Non ci sono solo le carte napoletane e piacentine
Ma anche le romagnole, siciliane, triestine, eccetera: storia e caratteristiche dei vari tipi diffusi in Italia, più di quanti immaginate
Di solito le carte da gioco sono una delle cose che finiscono nelle valigie per le vacanze estive. E se non ci finiscono spesso qualcuno se ne duole, almeno se le vacanze sono in gruppo. Oggi le carte più diffuse al mondo sono quelle francesi, cioè quelle che hanno come semi cuori, quadri, fiori e picche, ma in Italia continuano a essere diffuse molte altre varianti regionali con semi diversi, che tra simboli, figure e particolarità hanno qualche somiglianza, ma anche molte differenze.
Sostanzialmente i tipi di carte usati in Italia si dividono in quattro gruppi: quelle di tipo spagnolo e quelle di tipo italiano, molto simili tra loro, e poi appunto le francesi e le tedesche. La maggior parte dei mazzi più diffusi appartiene ai primi due stili, che hanno quasi sempre 40 carte divise in quattro semi: coppe, spade, bastoni (o mazze) e denari (oppure ori), generalmente con numeri che vanno dall’uno (asso) al sette e tre figure: fante, donna o cavallo, e re. In qualche caso però le carte possono essere 52, o più raramente 36. Il numero di carte dipende dal tipo di giochi per cui servivano originariamente: per scopa o sette e mezzo 40, per baccarà o chemin de fer 52. Hanno 36 o 40 carte anche i mazzi salisburghesi, che sono le uniche carte di tipo tedesco usate in Italia e hanno semi completamente diversi: cuori, ghiande, foglie e campanelli.
Le carte di tipo spagnolo sono diffuse in tutta Italia, e a questo gruppo appartengono le più diffuse in assoluto, cioè le napoletane e le piacentine, seguite dalle romagnole, dalle siciliane e dalle sarde. Le carte di tipo italiano invece sono meno diffuse e si trovano in particolare nelle regioni del Nord Est: comprendono le bergamasche, le bolognesi, le bresciane, le trevigiane, le triestine e le trentine. Quelle di tipo francese – le genovesi, le milanesi, le fiorentine e le piemontesi – si usano in Val d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia occidentale e Toscana, mentre le salisburghesi solo nell’Alto Adige.
Oggi che si usi un tipo di mazzo rispetto a un altro dipende dal gioco a cui si vuole giocare, ovviamente, ma anche dalla regione o talvolta dalla provincia o città in cui ci si trova, oppure dalle tradizioni familiari, dai gusti, o più banalmente dalla disponibilità del momento. C’è qualcuno che potrebbe giocare a scopa solo con le carte piacentine, per esempio, e si troverebbe in difficoltà a usare quelle napoletane, che però sono in realtà quelle più usate.
Benché abbiano gli stessi semi, le carte spagnole differiscono da quelle italiane perché hanno spade corte e dritte, come nel caso delle napoletane, anziché curve e simili a scimitarre, come le triestine. Le coppe di tipo spagnolo sono panciute e a forma di calice, come si vede nelle carte romagnole, mentre quelle di tipo italiano sono più squadrate o esagonali, come nel caso delle bresciane. I loro bastoni inoltre ricordano più clave che scettri.
In generale poi tra i vari tipi di carte ci sono differenze nelle dimensioni, nei disegni e in altre caratteristiche, come il bordo interno, che per esempio hanno le bergamasche, le trentine e le piacentine. Tutte comunque hanno dimensioni che stanno tra gli 8,3 e i 10,4 centimetri in altezza e tra i 4,3 e i 5,8 in larghezza: le più grosse sono le bolognesi e le trevigiane, che sono alte 10,4 centimetri e larghe 4,9; con 4,3 centimetri le più strette sono le bresciane, che sono anche le uniche carte di tipo italiano ad avere sempre 52 carte, perché tante ne servivano per il gioco tradizionale della cicera bigia.
Le napoletane sono tra le carte regionali più diffuse in Italia, visto che vengono utilizzate nella gran parte del Sud Italia, ma sono diffuse anche al Centro e al Nord. La prima testimonianza scritta di queste carte risale al 1577, quando il viceré spagnolo stabilì l’imposta di «un carlino per paro di carte» su ogni mazzo che veniva venduto o prodotto in città. Le napoletane sono parte della tradizione locale fin dal Seicento e sono usatissime per giochi come sette e mezzo, briscola, scopa e scartino, un gioco tipico locale. Secondo le ipotesi più accreditate i disegni tradizionali dei semi rappresentano le classi sociali del medioevo: le coppe sono il clero, i denari i mercanti, le spade i soldati e i bastoni i contadini.
– Leggi anche: Tre giochi diversi da portare in vacanza
Tra le altre carte regionali più conosciute ci sono le piacentine, che oltre a essere diffuse nell’Emilia occidentale si usano in generale nel Nord Ovest, in Umbria, nel Lazio e nelle Marche. Come le napoletane, anche le piacentine sono carte di tipo spagnolo: secondo alcune fonti sarebbero state introdotte tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento dai soldati francesi, che le usavano per giocare ad aluette, un gioco di origine spagnola molto diffuso nella Francia rinascimentale. Una delle loro caratteristiche è che le figure di fante, cavallo e re non sono intere, ma “a doppia testa”, ci sono cioè due immagini speculari rispetto a una riga orizzontale al centro delle carte.
È un tratto che le carte piacentine condividono per esempio con quelle bergamasche, genovesi e piemontesi, ed è un espediente introdotto nella prima metà del Novecento: serviva per evitare che chi le aveva in mano dovesse capovolgerle per poterle guardare nel senso giusto, cosa che poteva dare agli altri giocatori indizi su quali carte avesse in mano. Nelle carte salisburghesi, che prendono il nome dalla città di Salisburgo, non ci sono gli assi, né i tre e i quattro, e anche le figure sono diverse: ci sono il fante minore (Unter), il fante maggiore (Ober) e il re (König).
Spesso nei vari mazzi ci sono carte che hanno soprannomi particolari, come il tre di bastoni delle carte napoletane, che è detto “Gatto Mammone” per via della maschera disegnata al centro, con baffi che ricordano quelli di un gatto. Ci sono poi le matte, cioè carte a cui a seconda delle regole del gioco il giocatore può dare il valore che vuole, che possono essere banalmente i jolly ma anche il re di denari nel mazzo siciliano o il sei di campanelli nelle salisburghesi (Weli), oppure il due quando si gioca a burraco.
Tra le peculiarità più note di alcuni mazzi usati nel Nord Italia ci sono poi i motti, la gran parte dei quali risale a fine Ottocento. Sull’asso di bastoni delle carte bergamasche per esempio c’è scritto “VINCERAI”, verosimilmente un augurio di buon auspicio, mentre su quello di coppe del mazzo triestino, che si usa anche in certe parti della Slovenia e della Croazia, si può leggere “una coppa di buon vin fa coraggio, fa morbin” (dà coraggio e allegria). Uno dei motti più celebri però è quello che si trova sull’asso di coppe del mazzo trevigiano: “per un punto Martin perse la capa”, derivato da un modo di dire piuttosto famoso per indicare un errore apparentemente di poco conto che tuttavia ha conseguenze serie.
Il detto deriva da una tradizione del Cinquecento secondo cui il protagonista, un monaco chiamato Martino, avrebbe voluto far installare sul proprio monastero un cartello di benvenuto in latino che dicesse “Porta patens esto. Nulli claudatur honesto”, qualcosa come “La porta resti aperta. Non sia chiusa a nessun uomo onesto”. O Martino o l’addetto che si doveva occupare della scritta, però, mise il punto nel posto sbagliato, cioè dopo la parola Nulli, anziché prima: in questo modo il senso della frase si ribaltò, passando a voler dire qualcosa come “La porta non sia aperta a nessuno. Resti chiusa alle persone oneste”. È per questa ragione che si dice che il monaco ci rimise la cappa, il tipico mantello con cappuccio, cioè la nomina a priore.
Gli storici hanno ipotesi diverse sull’origine della carte da gioco, che oggi si usano in tutto il mondo in numerose varianti. Sembra piuttosto certo che vengano dall’Asia, forse dalla Cina, dalla Persia o dall’India, ma non è chiaro come e quando siano arrivate in Europa. La prima attestazione certa delle carte da gioco è un registro della polizia cinese del 1294, che parla dell’arresto di un gruppo di bari dello Shandong e della confisca delle loro carte e delle matrici di stampa. I documenti che ne attestano la presenza in Europa invece risalgono al secolo successivo: sono del 1377 sia la prima ordinanza che vietava il gioco d’azzardo con le carte in Francia, sia la prima attestazione di un gioco a 52 carte e 4 semi, in un trattato scritto dal monaco svizzero Johannes von Rheinfelden.
Molti studiosi sono convinti che le carte da gioco siano arrivate in Occidente grazie ai mamelucchi, cioè i musulmani che governarono in Egitto dal XIII all’inizio del XVI secolo. In particolare, secondo Michael Dummett, filosofo e tra i fondatori della Società internazionale delle carte da gioco, le carte arrivarono nell’ultimo quarto del XIV secolo (quindi tra il 1375 e il 1400) grazie alle crociate. I crociati avrebbero scoperto le carte dei musulmani e ci avrebbero giocato nei momenti di noia tra una battaglia e l’altra, in modo non diverso da come oggi i soldati passino il tempo con i videogiochi. Poi le avrebbero portate in patria, dove si sarebbero diffuse tra le classi nobili e ricche.
Secondo altre teorie le carte sarebbero state importate dagli arabi in Spagna attorno alla metà del Trecento. Altre ancora ipotizzano che il gioco delle carte in Germania derivi da quello degli scacchi.
Inizialmente le carte si diffusero solo tra le fasce più ricche della popolazione perché costavano molto: erano dipinte a mano, spesso con disegni intricati e molti colori. È anche per questo che ci sono molti mazzi con caratteristiche diverse: ogni paese, ogni regione, ogni casata aveva il proprio.
Nel Quattrocento la produzione delle carte divenne via via più economica, in particolare in Germania, cosa che contribuì a renderle molto popolari. Al contempo in Francia aveva cominciato a diffondersi il tipico mazzo con cuori, quadri, fiori e picche, che di lì a poco avrebbe ispirato le carte usate ancora oggi nel nord-ovest dell’Italia e sarebbe diventato il più usato in tutto il mondo per via dei simboli più semplici ed economici da riprodurre. Il Joker o Jolly per come lo conosciamo oggi invece fu un’invenzione degli Stati Uniti: venne inventato attorno al 1840 per facilitare il gioco di Euchre, che all’epoca era molto popolare soprattutto tra i soldati della Guerra di secessione.
– Leggi anche: Com’è il primo gioco italiano dedicato alla comunità LGBTQ+