Perché le modifiche al PNRR preoccupano i Comuni
Temono di non ricevere più i finanziamenti o di riceverli troppo tardi, e di dover bloccare progetti già avviati
Alla fine di luglio il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto aveva presentato una proposta per modificare in modo consistente alcune parti del PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza che spiega come verranno spesi i finanziamenti europei per la ripresa dalla crisi causata dalla pandemia. La modifica più discussa riguardava lo spostamento di progetti per circa 16 miliardi di euro dal PNRR ad altri fondi europei. Fitto l’ha descritta come necessaria, perché su quei progetti negli ultimi mesi si erano accumulati ritardi e non erano state rispettate alcune scadenze previste dal PNRR: secondo il ministro c’era il rischio di perdere del tutto i finanziamenti e lasciare i progetti irrealizzati.
La proposta di Fitto ha suscitato molte contestazioni soprattutto da parte dei rappresentanti dei Comuni a cui era destinata la maggior parte di quei soldi, circa 13,5 miliardi di euro. Ora i Comuni temono in sostanza di non ricevere più i finanziamenti o di riceverli troppo tardi. In molti casi infatti hanno già anticipato una parte dei pagamenti necessari e in altri dovranno farlo a breve, se non vogliono bloccare i progetti già avviati, con un impatto non sempre sostenibile per bilanci che spesso sono già in difficoltà.
Lo spostamento dei soldi dal PNRR ad altri fondi in effetti è stato solo annunciato da Fitto, ma si sa molto poco su come verrà realizzato e in che tempi. La sua proposta peraltro deve ancora essere approvata dalla Commissione europea, che verosimilmente lo farà tra settembre e ottobre. Fitto e il governo hanno detto che non ci saranno intoppi e che i soldi arriveranno presto ai Comuni, anche se non attraverso il PNRR.
I Comuni hanno un ruolo fondamentale nella realizzazione di moltissimi progetti del PNRR. Devono inizialmente partecipare ai bandi ministeriali per aggiudicarsi i finanziamenti, poi avviare gare d’appalto per assegnare i lavori e infine fare in modo che vengano realizzati secondo i tempi e i modi previsti dalle regole europee. Il PNRR deve essere realizzato entro il 2026 e prevede una serie di traguardi intermedi da rispettare, pena l’annullamento dei fondi, che è quello che vuole evitare il governo.
In queste settimane Fitto ha più volte sostenuto che queste modifiche al PNRR si siano rese necessarie proprio per via di mancanze e ritardi da parte dei Comuni, che invece hanno negato ogni accusa, attribuendo semmai le responsabilità al governo. Non è semplice capire chi abbia ragione, anche perché c’è una grande carenza di dati sullo stato di avanzamento dei singoli progetti, denunciata a più riprese anche dagli enti che si occupano in modo analitico della raccolta di questo tipo di informazioni, come la fondazione Openpolis. Ci sono però una serie di elementi oggettivi che giustificano almeno in parte le preoccupazioni dei Comuni sullo spostamento dei fondi, a prescindere dalle responsabilità.
Un dossier sullo stato di attuazione del PNRR commissionato dall’Anci, l’associazione che riunisce i Comuni italiani, ha calcolato che prima della revisione proposta da Fitto i Comuni avevano già assegnato attraverso bandi e avvisi pubblici progetti per 36 miliardi di euro, sui 40 totali a loro destinati dal PNRR. Sulla base di questo dato l’Anci sostiene insomma che non starebbe in piedi la versione di Fitto sui ritardi.
Fitto ha anche detto che il problema principale alla base dello spostamento dei finanziamenti riguarderebbe il fatto che molti dei progetti da finanziare erano precedenti al PNRR: per questo in molti casi non sarebbero stati pensati per rispettare i requisiti dell’Unione Europea, specialmente sulle richieste in tema di impatto ambientale.
In un’intervista a Repubblica Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci, ha fatto notare che i progetti avevano già superato la prima istruttoria condotta dai ministeri e dal governo, che quindi avrebbero potuto semplicemente accorgersene prima. Decaro ha anche aggiunto che in ogni caso i Comuni si erano detti disponibili a ridiscutere «tutte le opere che la Commissione europea non ritiene compatibili con il PNRR».
Secondo Decaro se il problema fosse stato davvero questo, allora il governo non avrebbe dovuto coinvolgere nello spostamento dei finanziamenti almeno la parte del PNRR dei cosiddetti “Piani urbani integrati” (PUI), che è nata appositamente per spendere i soldi del PNRR, e quindi verosimilmente rispettando i requisiti imposti dall’Unione Europea.
I Piani urbani integrati contengono una serie di interventi per la riqualificazione delle periferie e delle città metropolitane. Valgono circa 3 miliardi di euro e comprendono 728 interventi in oltre 300 Comuni, affidati a 14 città metropolitane. Secondo l’Anci il grosso problema è che la quasi totalità dei progetti dei PUI (il 94,4 per cento) è già stata assegnata, e una parte è già stata avviata: se i finanziamenti spostati dal PNRR ritarderanno, molti progetti potrebbero rimanere bloccati perché i Comuni non hanno abbastanza soldi da anticipare, o perché anticipandoli temono di creare scompensi insostenibili ai loro bilanci, senza peraltro sapere quando gli verranno restituiti.
Alcuni dei progetti dei PUI sono attesi e discussi da anni, e riguardano la riqualificazione di diversi spazi considerati il simbolo del degrado delle periferie delle città italiane, sia dal punto di vista architettonico che sociale. Uno per esempio prevede il rifacimento di una delle Vele di Scampia, gli enormi edifici nella periferia di Napoli che per molti anni sono stati luoghi di criminalità quasi inviolabili sotto il controllo della camorra e note zone di spaccio. La riqualificazione riguarda la Vela “B”, l’unica che resterà in piedi dopo la demolizione delle altre iniziata negli ultimi anni. Il progetto prevede la costruzione di 300 nuove abitazioni, di parchi e di aree per bambini.
Altri due progetti riguardano la riqualificazione dei quartieri di San Berillo e Librino a Catania, che negli anni hanno avuto in modo simile grossi problemi di degrado e criminalità. Un altro ancora riguarda il Corviale, l’enorme complesso residenziale nella periferia sud-ovest di Roma dove abitano più o meno 4.500 persone, noto soprattutto per il suo edificio principale che per la forma caratteristica è detto “il serpentone”, lungo poco meno di un chilometro. Anche il Corviale è una nota zona di degrado controllata da gruppi criminali, e nelle intenzioni del progetto dovrebbero essere costruiti nuovi servizi e centri di aggregazione.
Altri progetti meno in vista riguardano la realizzazione di aree verdi e piste ciclabili in città come Bari, Milano e Genova, la creazione di un parco dove sorgeva una discarica a Palermo, il rifacimento di un grande mercato comunale a Cagliari, la riqualificazione del lungomare tra Locri e Siderno in provincia di Reggio Calabria e altri ancora.
Lunedì Decaro e altri rappresentanti dei Comuni hanno incontrato il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi per un confronto su questi temi. Decaro ha detto che Piantedosi non ha chiarito come mai il governo abbia deciso di spostare anche i progetti dei PUI, e che ha garantito che non ci saranno ritardi nell’erogazione dei finanziamenti, pur senza fissare scadenze.