Gli incendi a Maui c’entrano con le piante portate dalla colonizzazione statunitense
Sarebbero stati favoriti dalle distese d'erba che hanno preso il posto delle piantagioni di canna da zucchero e ananas
I grandi incendi che la scorsa settimana hanno causato la morte di decine di persone a Maui, la seconda isola per superficie delle Hawaii, sono stati alimentati dal forte vento e dalla secchezza della vegetazione, i due fattori che in tutto il mondo favoriscono l’espansione degli incendi boschivi. Maui ha però un problema specifico che ora vari esperti stanno associando alla devastazione causata dal fuoco: la grande diffusione di piante erbacee non native delle Hawaii ed estremamente infiammabili sui terreni un tempo occupati dalle piantagioni di canna da zucchero e ananas.
Fino all’inizio del Novecento Lahaina, la città di quasi 13mila abitanti distrutta dagli incendi, era circondata da paludi, dunque da acquitrini e da un tipo di vegetazione che prospera in climi molto piovosi, come quello delle Hawaii: un tipo di ambiente che di norma impedisce la propagazione degli incendi. Le paludi però vennero bonificate per far spazio alle piantagioni di ananas e soprattutto di canna da zucchero, che per circa un secolo sono state la principale risorsa economica delle Hawaii, fino a che il turismo non le ha superate.
L’ultima piantagione di canna da zucchero delle isole chiuse nel 2016, proprio a Maui. Sui terreni un tempo occupati dalle piantagioni hanno prosperato delle piante originarie dell’Africa e portate alle Hawaii dai colonizzatori statunitensi per produrre foraggio per il bestiame. I nomi scientifici di queste piante sono Megathyrsus maximus, Cenchrus ciliaris e Melinis minutiflora: in sostanza sono erbe che superano il metro di altezza, crescono moltissimo e velocemente quando piove, e per questo si trovano molto bene alle Hawaii, dove le precipitazioni sono abbondanti. Resistono inoltre alla siccità della stagione secca, a cui si sono abituate bene nel loro ambiente d’origine, l’Africa centrale.
Sono anche specie che bruciano molto facilmente e sono favorite dagli incendi, perché ricrescono bene sui terreni bruciati e lo fanno prima di altre piante. Dopo che nel 2018 un incendio sull’isola di Hawaii bruciò 14 chilometri quadrati dell’Hawaii Volcanoes National Park, queste specie si espansero anche sui campi di lava dove fino a quel momento crescevano solo gli alberi di ʻōhiʻa, una specie locale (le Hawaii sono isole vulcaniche). È un fenomeno preoccupante, anche perché le distese di lava sarebbero un’ottima barriera per gli incendi, se prive di vegetazione fatta eccezione per degli sparsi ʻōhiʻa. Perdono invece questa funzione tagliafuoco se sono ricoperte d’erba.
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Elizabeth Pickett, dirigente dell’Hawaii Wildfire Management Organization, un’organizzazione non profit che cerca di contrastare il rischio di incendi con la divulgazione e altre iniziative, ha detto a Wired che si stima che oggi le tre specie di piante siano presenti sul 26 per cento del territorio hawaiano. Non solo dove un tempo c’erano le piantagioni, terreni fuori dalle città che ora sostanzialmente sono abbandonati, ma anche lungo le strade e nelle zone di vegetazione cittadine, giardini delle case compresi. Distese di queste erbe riempivano i pendii attorno a Lahaina, la città distrutta, fino alle zone residenziali.
Secondo Clay Trauernicht, un botanico esperto di scienza e gestione degli incendi di vegetazione dell’Università delle Hawaii, è evidente che le distese di erbe non native possono rendere del tutto incontrollabili e molto estesi degli incendi che in altri contesti sarebbero del tutto gestibili.
Le indagini sugli incendi che sono state aperte a Maui riguardano le operazioni di allerta ed evacuazione e ciò che ha innescato le fiamme, quasi sicuramente azioni umane intenzionali o meno. Riguardano però anche la mancata prevenzione, perché le autorità di Maui erano consapevoli del fatto che l’isola fosse a forte rischio incendi in questa stagione, che è appunto la stagione secca e quest’anno è stata particolarmente interessata dalla siccità.
Gli incendi del 2018 avevano riguardato anche Maui e avevano distrutto 21 case proprio nell’ovest dell’isola, dove si trova Lahaina. In quell’occasione lo stesso Trauernicht, che è uno dei principali esperti di incendi delle Hawaii, aveva scritto una lettera al Maui News per mettere in guardia gli abitanti dai rischi di incendio ed esortarli a fare qualcosa per prevenirli: «Il combustibile (tutta quell’erba) è la singola cosa su cui possiamo intervenire direttamente per ridurre il rischio di incendi».
Più in generale era stato osservato un aumento del rischio di danni da incendi per le Hawaii a causa di una riduzione delle precipitazioni. Allo stesso tempo le temperature medie sono aumentate in linea col riscaldamento globale causato dalle attività umane: questo ha reso la stagione secca più secca e quindi la vegetazione più vulnerabile agli incendi. Per quanto riguarda Maui, si sapeva che la zona di Lahaina era la più esposta al rischio di incendi della parte occidentale dell’isola: lo segnalava un piano ufficiale di riduzione del rischio del 2020.
I rischi legati agli incendi si potrebbero contenere costruendo delle barriere per il fuoco, facendo crescere piante più resistenti alle fiamme e facendo pascolare il bestiame sulle distese d’erba abbandonate. Finora non sono state prese grandi iniziative di questo genere sebbene si sapesse che sarebbero state utili.
Aftermath of large #wildfire in #Lahaina, #Maui.
Images taken by @CopernicusEU #Sentinel2 on Aug. 8 and Aug. 13, 2023.
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— kosmi 🛰️🌍 (@kosmi64833127) August 14, 2023
Al di là dell’aumento globale delle temperature, che si è visto anche alle Hawaii, non si sa esattamente quale sia stato l’eventuale contributo del cambiamento climatico agli incendi degli ultimi anni, ma si sa che un’atmosfera più calda porta maggiore evapotraspirazione, cioè evaporazione dell’acqua dal suolo e traspirazione dalle piante, e dunque vegetazione più secca.
Bisogna poi considerare un fattore sociale che potrebbe avere condizionato gli inneschi degli incendi: le Hawaii sono interessate da una crisi abitativa a causa della quale molte persone sono senza dimora e vivono in accampamenti di camper e roulotte. In questo contesto si cucina spesso all’aperto, cosa che aumenta i rischi di incendi non intenzionali in zone ai margini dei centri urbani e dunque più vicine alla vegetazione incontrollata.
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