Tutti gli sfidanti di Trump alle primarie Repubblicane
Il principale è ancora Ron DeSantis, la cui campagna però è entrata in crisi: dietro di lui per ora non sembra esserci molto
Mercoledì a Milwaukee, nello stato americano del Wisconsin, si terrà il primo dibattito televisivo tra i candidati alle primarie del Partito Repubblicano. È di fatto il primo grosso evento della lunga campagna elettorale per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti, che durerà ancora più di un anno: le primarie Repubblicane cominceranno il 15 gennaio del 2024, quelle Democratiche il 3 febbraio e le elezioni presidenziali saranno il 5 novembre. I dibattiti tra i Repubblicani (per ora ne sono previsti due, uno mercoledì e uno a fine settembre) sono anche gli unici che si terranno per le primarie: il Partito Democratico, che tra i candidati ha il presidente Joe Biden, ha deciso di non farne.
I posti per il dibattito Repubblicano di mercoledì sono otto, e per avervi accesso i candidati hanno dovuto soddisfare alcuni requisiti imposti dal partito (in termini di numero di sostenitori e di donazioni ricevute). La composizione definitiva dei partecipanti al dibattito è stata decisa lunedì sera, e c’è un’enorme mancanza: al dibattito non parteciperà il candidato più importante, l’ex presidente Donald Trump.
Al momento le primarie Repubblicane sono una contesa per il secondo posto. I sondaggi danno Trump in netto vantaggio con il 54 per cento delle preferenze tra gli elettori Repubblicani. Dopo di lui c’è un solo candidato che ha più del 10 per cento dei consensi (il governatore della Florida Ron DeSantis, al 15 per cento) e un altro candidato, l’imprenditore Vivek Ramaswamy, che ha poco più dell’8 per cento. Tutti gli altri sono intorno al 3 per cento.
Forte di questo suo grosso vantaggio, e convinto che abbia soltanto da perdere a dibattere con altri candidati che potrebbero coalizzarsi contro di lui, domenica Donald Trump ha annunciato che non prenderà parte al dibattito. Non è detto che non cambi idea: il Washington Post ha raccontato per esempio che molti candidati si stanno preparando all’eventualità che Trump decida di partecipare all’ultimo momento, scompigliando tutte le strategie dei suoi avversari.
Dietro a questo dominio apparentemente assoluto di Trump la corsa alle primarie Repubblicane è piuttosto vivace. Fino a pochi mesi fa DeSantis era ritenuto l’unico candidato in grado di battere Trump, ma di recente la sua campagna elettorale è entrata in grave crisi e i sondaggi ne hanno risentito: DeSantis è passato dall’avere quasi il 40 per cento dei consensi a febbraio (era prima che si candidasse) al 15 per cento di oggi. Per questo il dibattito di mercoledì sarà anche un modo per capire se DeSantis è davvero il miglior candidato per battere Donald Trump, o se esistono alternative più forti.
– Ascolta Globo: Le primarie Repubblicane raccontate da Viviana Mazza
Ecco una lista dei candidati principali, con alcune informazioni su di loro. Sono tutti maschi, tranne una donna.
Ron DeSantis
Quando DeSantis ha annunciato la sua candidatura, a fine maggio, era considerato di gran lunga il più forte e il meglio attrezzato tra gli sfidanti di Donald Trump alle primarie Repubblicane. Il governatore della Florida è noto in tutti gli Stati Uniti e pochi mesi prima aveva ottenuto un secondo mandato da governatore durante le elezioni di metà mandato, con un ampio margine (a quelle stesse elezioni invece i candidati sostenuti da Trump erano andati piuttosto male).
DeSantis era ritenuto un candidato molto forte perché amato sia dalla base trumpiana del Partito Repubblicano sia dall’establishment conservatore. Durante il suo periodo al governo della Florida si è concentrato molto sulle battaglie contro la cosiddetta cultura “woke”, parola che definiva l’atteggiamento di chi era particolarmente attento e impegnato contro le ingiustizie sociali ma che oggi ha una connotazione spesso dispregiativa e sarcastica tra i conservatori americani. In Florida ha condotto campagne contro la comunità LGBT+ e smantellato molti programmi statali di inclusione e di protezione delle minoranze. Al tempo stesso, però, l’economia della Florida è cresciuta notevolmente negli ultimi anni, e questo ha consentito a DeSantis di presentarsi come un candidato ideologicamente molto schierato ma capace di far crescere l’economia.
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Da maggio, però, le cose per DeSantis non hanno fatto che peggiorare. L’annuncio della candidatura, fatto durante una diretta Twitter, ha avuto grossi problemi tecnici ed è stato considerato unanimemente un disastro. Nei mesi successivi DeSantis ha cominciato a mostrare enormi limiti sia personali sia di organizzazione. Ha resistito peggio del previsto agli attacchi di Donald Trump e si è mostrato inadatto a quella che nel gergo politico americano viene definita “retail politics” (politica al dettaglio), cioè alle campagne elettorali in cui il candidato deve stabilire un rapporto diretto con i suoi elettori, andare di evento in evento ed essere il più possibile presente sul territorio.
Di recente il comitato elettorale di DeSantis è stato costretto a licenziare decine di persone, e si è cominciato a parlare di carenza di fondi economici.
Ovviamente la sua candidatura non è ancora spacciata: nonostante le difficoltà DeSantis è ancora il più forte tra gli sfidanti di Donald Trump e potrebbe trovare il modo di recuperare. Ma i problemi della sua campagna elettorale hanno aumentato molto le possibilità che un altro candidato possa emergere.
Vivek Ramaswamy
Nelle ultime settimane l’imprenditore di origini indiane Vivek Ramaswamy è il candidato Repubblicano che è cresciuto di più, ed è l’unico, assieme a Trump e DeSantis, a godere di un consenso di un certo rilievo (l’8 per cento, che è poco ma è comunque il doppio di tutti gli altri candidati, che sono tra il 3 e il 4 per cento). Ramaswamy ha 38 anni ed è figlio di due immigrati indiani. Ha avuto una carriera piuttosto brillante come manager e imprenditore soprattutto nel settore farmaceutico e delle biotecnologie. A partire dal 2022 è diventato famoso negli Stati Uniti come attivista “anti woke”. È autore di un libro intitolato “Woke, Inc.” (si potrebbe tradurre come “Woke Spa”) in cui sostiene che le preoccupazioni ambientali, sociali e razziali siano un inutile ostacolo alla crescita economica e alla libertà d’impresa.
Negli scorsi mesi è diventato famoso per le sue proposte decisamente estreme: tra le altre cose ha proposto di alzare l’età per votare, di eliminare il dipartimento per l’Istruzione e perfino l’FBI. È molto vicino alle posizioni di Trump, che più volte gli ha fatto i complimenti. Qualche tempo fa ha detto, parlando del suo rapporto con Trump: «Non siamo due automobili in rotta di collisione. Siamo due automobili che corrono fianco a fianco sulla pista, e noi lo supereremo sulla corsia di sinistra… anzi, sulla corsia di destra, per come stanno andando le cose».
Mike Pence
La candidatura di Mike Pence, che per quattro anni è stato il vicepresidente di Donald Trump, è stata accolta con una certa perplessità. Da vicepresidente, Pence è rimasto fedele a Trump quasi fino all’ultimo, e soltanto dopo la sconfitta alle elezioni del 2020 si rifiutò di partecipare al piano di Trump e dei suoi collaboratori per sovvertire il risultato delle elezioni.
Da candidato, invece, Pence è piuttosto critico nei confronti di Trump: non rinnega il suo ruolo da vicepresidente, ma al tempo stesso sostiene che «la storia giudicherà» Trump per l’assalto al Congresso del 6 gennaio del 2021, durante il quale uno degli slogan dei sostenitori di Trump era: «Impiccate Mike Pence!». Qualche giorno fa ha detto che il dibattito Repubblicano sarà un’opportunità per «presentarci una seconda volta al popolo americano». Attualmente ha il 4 per cento dei consensi.
Chris Christie
L’ex governatore del New Jersey Chris Christie partecipò alle primarie Repubblicane del 2016 e perse piuttosto malamente contro Donald Trump. Come Pence, Christie si alleò poco dopo con Trump, e lo aiutò a vincere le presidenziali di quell’anno. Ma al contrario di Pence, Christie interruppe piuttosto rapidamente i rapporti con Trump e a queste primarie è il più feroce critico dell’ex presidente. Nel corso delle sue apparizioni pubbliche degli ultimi mesi lo ha definito «una marionetta di Putin», «un codardo», «un vecchio rabbioso».
Questi attacchi hanno una grossa risonanza sui media, tra le altre cose perché Christie è uno dei migliori oratori del Partito Repubblicano. Al tempo stesso, però, le possibilità di Christie di ottenere la nomination sembrano scarsissime: i sondaggi lo danno al 3 per cento scarso.
Nikki Haley
Nikki Haley è un’altra ex alleata di Trump: è stata governatrice del South Carolina e poi, su nomina di Trump, ambasciatrice degli Stati Uniti presso l’ONU, un lavoro diplomatico di alto prestigio. È stata la prima a candidarsi alle primarie, ed è anche l’unica donna tra i candidati con un minimo di rilievo.
La sua candidatura però non ha mai guadagnato vero sostegno: la sua campagna elettorale non ha avuto finora grossi guizzi e nei sondaggi gode di poco più del 3 per cento dei voti.
Tim Scott
Tim Scott è l’unico senatore Repubblicano afroamericano. La sua candidatura è piuttosto apprezzata da parte dell’establishment conservatore perché Scott è un Repubblicano più attento alle questioni economiche che alle battaglie culturali e alle polemiche contro la sinistra “woke”, e per questo viene spesso definito un Repubblicano “alla vecchia maniera”, prima che il partito fosse dominato da Trump. In questi mesi ha cercato di presentarsi come «un tipo ottimista e positivo con saldi valori conservatori», come ha detto lui stesso. Ha circa il 3 per cento dei consensi nell’elettorato.
Gli altri
Gli altri candidati Repubblicani che nei sondaggi hanno più dell’1 per cento dei consensi sono l’ex governatore dell’Arkansas Asa Hutchinson, l’ex deputato texano Will Hurd, il sindaco di Miami Francis Suarez (che non è riuscito a soddisfare i requisiti per entrare nel dibattito), e il governatore del North Dakota, Doug Burgum. Nessuno di loro però sembra avere qualche possibilità, a meno di sorprese davvero grosse.