossa del cranio. Il parrocchiano che era con lui fu picchiato violentemente. I due aggressori fuggirono, don Minzoni si rialzò e poi crollò a terra. Fu portato a casa dove morì intorno a mezzanotte.
L’inchiesta sull’omicidio venne presto archiviata. Nel 1924 Italo Balbo querelò due giornali, Il Popolo e La voce repubblicana, che lo avevano indicato come mandante dell’omicidio. Furono pubblicati documenti che provavano le direttive date da Balbo ai miliziani perché aggredissero gli antifascisti. Balbo perse la causa per diffamazione e fu costretto a pagare le spese processuali.
L’anno successivo l’inchiesta fu riaperta, Molinari e Casoni furono processati ma vennero assolti. Nel 1946, dopo la caduta del fascismo e la fine della guerra, la Corte di Cassazione annullò la sentenza, e ci fu un nuovo processo. I due imputati vennero condannati per omicidio preterintenzionale ma subito scarcerati perché nel frattempo era stato firmato il “Decreto presidenziale di amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari”, la cosiddetta “amnistia Togliatti” dal nome del leader comunista che l’aveva proposta, Palmiro Togliatti, allora ministro di Grazia e Giustizia.
Italo Balbo nel frattempo era morto il 28 giugno del 1940, precipitando in Libia con il suo aereo colpito dalla contraerea della nave italiana San Giorgio, che l’aveva scambiato per un mezzo inglese. La vedova di Balbo sostenne che non si fosse trattato di un errore ma che l’ordine di uccidere il marito fosse stato dato a Roma perché la figura di Balbo era diventata troppo popolare e influente, soprattutto dopo il successo della trasvolata atlantica del 1933. Sull’ipotesi del complotto non c’è mai stato però nessun riscontro.
Don Minzoni è sepolto nella chiesa di San Nicolò di Argenta. Il 7 ottobre prossimo, nel Duomo di Ravenna, verrà avviato il processo di beatificazione. A lui sono dedicate strade e piazze in quasi tutti i comuni italiani. Ma in Italia ci sono strade anche dedicate a Balbo, storicamente ritenuto il mandante dell’omicidio di don Minzoni. Al Burnham Park di Chicago, negli Stati Uniti, c’è un’antica colonna romana che venne donata da Mussolini dopo la trasvolata atlantica del 1933, che terminò proprio a Chicago. Quell’anno in città si svolgeva l’esposizione universale. La colonna si chiama “Balbo Monument”.
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