Il piano del governo per cercare di evitare i danni delle siccità future
Per il Nord Italia prevede soprattutto di organizzare meglio come è distribuita l'acqua, ma anche manutenzione a dighe, canali e invasi
La grave siccità che ha interessato il Nord Italia a partire dalla fine del 2021 si può considerare finita per quanto riguarda sia il meteo che l’agricoltura. Tra maggio e luglio ci sono state piogge abbondanti, superiori per quantità alla media degli ultimi trent’anni, che hanno permesso di irrigare i campi dove e quando necessario. Non è invece finita la siccità idrogeologica, quella meno visibile perché riguarda le falde: le riserve d’acqua sotterranee non sono ancora state ripristinate. Sono poi rimasti i danni economici: secondo la stima della cabina di regia per la crisi idrica del governo, insieme a quelli degli altri eventi meteorologici estremi ammontano a 6 miliardi di euro per il settore agricolo nel 2022.
Inoltre «quest’anno, anche se ha piovuto tanto, abbiamo comunque avuto problemi di crisi idrica, momenti in cui alcuni utilizzatori avevano l’acqua e altri no», dice Nicola Dell’Acqua, commissario straordinario nazionale del governo per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica. È successo ad esempio la settimana scorsa in provincia di Pavia, dove l’Associazione Irrigazione Est Sesia, un consorzio di irrigazione e bonifica, ha dovuto introdurre dei turni per attingere acqua dai canali dopo la decisione del Consorzio Ticino di ridurre l’acqua erogata dal Lago Maggiore.
Dell’Acqua, che è anche il direttore dell’agenzia per l’agricoltura della Regione Veneto, è stato scelto come commissario straordinario all’inizio di maggio, poco prima che ricominciasse a piovere abbondantemente. Rimarrà in carica almeno fino alla fine dell’anno e sta lavorando per cercare di risolvere i problemi nella gestione dell’acqua anche in vista di siccità future, che potrebbero essere favorite dal cambiamento climatico come quella recente.
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«Le crisi idriche, anche in assenza di siccità, sono causate da una gestione dell’acqua che non è organizzata» dice sempre Dell’Acqua, e per questo uno dei suoi obiettivi è arrivare a una riduzione degli sprechi d’acqua e a una migliore distribuzione della risorsa grazie a una migliore pianificazione.
Nelle campagne l’uso dell’acqua disponibile nei corsi d’acqua e nei canali, nei laghi e negli invasi (i bacini d’acqua artificiali) da parte di privati, quindi aziende agricole o di altro genere, viene organizzato dai consorzi di bonifica e irrigazione, che sono associazioni di privati che utilizzano l’acqua di un certo territorio. Sono lo stato e le regioni che finanziano le opere pubbliche indispensabili per la distribuzione dell’acqua, ma sono i privati attraverso i consorzi che si occupano della manutenzione e dell’esercizio. I consorzi sono più di 150 e ognuno ha un proprio territorio di competenza individuato con diversi criteri, in parte amministrativi e in parte geografici – alcuni sono interregionali. Il territorio della Lombardia, per fare un esempio, è gestito da 15 consorzi di cui sette interregionali.
Ci sono poi le Autorità di bacino, enti pubblici costituiti tra stato e regioni che dovrebbero pianificare la gestione dell’acqua a livello di bacini idrografici, cioè su aree geografiche in cui le acque che scorrono sul suolo confluiscono verso un unico fiume o lago. Dal 2006 il territorio nazionale è diviso in sette distretti idrografici ognuno dei quali ha un’Autorità di bacino distrettuale. Periodicamente le autorità di bacino devono aggiornare un bilancio idrico per il proprio territorio, che da un lato dice quanta acqua c’è in generale, in base a quanto è piovuto e nevicato, e dall’altro quanta è disponibile per i diversi usi (consumo umano, agricolo, industriale, idroelettrico) e quanta deve essere salvaguardata per il deflusso ecologico, cioè per preservare l’esistenza di fiumi, laghi e degli esseri viventi che li abitano.
«La prima cosa che con il governo si è pensato di fare sono dei bilanci idrici di distretto o di sub-distretto, anche regionali», dice Dell’Acqua. Significa che «le autorità di bacino distrettuale devono fare il loro mestiere» e farlo in modo più dettagliato, non solo a livello di intero distretto, cioè su territori molto ampi come l’intera Pianura Padana, che ricade del tutto sotto l’Autorità di bacino distrettuale del Po insieme alle zone montuose da cui riceve acqua. «Sono cose semplicissime», aggiunge Dell’Acqua, «non servono nuovi studi, ci sono già tutti. Serve più programmazione e pianificazione. In assenza di programmazione spesso determinati utilizzatori entrano in conflitto».
Un esempio di questi conflitti lo danno di nuovo le campagne della provincia di Pavia, in particolare la Lomellina, nota per le risaie. È stata una delle zone di cui si è parlato di più nel 2022 per i danni da siccità perché la coltivazione del riso richiede notoriamente molta acqua. A essersi dimostrata particolarmente problematica però è una tecnica che apparentemente richiederebbe meno acqua e che si era diffusa molto negli ultimi vent’anni per via di alcuni vantaggi, cioè la coltivazione “in asciutta”: prevede di seminare il riso nel terreno asciutto e non allagato e di irrigare le risaie solo da maggio in poi.
Durante la siccità è stato un problema perché l’acqua serviva nello stesso periodo in cui era necessaria per altre coltivazioni che devono essere per forza irrigate, come il mais. Inoltre se la risicoltura tradizionale, “in sommersione”, fa arrivare nel tempo dell’acqua alle falde sotterranee (da cui arriva la stragrande maggioranza dell’acqua per il consumo umano), con l’asciutta non succede. Per Dell’Acqua l’asciutta «fa due cose sbagliate» e la pianificazione a cui ambisce dovrebbe portare a un ripensamento sulla scelta di usare questa tecnica in certe zone, insieme ad altri simili.
«Se non pianifichiamo la risorsa, per altri vent’anni ci troveremo con una parte dell’agricoltura italiana in difficoltà una volta ogni tre o quattro anni», conclude il commissario facendo riferimento alla frequenza di anni siccitosi negli ultimi decenni.
Si comincerà a lavorare sui bilanci dettagliati da settembre, partendo dai distretti con maggiori problemi, quelli che sono interessati da carenze d’acqua anche in assenza di siccità. Da lì si capirà che tipo di indicazioni dare al settore agricolo nell’attuale contesto climatico.
La questione riguarda principalmente il Nord Italia perché il 95 per cento dell’agricoltura che vi si pratica richiede l’irrigazione (non basta che le coltivazioni ricevano acqua dalle piogge) e perché l’attuale sistema di gestione dell’acqua «è basato unicamente sull’aspettativa di neve invernale e pioggia estiva» a cui eravamo abituati ma che possono mancare in caso di anni siccitosi. Il cambiamento climatico non ha causato un cambiamento nella quantità di precipitazioni complessive che riguardano l’Italia ma negli ultimi decenni si sono osservati dei cambiamenti nella distribuzione, ad esempio con maggiori piogge nel periodo autunnale.
L’altra cosa su cui la cabina di regia del governo per le crisi idriche sta lavorando sono dei lavori di manutenzione sulle opere idrauliche come dighe, canali e invasi che attualmente perdono grandi quantità d’acqua perché non sono stati gestiti bene: quasi 2 miliardi di metri cubi d’acqua l’anno secondo le stime che sono state fatte, di cui una settantina di milioni nel Nord Italia. Dell’Acqua dice che questa risorsa potrà essere recuperata con due o tre anni di lavoro sulle infrastrutture. Dopo tali lavori e avendo dei bilanci idrici aggiornati si potrà capire se ne servono di nuove.
Ci sono anche invasi da ripulire da sedimenti che si sono accumulati nel tempo, ma questo problema ha una dimensione molto minore: sono solo una trentina su più di cinquecento gli invasi la cui capienza si è ridotta per questo, per un centinaio di milioni di metri cubi d’acqua da recuperare complessivamente.