Che Stati Uniti si vedranno ai Mondiali di basket
A differenza di quattro anni fa sembrano avere un piano più elaborato per affrontarli, pur presentandosi con una squadra senza grandi nomi
Per gli sport di squadra nati negli Stati Uniti le manifestazioni più rilevanti rimangono i campionati nazionali e non i tornei internazionali come i Mondiali. Il livello del baseball, del football o del basket giocati negli Stati Uniti è infatti talmente alto, sia dal punto di vista sportivo che commerciale, da non lasciare molto spazio ad altre competizioni, come succede invece nel calcio, nel rugby e nel cricket, gli altri sport di squadra più diffusi al mondo.
Nel football americano i Mondiali passano inosservati, non si disputano da dieci anni e quando si disputano gli Stati Uniti ci mandano giocatori universitari o fuori dal circuito professionistico. Il baseball invece si sta sforzando da alcuni anni di far diventare i suoi Mondiali un appuntamento atteso e disputato dai migliori giocatori in attività, ma anche così rimangono un evento ampiamente marginale rispetto alla Major League nordamericana. Il basket invece è un discorso diverso.
Pur rimanendo associato perlopiù al campionato NBA, fra i tre sport nati negli Stati Uniti è quello che si è sviluppato di più nel resto del mondo, tanto da diventare uno dei più praticati a livello globale, sia dai professionisti che dagli amatori. I Mondiali di basket sono quindi un torneo di alto livello disputato dai maggiori paesi al mondo, a cui però gli Stati Uniti partecipano non sempre con lo stesso impegno. Questo succede perché l’attenzione maggiore del basket nordamericano rimane concentrata sulla NBA, una lega talmente rilevante e centrale che esercita un controllo molto rigido sull’utilizzo dei suoi giocatori.
Escludendo le fasi finali dei tornei, gli Stati Uniti giocano non più di una decina di partite all’anno, e spesso si affidano a giocatori universitari o di campionati stranieri, riuscendo comunque a mantenere un livello molto alto che garantisce vittorie e qualificazioni. Quelli di NBA entrano in gioco soltanto in vista degli appuntamenti più importanti, e in ogni caso per non più di 28 giorni tra una stagione e l’altra (cosa che vale anche per gli stranieri). A questo si aggiunge poi il parere altrettanto influente delle rispettive squadre.
Per gli Stati Uniti, quindi, i Mondiali sono perlopiù un evento propedeutico alle Olimpiadi, a cui invece gli Stati Uniti partecipano con maggiore determinazione. Questo approccio non ha impedito di vincere i Mondiali il maggior numero di volte (cinque, a pari merito con la Jugoslavia), ma spesso è stato motivo di risultati deludenti, se non di figuracce, come quella fatta all’ultima edizione, quattro anni fa. Nonostante fossero allenati da Gregg Popovich, l’allenatore con più partite vinte nella storia della NBA, e nonostante avessero in squadra alcuni dei migliori giocatori della lega, come Jaylen Brown e Jayson Tatum dei Boston Celtics, terminarono il torneo al settimo posto e senza medaglie per la prima volta in 17 anni.
Due anni dopo gli Stati Uniti di Popovich vinsero comunque l’oro alle Olimpiadi per la quarta edizione di fila e per la sedicesima volta nella storia, ma ora è arrivato il momento di una nuova edizione del Mondiale, che si giocherà dal 25 agosto al 10 settembre tra Filippine, Giappone e Indonesia. A differenza di quattro anni fa, gli Stati Uniti sembrano avere un piano più elaborato per affrontarli, pur presentandosi con una squadra che all’apparenza può sembrare ancora più anonima.
A chi segue occasionalmente la NBA, anche i giocatori più noti fra quelli convocati per i Mondiali non dicono granché. I più esperti sono Brandon Ingram e Bobby Portis, in NBA da otto anni. Poi ci sono due prime scelte assolute agli ultimi draft: Anthony Edwards dei Minnesota Timberwolves e Paolo Banchero degli Orlando Magic, di cui si è parlato di recente perché ha scelto di giocare per gli Stati Uniti dopo aver sostenuto per anni di voler scegliere l’Italia, viste le origini paterne.
Nessuno dei convocati è stato selezionato nei migliori tre quintetti dell’ultima stagione di NBA, ma nonostante questo la composizione della squadra è stata pensata per formare un gruppo il più possibile omogeneo, equilibrato e composto soprattutto da giocatori ancora giovani e in cerca di affermazione. Un ruolo importante in questa squadra lo avranno per esempio Jaren Jackson Jr. e Jalen Brunson, i cui nomi non dicono molto ai meno esperti, ma sono rispettivamente il miglior difensore dell’ultima stagione NBA e il playmaker, nonché uno dei leader in campo, dei New York Knicks.
La selezione, poi, è stata fatta da uno staff tecnico più riconoscibile della squadra stessa. L’incarico di allenatore è infatti passato da Popovich al suo assistente Steve Kerr, allenatore dei Golden State Warriors e vincitore di quattro titoli NBA. Ad assistere Kerr ci sono Erik Spoelstra, vincitore di due titoli con i Miami Heat, squadra che allena dal 2008, e Tyronn Lue, che allenò i Cleveland Cavaliers di LeBron James e ora è ai Los Angeles Clippers. A completare lo staff tecnico c’è Mark Few, da 24 anni capo allenatore dell’Università Gonzaga, una delle più prestigiose del paese per quanto riguarda il basket.
I segnali dati nelle ultime amichevoli di preparazione sono stati incoraggianti, mentre quattro anni fa le sconfitte in fase di preparazione fecero intuire che qualcosa non funzionava. La Grecia (che poi ha dovuto rinunciare per problemi fisici a Giannis Antetokounmpo) è stata battuta con ventidue punti di scarto e la Slovenia di trenta. Sono state battute anche la Germania e la Spagna campione in carica, che insieme alle altre citate sono fra le più quotate per la vittoria.
Per Kerr, tuttavia, questa squadra ha dei punti deboli sul piano tattico e dovrà stare attenta a non mostrarli troppo. Al termine di una di queste ultime amichevoli ha detto: «Se riusciamo a mantenere in parità il numero dei possessi giocati, allora mi sento di dire che abbiamo buone possibilità di battere chiunque. Se gli avversari trovano il modo di guadagnare possessi, però, potrebbero batterci».
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