L’Ecuador smetterà di estrarre petrolio dal suo giacimento nella foresta amazzonica
Un referendum ha messo fine a una lunga disputa sulla tutela del parco nazionale Yasunì, uno degli ecosistemi più ricchi del pianeta
Domenica, oltre alle elezioni presidenziali, in Ecuador si votava anche per un referendum in cui si doveva decidere se proseguire o meno lo sfruttamento di un grande giacimento petrolifero nel parco nazionale Yasuní, nella foresta amazzonica, uno degli ecosistemi più ricchi e incontaminati della Terra. Ha vinto il “no” con il 59 per cento dei voti: in base agli accordi previsti dal referendum, la compagnia petrolifera nazionale Petroecuador, che era autorizzata alle estrazioni, avrà un anno di tempo per lasciare il sito.
È una decisione considerata “storica”, e non solo perché era la prima consultazione popolare di sempre in Ecuador richiesta da cittadini e cittadine: è stata importante perché ha avuto un esito favorevole alla tutela dell’ambiente, nonostante il giacimento garantisca all’Ecuador una parte importante delle sue risorse economiche. Il governo si era opposto al referendum, stimando per il paese circa 16 miliardi e mezzo di dollari di perdite in vent’anni in caso di blocco delle estrazioni.
Il parco nazionale Yasuní comprende un’area di circa 10mila chilometri quadrati fra la foresta amazzonica e le Ande, attraversata dall’equatore, nell’est dell’Ecuador. Si stima che in un solo ettaro del parco Yasunì ci siano più specie animali che in tutta l’Europa e più specie vegetali che in tutto il Nord America.
Nel 2006 l’Ecuador scoprì che sotto a quell’area c’era un immenso giacimento petrolifero, e dal 2010 cominciò una lunga disputa tra chi si opponeva al suo sfruttamento e chi lo considerava fondamentale per l’economia ecuadoriana. Nel tentativo di risolverla, l’allora presidente del paese Rafael Correa propose alla comunità internazionale di dare all’Ecuador 3,6 miliardi di dollari per rinunciare a operare su un’area la cui conservazione è tuttora considerata d’interesse mondiale, non solo nazionale. La proposta non venne accolta, e nel 2016 cominciarono le estrazioni su un’area denominata “Blocco 43”, corrispondente all’incirca allo 0,01 per cento di tutto il parco nazionale Yasuní.
La Petroecuador fu autorizzata a operare su circa 300 ettari di terreno, ma sostiene di averne sfruttati fino a oggi non più di 80. Attualmente produce più di 55mila barili di petrolio al giorno, circa il 12 per cento della produzione nazionale dell’Ecuador. In campagna elettorale il ministro dell’Energia ecuadoriano, Fernando Santos, aveva sostenuto che le ragioni dei sostenitori del referendum fossero ferme a 10 anni fa, quando il giacimento non aveva un impatto significativo sull’economia nazionale. Per il governo al giorno d’oggi si sarebbe dovuto tenere maggiormente in conto il danno economico che causerà il blocco delle estrazioni.
Yasunidos, il principale gruppo ambientalista promotore del referendum, ha proposto di riempire il buco economico che si creerà promuovendo nella zona un turismo basato sul rispetto dell’ambiente, investendo nell’elettrificazione dei trasporti pubblici per diminuire la dipendenza dal petrolio ed eliminando alcune esenzioni fiscali alla parte più ricca della popolazione.
In generale, lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi è fondamentale per l’economia dell’Ecuador fin dagli anni Settanta, e anche nel 2022 il petrolio è stato il principale prodotto di esportazione, che ha generato entrate pari a circa il 10 per cento del prodotto interno lordo (ma bisogna ricordare che il giacimento del Blocco 43 rappresenta solo una parte di tutta la produzione nazionale).