Il racconto dell’avvelenamento di Elena Kostyuchenko
È una delle più importanti giornaliste russe critiche nei confronti del regime di Putin: ne ha parlato lei stessa in un lungo articolo
Martedì Elena Kostyuchenko, una delle più importanti giornaliste russe, ha raccontato in un lungo articolo pubblicato sul giornale online Meduza di essere stata avvelenata mentre si trovava in Germania lo scorso ottobre. Kostyuchenko non è in pericolo di vita e le indagini sono ancora in corso. Lei ha raccontato però come l’avvelenamento sia stato soltanto l’ultimo dei tentativi di ucciderla: durante un viaggio in Ucraina, nei primi mesi della guerra, Kostyuchenko aveva ricevuto da varie fonti affidabili l’informazione che una milizia russa aveva avuto il compito di ucciderla se fosse entrata nella città di Mariupol.
Elena Kostyuchenko ha 35 anni e per 17 anni ha lavorato a Novaya Gazeta, uno degli ultimi giornali russi liberi, il cui direttore Dmitry Muratov vinse due anni fa il Premio Nobel per la Pace. È anche un’attivista per i diritti civili e autrice da anni di alcuni tra i più importanti e letti reportage del giornalismo russo: i suoi articoli hanno spesso trattato le violazioni dei diritti nel regime di Vladimir Putin e negli ultimi tempi si è occupata della guerra in Ucraina.
La storia di Kostyuchenko, pubblicata martedì su Meduza, è stata raccontata lo stesso giorno anche da un articolo del sito russo The Insider, che ha mostrato come oltre a Kostyuchenko anche altre giornaliste russe d’opposizione (in gran parte donne) siano state avvelenate in circostanze ancora da chiarire, spesso mentre si trovavano in Europa occidentale. Per ora non sono state scoperte le tossine con cui sono state avvelenate, e i loro casi risultano ancora ufficialmente irrisolti.
Nel suo articolo pubblicato su Meduza, Kostyuchenko racconta che il giorno dell’inizio della guerra, il 24 febbraio del 2022, partì immediatamente per l’Ucraina, da dove pubblicò su Novaya Gazeta diversi reportage dalle principali zone dei combattimenti. I suoi reportage erano molto diretti: raccontavano dei bombardamenti russi, dei tentativi degli ucraini di difendersi, e facevano capire piuttosto chiaramente che quella che la propaganda russa definiva una “operazione militare speciale” fosse in realtà una guerra d’invasione.
Kostyuchenko poté pubblicare i suoi articoli soltanto per pochi giorni: immediatamente dopo l’invasione, Novaya Gazeta cominciò a subire pressioni e minacce da parte di Roskomnadzor, l’agenzia russa che si occupa della censura dei media. Per evitare la chiusura, Novaya Gazeta fu costretta a interrompere tutta la copertura della guerra, e gli articoli di Kostyuchenko furono tolti dal sito del giornale. Nel giro di poco tempo Novaya Gazeta fu comunque costretta a chiudere in Russia, e oggi opera soltanto online, dall’estero.
Il 28 marzo del 2022 Kostyuchenko si trovava nella città ucraina di Zaporizhzhia e stava organizzando un trasferimento verso Mariupol, la città dove in quel momento i combattimenti tra russi e ucraini erano più feroci (la Russia occupò la città alcuni mesi dopo). Kostyuchenko organizzò con un autista locale un trasferimento a Mariupol previsto per il 31 marzo. Il giorno prima, però, ricevette una telefonata di una sua collega di Novaya Gazeta. Scrive Kostyuchenko nel suo articolo:
Il giorno prima della partenza [per Mariupol] ero in hotel per riposarmi e riprendermi, quando una collega di Novaya mi chiamò per chiedermi se stavo per andare a Mariupol. Questo mi colse di sorpresa: a Novaya soltanto due persone sapevano che stavo andando lì: il direttore Dmitry Muratov e la mia editor, Olga Bobrova. «Sì, vado domani», risposi. Allora lei disse: «Le mie fonti si sono messe in contatto con me. Mi hanno detto che stai andando a Mariupol, e che gli uomini di Kadyrov hanno ricevuto l’ordine di trovarti.
Le milizie della Guardia Nazionale di Kadyrov [il leader della Cecenia, stretto alleato di Putin, ndr] avevano effettivamente preso parte all’assedio di Mariupol. Questo lo sapevo. Ma la mia collega mi disse: «Non ti vogliono arrestare. Ti vogliono uccidere. È già stato tutto deciso».
Fu come se avessi colpito il muro con la testa. Mi si tapparono le orecchie e per un momento tutto intorno a me divenne bianco. «Non ci credo», dissi. Lei rispose: «Anche io ho detto che non ci credevo. Ma loro mi hanno fatto sentire un audio in cui ci sei tu che discuti il tuo trasferimento a Mariupol con un autista. Ho riconosciuto la tua voce».
Quaranta minuti dopo, Kostyuchenko ricevette una telefonata da una sua fonte che faceva parte dell’intelligence ucraina che le disse la stessa cosa: «Siamo stati informati di un piano per uccidere una giornalista di Novaya Gazeta in Ucraina. La tua descrizione è stata inviata a tutti i check point controllati dai russi».
A quel punto, Kostyuchenko fu costretta a lasciare l’Ucraina. Avrebbe voluto tornare in Russia ma il suo direttore, Muratov, le disse che era impossibile: se fosse tornata l’avrebbero uccisa. Kostyuchenko affittò un appartamento a Berlino, in Germania, e nel frattempo lasciò Novaya Gazeta per cominciare a lavorare a Meduza, un altro importante giornale online russo di opposizione.
A metà ottobre del 2022 andò a Monaco di Baviera per ottenere un visto giornalistico dal consolato dell’Ucraina, e poter tornare nel paese a lavorare come giornalista. Tornando a casa in treno verso Berlino, però, cominciò a sentirsi male. Iniziò a sudare e a «puzzare di frutta marcia». Nelle ore e nei giorni successivi sentì un’enorme debolezza, nausea, crampi all’addome e alcune parti del suo corpo (il viso, gli arti) si gonfiarono in maniera impressionante. Kostyuchenko cominciò una lunga trafila di visite tra medici e specialisti, che le fecero varie diagnosi, tutte sbagliate. Alcuni sollevarono l’ipotesi che fosse stata avvelenata, ma lei lo considerava impossibile. «Non sono così pericolosa», diceva.
Alla fine – ma erano ormai passate settimane, in cui aveva subìto sofferenze notevoli – gli esami esclusero ogni altra possibilità e l’avvelenamento divenne l’unica ipotesi credibile.
Kostyuchenko chiamò la polizia tedesca, come è prassi nei casi di avvelenamento. Gli agenti la interrogarono per ore e analizzarono il suo appartamento e i suoi vestiti. Dopo numerosi interrogatori, i poliziotti sembrarono quasi irritati con lei, per aver fatto passare mesi prima di chiamarli:
«Non capisco perché ci ha messo così tanto a contattarci. Avrebbe dovuto chiamare la polizia il giorno stesso in cui si è sentita male sul treno. La saremmo venuti a prendere alla stazione».
«Ma non pensavo di essere stata avvelenata. Non sono sicura nemmeno adesso».
«E perché non lo pensava?».
«Mi sembrava un’idea troppo folle. Siamo in Europa».
«E quindi?».
«Mi sentivo al sicuro».
«Questo è esattamente il problema. Voi venite qui e vi sentite in vacanza. Pensate di essere in un paradiso. Nessuno pensa di prendere precauzioni di sicurezza. Ma qui gli omicidi politici ci sono. I servizi segreti della Russia sono attivi in questo paese. E la tua incoscienza, tua e dei tuoi colleghi, è impressionante».
Nelle settimane successive le indagini sull’avvelenamento di Kostyuchenko furono prima chiuse perché la polizia tedesca non era in grado di trovare la tossina che l’aveva avvelenata, poi riaperte quando alcune analisi indipendenti dimostrarono che con ogni probabilità i suoi sintomi erano dovuti a un avvelenamento con un derivato del cloro.
Ad alcuni mesi di distanza Kostyuchenko è ancora gravemente debilitata. «Il dolore, la nausea e il gonfiore se ne sono andati. Ma la mia energia non è tornata. Ho lasciato Meduza perché non posso viaggiare per i reportage. Attualmente posso lavorare soltanto tre ore al giorno. Riesco a farlo per periodi sempre più lunghi, ma lentamente. Certi giorni non riesco a fare niente oltre a rimanere stesa e cercare di non odiare me stessa».