Chi era Jean Tatlock, per chi vedrà “Oppenheimer”
Nel film di Christopher Nolan ha un ruolo marginale e poco approfondito, ma fu un personaggio notevole, oltre che infelice
In Italia Oppenheimer, il nuovo film di Christopher Nolan che racconta la storia del “padre della bomba atomica” Robert Oppenheimer, esce al cinema il 23 agosto. In gran parte del mondo però era già al cinema il 21 luglio, e da allora tantissime persone hanno avuto tempo e modo di dare la propria opinione al riguardo. Come era prevedibile dato il culto che negli ultimi anni si è sviluppato attorno a Nolan e ai suoi film, quasi tutte le recensioni sono molto positive. Uno dei pochi aspetti criticati più spesso è però il fatto che, come accade in quasi tutti gli altri film di Nolan, anche in Oppenheimer i personaggi femminili siano caratterizzati in modo rapido e superficiale, senza che le loro personalità, le loro storie o le loro motivazioni siano particolarmente approfondite.
In Oppenheimer i personaggi femminili di maggiore spicco sono due. Una è Katherine “Kitty” Oppenheimer, biologa e botanica sposata con J. Robert Oppenheimer dal 1940 alla morte del fisico nel 1967 e interpretata nel film da Emily Blunt: viene mostrata soprattutto come una donna con grossi problemi di alcolismo e a tratti crudele. La seconda è la psichiatra e attivista comunista Jean Tatlock, fidanzata e poi amante del protagonista e interpretata da Florence Pugh.
Tatlock è storicamente considerata il vero, grande amore della vita di Oppenheimer, ed è al centro di uno dei principali intrecci del film: quello che ruota attorno all’udienza del 1954 con cui la Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti decise di revocare l’accesso alle informazioni riservate sulla sicurezza nazionale di Oppenheimer per via delle sue frequentazioni comuniste, sostanzialmente affossando la sua credibilità e la sua carriera. Benché la presenza di Tatlock e la sua influenza nella vita del fisico fossero abbastanza centrali nella vicenda, però, nel film le vengono riservate veramente poche scene. Ed è molto difficile per chi non ne conosce già la biografia capire come mai il suo personaggio si comporti in modo tanto instabile ed eccentrico.
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«È naturale che al centro della storia ci sia Oppenheimer», ha scritto la giornalista Mireia Mullor sulla rivista Digital Spy. «Ma benché tutti i personaggi gravitino attorno a lui, alcuni, tra cui quello di Jean Tatlock, danno l’impressione di essere stati scritti particolarmente male, in un modo che ne sottovaluta i meriti. (…) Nel film, Tatlock sembra a tratti il frutto dell’immaginazione di Oppenheimer, il catalizzatore dei suoi tormenti, una presenza che è un incubo nella vita del protagonista, alla stregua delle scintille e delle esplosioni che lo tengono sveglio la notte. Ma era una persona reale».
Sul Daily Dot, Michael Boyle scrive qualcosa di simile: «è difficile non desiderare che il film si soffermi un po’ più su Jean. Nella maggior parte delle sue scene è impegnata a fare sesso con Oppenheimer, essere depressa, o entrambe le cose insieme. Ma Jean Tatlock ha avuto un’intera vita al di fuori di quell’uomo e c’era una quantità deprimentemente grande di dettagli della sua vita che il film ha tralasciato, o che ha menzionato solo di sfuggita».
Jean Tatlock nacque il 21 febbraio 1914 ad Ann Arbor, in Michigan. Suo padre, John Strong Perry Tatlock, era un noto professore di letteratura inglese, esperto di Geoffrey Chaucer e letteratura dell’epoca elisabettiana: aveva ottenuto il dottorato all’Università di Harvard, scritto una sessantina di saggi e insegnato alla University of Michigan, a quella di Stanford, a Harvard e poi a Berkeley, in California. Tatlock passò quindi l’infanzia e l’adolescenza ad ascoltare lui e la madre che leggevano opere letterarie ad alta voce e ad andare a teatro.
Tatlock fu considerata fin da subito una ragazza molto brillante, anche per gli standard delle scuole che frequentava: in Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica. Il trionfo e la tragedia di uno scienziato, la biografia da cui è tratto il film di Nolan, si legge che una compagna di classe al Vassar College, una delle prime istituzioni a permettere alle donne statunitensi di laurearsi, la ricordava come «la ragazza più promettente che abbia mai conosciuto, l’unica tra tutte quelle che vedevo intorno a me al college che già allora sembrava destinata a qualcosa di grande». I biografi di Oppenheimer la descrivono anche come «una donna dallo spirito libero, con una mente affamata e poetica» e «l’unica persona a rimanere indimenticabile in qualsiasi stanza si trovasse, qualsiasi fossero le circostanze».
Nel 1931 passò un anno a viaggiare in Europa prima di cominciare l’università, e trascorse molto tempo in Svizzera da un’amica della madre, una devota seguace dello psicanalista Carl Jung. Fu così che la giovane Tatlock si avvicinò alla psicologia e, più tardi, alla psichiatria, che avrebbe finito per studiare alla Scuola di Medicina di Stanford, laureandosi nel 1941. Questo genere di esperienze la portarono ad «acquisire per natura [una maturità superiore a quella dei coetanei] e a fare esperienze profonde che alla maggior parte delle ragazze della sua età erano precluse almeno fino alla laurea».
Al Vassar College studiò letteratura inglese e cominciò ad avvicinarsi al giornalismo, scrivendo per la rivista letteraria dell’università. Anni dopo avrebbe lavorato a una serie di reportage per il Western Worker, giornale affiliato al partito comunista statunitense, raccontando storie di ingiustizia e disuguaglianze sociali. Si considerava un’«antifascista prematura», protestando contro le politiche di Benito Mussolini in Italia e di Adolf Hitler in Germania molto prima che i governi occidentali vi si opponessero formalmente.
Tatlock e Oppenheimer si conobbero a Berkeley, a una serata di raccolta fondi per i Repubblicani spagnoli, che stavano lottando contro le forze capitanate dal generale Francisco Franco appoggiate sia dal partito fascista italiano che dai nazisti tedeschi. La serata era organizzata dalla padrona di casa di Oppenheimer, Mary Ellen Washburn. La casa di Washburn era uno dei principali centri di aggregazione per gli intellettuali del campus, soprattutto quelli che simpatizzavano fortemente per la sinistra: Washburn stessa era un membro attivo del partito comunista locale.
Tatlock aveva ventidue anni e stava completando una laurea magistrale, Oppenheimer ne aveva dieci di più, insegnava fisica all’università, era un buon amico del padre di lei ed era noto per essere un uomo geniale, ma anche per i suoi tantissimi flirt. «La ragazza, dagli occhi verdi e i capelli castani, era già ben nota nel campus di medicina, dove si stava preparando per diventare medico per poi poter fare la psichiatra», racconta la biografia. «L’anno era il 1936, e vedere una donna in un’aula universitaria era ancora considerato insolito, a maggior ragione se era una donna con la brillantezza accademica, la storia di vita di Tatlock e il suo bell’aspetto. Nonostante i dieci anni di differenza che li separavano, tutti gli amici intimi di Oppenheimer sostengono che lui si innamorò di lei come non si era mai innamorato prima».
I due strinsero un rapporto molto profondo, basato anche sulle passioni comuni per la letteratura e per la psicologia, al punto che quando Oppenheimer scoprì della morte prematura di Tatlock, avvenuta il 4 gennaio 1944, una delle prime cose che disse è che ora non aveva più nessuno con cui poteva davvero parlare. Incoraggiato da lei, lui studiò psicanalisi insieme all’intellettuale marxista e freudiano Siegfried Bernfeld; si deve a Tatlock anche la passione di Oppenheimer per il poeta John Donne, che ispirò il nome “Trinity”, dato al primo progetto di detonazione della bomba nucleare. Tatlock contribuì moltissimo all’avvicinamento di lui alla causa comunista, presentandogli persone affiliate al partito di cui sarebbe diventato molto amico.
Negli anni seguenti questo rapporto gli avrebbe causato grossi problemi: Tatlock fu posta sotto sorveglianza dell’FBI perché si sospettava che potesse essere una fonte di radicalizzazione per Oppenheimer o addirittura una spia sovietica. Un agente monitorava ogni sua mossa; le sue telefonate venivano costantemente ascoltate. Ciononostante, il rapporto di Tatlock con il partito comunista – e con il comunismo come ideologia in sé – non fu esattamente lineare: faceva particolarmente fatica, per esempio, a far convivere la propria fascinazione per le opere di Sigmund Freud e quella per gli scritti di Karl Marx, dato che all’epoca la dottrina marxista riteneva che le teorie dei due intellettuali si contraddicessero a vicenda e non potessero convivere.
La relazione tra i due durò tre anni e arrivarono vicini al matrimonio almeno due volte: in generale avevano un rapporto molto tumultuoso, anche per via del fatto che entrambi soffrivano di grossi problemi di salute mentale ed ebbero periodi di depressione. «Robert l’amava e voleva sposarla nonostante i loro problemi», racconta la biografia. «Ma spesso tirava fuori il peggio di Jean. La infastidiva con la sua vecchia abitudine di inondare le persone che amava di regali. Jean non voleva essere trattata in questo modo. “Niente più fiori, per favore, Robert”, gli disse un giorno. Ma inevitabilmente, la volta successiva lui si presentò con il solito mazzo di gardenie. Quando Jean vide i fiori, li gettò a terra e disse a una sua amica: “Digli che se ne vada, digli che non sono qui”».
Secondo gli amici della coppia, lei aveva periodi in cui scompariva per settimane e poi tornava, riferendo all’uomo le storie di ciò che aveva fatto e con chi era stata. Alla fine fu lei a mollarlo nel 1939, dopo l’ultima proposta di matrimonio, «confusa e sconvolta». «Tuttavia, ogni volta che Tatlock gli telefonava di cattivo umore, lui andava da lei e la aiutava a uscire dalla depressione. Rimasero amici strettissimi e amanti occasionali», dicono i biografi di Oppenheimer.
Non si sa bene cosa portò Tatlock alla decisione di interrompere la relazione: si ipotizza che volesse concentrarsi sulla carriera da psichiatra in un periodo in cui era veramente difficile per le donne farsi strada come professioniste, oppure che fosse in difficoltà perché da tempo faceva fatica a convivere con la consapevolezza di essere quantomeno bisessuale, se non lesbica, in un momento storico in cui l’omosessualità era considerata una psicopatologia. Secondo i resoconti di alcune amiche, Tatlock per un periodo si disse convinta di essere omosessuale «anche se, logicamente, sono sicura di non poterlo essere perché non sono mascolina», e «nel tentativo di superare la sua attrazione per le donne era andata a letto con ogni “toro” che riusciva a trovare». Tatlock aveva d’altronde avuto una relazione particolarmente forte e probabilmente romantica con Mary Ellen Washburn, la stessa che l’aveva presentata allo scienziato: come scrive Boyle sul Daily Dot, «la vita di Jean non ruotava attorno a Oppenheimer neanche lontanamente quanto suggerisce il film».
Qualche mese dopo Oppenheimer incontrò la biologa Katherine Puening, detta “Kitty”: finirono per sposarsi e avere il primo figlio nell’arco di poco. Dopo il matrimonio Tatlock e Oppenheimer continuarono a vedersi, anche se sempre meno spesso, circa un paio di volte all’anno: nelle parole di lui «eravamo ancora molto coinvolti, c’era ancora un sentimento molto profondo quando ci vedevamo». Lui ci passò insieme un Capodanno, la portò a cena in eleganti ristoranti di San Francisco e andò a trovarla all’ospedale pediatrico dove lavorava come psichiatra – il Mount Zion Hospital di San Francisco – ma non si sa che genere di rapporto avessero quando si vedevano. Secondo un’amica di entrambi, Edith Arnstein, Tatlock a un certo punto si pentì di non averlo sposato, dicendo che avrebbe voluto farlo «se non fosse stata così confusa».
Lei avrebbe voluto vederlo prima che lui si trasferisse a Los Alamos, sede del laboratorio dove Oppenheimer andò a dirigere il programma di sviluppo della bomba atomica (il Progetto Manhattan) in mezzo al deserto del New Mexico, ma lui si rifiutò per qualche motivo sconosciuto. La sua salute mentale peggiorò notevolmente, e cominciò a essere trattata per la depressione nello stesso ospedale in cui lavorava. Informato da Siegfried Bernfeld, con cui Tatlock continuava a studiare e fare terapia, della profonda tristezza della donna, nel giugno del 1943 Oppenheimer approfittò di un viaggio di lavoro in California per vederla e passare del tempo con lei, osservato senza saperlo dall’FBI. Passarono una notte insieme: fu l’ultima volta in cui la vide. Interrogato al riguardo undici anni dopo, disse che lei voleva vederlo perché era ancora innamorata di lui: l’FBI credeva però che lei potesse volerlo usare per estorcere informazioni sul Progetto Manhattan e comunicarle all’Unione Sovietica.
Mesi dopo, nel gennaio del 1944, il padre di Tatlock decise di andarla a trovare perché non rispondeva al telefono da diversi giorni. Entrato in casa dalla finestra, dato che nessuno rispondeva al campanello, la trovò morta, con la testa immersa in una vasca da bagno piena a metà. Aveva 29 anni. Lasciò un biglietto che diceva: «Sono disgustata da tutto. A chi mi ha amata e mi ha aiutata, mando tutto il mio amore e coraggio. Volevo vivere e contribuire, ma per qualche ragione sono rimasta paralizzata. Ho provato come una matta a capire e non ci sono riuscita. Penso che sarei stata un peso per tutta la vita – almeno ho potuto togliere il peso di un’anima paralizzata da un mondo in guerra».
La sua morte venne considerata un suicidio, anche se negli anni diverse persone, tra cui il fratello di Tatlock, continuarono a sostenere che si fosse trattato di un omicidio politico particolarmente ben congegnato. A suscitare perplessità fu il fatto che il padre aspettò quattro ore e mezza prima di chiamare i soccorsi dopo aver trovato il corpo della figlia, e che in quelle ore pare che bruciò varie lettere, appunti e fotografie che trovò in casa. Inoltre, gli investigatori suggerirono inizialmente che la donna fosse stata drogata e poi annegata con la forza mentre era incosciente.
La notizia della sua morte fu riportata sui giornali locali. Washburn telegrafò l’informazione alla bibliotecaria di Los Alamos. Lei la comunicò al marito, il fisico Robert Serber, che fu incaricato di dirlo ad Oppenheimer. Quando giunse al suo ufficio, però, lui lo sapeva già: «Ho visto dal suo volto che aveva già sentito la notizia», avrebbe ricordato Serber. «Era profondamente addolorato».
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