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  • Mercoledì 16 agosto 2023

I culti non regolamentati che spingono le persone a lasciarsi morire

Sono di ispirazione cristiana e legati a chiese fondate da predicatori senza formazione teologica: l'ultimo grosso caso è stato in Kenya

I corpi di numerose persone che si sono lasciate morire di fame, trovati a Shakahola, in Kenya (AP Photo)
I corpi di numerose persone che si sono lasciate morire di fame, trovati a Shakahola, in Kenya (AP Photo)
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A metà maggio in Kenya sono stati esumati centinaia di corpi di persone che si ritiene si siano lasciate morire di fame per seguire un culto religioso di ispirazione cristiana: i morti accertati sono oltre 300, i dispersi 600. A capo del culto che ha portato al “massacro di Shakahola” (dal nome del posto dove sono stati ritrovati i corpi) c’era il predicatore Paul Nthenge Mackenzie, che è stato poi arrestato insieme ad alcuni collaboratori con l’accusa di aver convinto tutte queste persone a lasciarsi morire di fame «per incontrare Gesù». I corpi che sono stati ritrovati avevano segni di violenze, come botte e strangolamenti, e ad alcuni di loro erano stati rimossi organi interni. Sembra anche che all’interno del gruppo alcune bambine fossero state sessualmente molestate.

La vicenda è uno dei casi peggiori di questo tipo in Kenya, ma non è l’unico, né il Kenya è il solo paese africano in cui culti religiosi non regolamentati hanno portato così tante persone a lasciarsi morire.

In diversi stati africani (e non solo) esistono culti di questo tipo spesso pericolosi per chi vi aderisce: in Africa nascono soprattutto in gruppi di ispirazione evangelica e generano eccessi di vario tipo, nei casi più estremi portando anche a suicidi collettivi, come successo in Kenya. Alessandro Gusman, antropologo dell’università di Torino, ha spiegato che i riti religiosi cristiani non regolamentati sono «un argomento complesso e non riducibile a una sola spiegazione, in cui s’intrecciano dinamiche socio-economiche e il modo in cui il cristianesimo si è mescolato con le religioni tradizionali».

Quando si parla di “culti non regolamentati” si intendono culti guidati da predicatori che in assenza di una formazione teologica avviano gruppi religiosi e fondano “chiese” con un loro nome e una loro sede, a cui poi aderiscono i seguaci che ne seguono i dettami. Stephen Akaranga, che insegna studi religiosi all’università di Nairobi, ha detto a Le Monde che solo in Kenya, dove ci sono circa 4mila istituzioni religiose, il 90 per cento dei pastori pentecostali non ha una formazione teologica (i pastori pentecostali sono quelli legati a chiese evangeliche del cristianesimo protestante).

Un esempio di regolamentazione dei culti è in Ruanda, dove nel 2018 il presidente autoritario Paul Kagame sciolse circa 700 gruppi religiosi, soprattutto evangelici, e introdusse l’obbligo di avere una formazione teologica per chiunque ne avviasse uno. Stabilì inoltre uno stretto controllo sulle attività economiche dei gruppi esistenti.

In Kenya, come in altri paesi africani, non esistono meccanismi di controllo e c’è chi ritiene che sia difficile introdurli a causa dei legami molto stretti tra la politica e gli ambienti evangelici in cui nascono questo genere di culti. Dopo il massacro di Shakahola, comunque, il presidente kenyano William Ruto ha annunciato l’istituzione di una commissione che studi possibili riforme.

Il massacro di Shakahola ha diversi elementi tra quelli ricorrenti nei culti non regolamentati: Mackenzie era un predicatore indipendente senza formazione teologica – prima di improvvisarsi predicatore faceva il tassista – ed era già noto alle autorità per le sue idee estreme e le sue interpretazioni distorte e controverse della dottrina religiosa cristiana. Prima di convincere i suoi seguaci a lasciarsi morire di fame li aveva persuasi a non andare dal medico e a non mandare i figli a scuola, fondando un istituto scolastico interno alla chiesa e cominciando a sostenere di curare le persone sulla base di «poteri divini», in tutti questi casi facendosi pagare, ha detto un suo ex sostenitore al New York Times.

Il predicatore Paul Mackenzie, il secondo da sinistra, durante un’udienza in un tribunale di Malindi, in Kenya (AP Photo)

«I suicidi collettivi come quello successo in Kenya sono una manifestazione estrema, e relativamente rara, di fenomeni molto più diffusi che spesso attraggono meno l’attenzione della cronaca: ad esempio truffe, richieste di soldi, violenze di vario tipo o magari abusi sessuali», ha detto Gusman.

Ci sono stati casi di gruppi di persone che per obbedire a un predicatore rifiutavano di lavarsi o di adattarsi a pratiche e comportamenti del tutto comuni, come ricevere un’istruzione o andare in ospedale. In Kenya è stato il caso di Kabonokia, un gruppo di ispirazione cristiana guidato per diversi decenni, fino alla sua morte nel 2020, dal predicatore Gitonga M’Mpunguru e concentrato soprattutto nella città di Irunduni. M’Mpunguru aveva convinto i suoi seguaci a considerare «sataniche» cose che fanno parte della vita moderna: la medicina, gli ospedali, i documenti di identità, i certificati di nascita e le scuole, tra le altre cose.

In un altro caso, sempre in Kenya e negli anni Settanta, un predicatore attivo soprattutto a Nyeri aveva convinto i propri seguaci a considerare un peccato la rimozione di parassiti, pulci, pidocchi e zecche dal proprio corpo e da quello dei propri animali. A Kericho, nel nord ovest del Kenya, un culto simile attirò molte attenzioni negli anni Ottanta a seguito della morte di un bambino di due anni che non era stato curato perché la medicina andava contro le credenze del gruppo. A Nakuru, sempre negli anni Ottanta, un gruppo di persone si lasciò convincere da un predicatore a strapparsi le unghie delle mani e dei piedi come forma di «circoncisione», ha raccontato lo storico e giornalista keniano John Kamau.

Nei casi più gravi l’aderenza ai culti religiosi non regolamentati ha provocato abusi e violazioni dei diritti umani. È stato il caso del gruppo religioso guidato da Gilbert Deya, ex muratore kenyano diventato predicatore, che tra gli anni Novanta e gli anni Duemila fondò una chiesa in cui sosteneva di curare l’infertilità attraverso il potere della preghiera. La chiesa aveva la sua sede principale a Londra, nel Regno Unito, dove era registrata come ente di beneficenza, e diverse altre sedi in Africa: la frequentavano decine di migliaia di donne che non riuscivano ad avere figli.

Deya fu arrestato nel 2006 a Edimburgo, in Scozia, con l’accusa tra le altre cose di traffico dei minori: secondo quanto emerso aveva sottratto alcuni neonati dal Kenyatta National Hospital, ospedale pubblico di Nairobi, e li aveva consegnati alle donne che frequentavano la sua “chiesa” convincendole che fossero nati per miracolo e chiedendo soldi. Il caso è diventato noto come Miracle Babies, “bambini miracolo”.

Fino al massacro di Shakahola il caso più noto e discusso di morte di massa provocato da un culto religioso non regolamentato era avvenuto a Kanungu, in Uganda. Il 17 marzo del 2000 circa 500 persone morirono all’interno di una chiesa barricata e poi incendiata. Facevano parte di un gruppo religioso apocalittico chiamato Movimento per il ripristino dei dieci comandamenti di Dio, secondo cui quel giorno sarebbe arrivata la fine del mondo. Il gruppo era guidato da Credonia Mwerinde e Joseph Kibwetere, un’ex barista e un ex impiegato statale diventati predicatori che sostenevano di aver avuto visioni della Madonna negli anni Ottanta.

I membri del gruppo, molti dei quali erano entrati pensando di trovare la soluzione a problemi di salute loro o dei loro familiari, vivevano quasi esclusivamente in silenzio, comunicando con un linguaggio dei segni. Mwerinde e Kibwetere li avevano progressivamente convinti a isolarsi e a vendere le loro proprietà in vista della fine del mondo, da loro più volte annunciata e poi rimandata.

Non è ancora chiaro cosa successe esattamente il 17 marzo del 2000: se quella morte collettiva fu un suicidio o un omicidio. I circa 500 membri del gruppo si trovarono nella sede del movimento, bevendo e mangiando in una sorta di festa, e morirono in un grosso incendio, chiusi all’interno della chiesa con porte e finestre sbarrate. Nei mesi successivi furono trovate altre decine di corpi seppelliti con segni di torture e strangolamento. I leader del gruppo non sono mai stati trovati.

Operatori caricano i corpi trovati a Shakahola su un furgone (AP Photo)

Spesso i culti religiosi di questo tipo nascono da profezie apocalittiche sul giorno del giudizio o sulla fine del mondo, come successo in Uganda, oppure dal racconto di miracoli: acque purificate, nascite miracolose, improvvise guarigioni da patologie terminali. Evolvono in modo graduale, con un progressivo isolamento dei seguaci che poi porta a abusi o a morti collettive, come successo in Kenya.

Gusman ha spiegato che i culti non regolamentati nascono soprattutto da branche radicali del cristianesimo, e che i loro seguaci tendono a essere soprattutto donne, «con cui chi li guida stabilisce relazioni gerarchiche di potere».

Sulle origini dei culti non regolamentati in Africa ci sono diverse ipotesi. Gusman ha spiegato che le chiese indipendenti africane crebbero di numero soprattutto tra gli anni Cinquanta e Sessanta, quando la maggior parte degli stati africani ottenne l’indipendenza dalle potenze coloniali occidentali (un’indipendenza caratterizzata da forti instabilità dovute anche alle conseguenze del dominio coloniale). «Molti casi di culti religiosi non regolamentati che nel tempo hanno portato ad abusi e a violazioni di diritti si sono verificati nei decenni successivi, anche in concomitanza con crisi economiche e col crollo delle speranze che avevano accompagnato la decolonizzazione». 

Secondo Gusman questi fenomeni non vanno però ridotti a sole dinamiche socio-economiche, o magari storiche, per esempio vedendoli come conseguenze dirette del colonialismo, che pure ha avuto un ruolo nel fomentare culti religiosi alternativi.

«La povertà e il disagio sociale espongono sicuramente le persone a maggiori vulnerabilità, ma i culti si spiegano anche con la commistione molto forte tra il cristianesimo e le religioni e le visioni cosmologiche tradizionali e locali: il cristianesimo africano è segnato da una costante dialettica tra questi aspetti», ha detto Gusman, secondo cui è anche molto importante non ridurre i culti, anche quando raggiungano derive estreme, a «narrazioni di mero tribalismo o primitivismo».

– Leggi anche: Cosa sappiamo del culto religioso collegato a centinaia di persone morte in Kenya