Gli attacchi contro le chiese cristiane nello stato pakistano del Punjab
Centinaia di musulmani hanno preso di mira fedeli e simboli cristiani per un presunto caso di blasfemia: non è stato un episodio isolato
Mercoledì a Jaranwala, nello stato pakistano del Punjab, almeno quattro chiese e alcune case della minoranza cristiana sono state attaccate e in alcuni casi bruciate dalla folla. Gli attacchi sono stati compiuti da oltre un migliaio di musulmani, spinti da volontà di vendetta e “giustizia” sommaria per un presunto atto di blasfemia contro il Corano. In mattinata, infatti, si era diffusa la notizia che in un’area della città abitata da una minoranza cristiana fossero state trovate due pagine del Corano strappate e imbrattate con scritte rosse blasfeme.
In Pakistan l’Islam è religione di stato, la popolazione è al 96 per cento musulmana e la blasfemia è un reato punito per legge con pene molto gravi. L’oltraggio al Corano può portare anche alla condanna a morte, in base a una legge approvata nel Diciannovesimo secolo durante la dominazione inglese ma resa più rigida nel 1980. Da allora nessuna condanna a morte è stata eseguita, ma 89 persone sono state uccise, per lo più linciate dalla folla, dopo essere state accusate di blasfemia.
A Jaranwala, circa 115 chilometri da Lahore, non ci sono stati morti o feriti, grazie soprattutto alla fuga immediata delle famiglie dei due uomini accusati di blasfemia e di parte della comunità cristiana. Ma i danni alle chiese, alle case e alle cose sono stati ingenti e i livelli di violenza allarmanti.
I primi attacchi hanno coinvolto la chiesa dell’Esercito della Salvezza, la chiesa cattolica di San Paolo, la chiesa presbiteriana e la chiesa di Shehroonwala. Centinaia di musulmani si erano radunati sin dalla mattina per protestare contro il presunto oltraggio al Corano. Col passare delle ore la folla è aumentata e sono cominciati gli attacchi con pietre, bastoni e materiale incendiario, testimoniati anche da video sui social network.
Secondo fonti governative di Reuters a organizzare la protesta e ad animare la folla sarebbero stati soprattutto esponenti del partito estremista Tehreek-e-Labbaik Pakistan (TLP), i cui rappresentanti hanno però negato ogni responsabilità e condannato gli attacchi. Inoltre secondo alcune testimonianze e alcune immagini dei video la reazione della polizia sarebbe stata minima, almeno in una prima fase: il governo locale ha poi annunciato di avere arrestato più di cento persone.
Hundreds of people armed with sticks and rocks stormed churches and attacked houses in eastern Pakistan, after a group of Muslim extremists accused a Christian family of blasphemy. pic.twitter.com/W53kXadbvT
— DW News (@dwnews) August 17, 2023
Un testimone, Yassir Bhatti, ha raccontato ad AFP che la folla ha fatto irruzione nelle case dei cristiani, portando fuori elettrodomestici, divani, letti, tavoli e sedie: «Li impilavano davanti alle chiese e davano loro fuoco. Hanno anche dissacrato alcune Bibbie». Denunce simili sono state fatte sui social anche dal vescovo della diocesi di Raiwind, Azad Marshall.
Words fail me as I write this. We, Bishops, Priests and lay people are deeply pained and distressed at the Jaranwala incident in the Faisalabad District in Pakistan. A church building is being burnt as I type this message. Bibles have been desecrated and Christians have been… pic.twitter.com/xruE83NPXL
— Bishop Azad Marshall (@BishopAzadM) August 16, 2023
La minoranza cristiana in Pakistan rappresenta circa l’1,6 per cento della popolazione e conta complessivamente meno di 3 milioni di persone. Il Punjab è la regione dove la concentrazione di minoranze religiose è maggiore e dove è stata registrata la stragrande maggioranza di denunce per blasfemia.
Secondo i dati del think tank pachistano Centro di ricerche e studi per la sicurezza (CRSS), le accuse e i casi di blasfemia dal 1947 sono stati 1.415, ma oltre 1.200 sono relativi al decennio 2011-2021: 18 donne e 71 uomini sono stati uccisi in seguito alle accuse, ma prima di un processo. A inizio agosto un insegnante è stato ucciso a Turbat, nella provincia meridionale del Belucistan: un uomo gli ha sparato dopo averlo accusato di blasfemia durante una lezione. A febbraio la folla aveva assaltato una stazione di polizia del distretto di Nankana dove era custodito un uomo accusato di blasfemia: lo ha prelevato e picchiato a morte, dando poi fuoco al cadavere.
Varie organizzazioni locali e internazionali sottolineano come le accuse di blasfemia siano spesso utilizzate per intimidire le minoranze o per risolvere dispute personali. In molti casi gli accusati di oltraggio all’Islam restano anni in carcere senza che venga istituito un processo: i giudici sono riluttanti a occuparsene, perché un’assoluzione o una condanna ritenuta dall’opinione pubblica non sufficientemente pesante potrebbe diventare pericolosa per le stesse autorità giudiziarie.
Nonostante questo, il Pakistan non ha mai messo in discussione le leggi sulla blasfemia, ma al contrario le ha rese più rigide nelle prime settimane del 2023 per decisione del parlamento: se insultare il Corano o il profeta Maometto poteva già portare a una condanna a morte, ora anche atti e parole contro i parenti del profeta possono essere puniti con dieci anni di prigione, estendibili fino all’ergastolo in caso di determinate aggravanti. Oggi il Pakistan è uno dei quattro paesi al mondo, insieme a Iran, Brunei e Mauritania, a prevedere la pena di morte per blasfemia.
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