Javier Milei, il leader di estrema destra che ha vinto le primarie in Argentina
Vuole abolire la banca centrale, è contro l’aborto, favorevole alle armi per tutti e crede che vendere organi possa essere «un mercato in più»
Le primarie in Argentina, considerate una specie di grande sondaggio nazionale prima delle elezioni presidenziali del 22 ottobre, sono state vinte dall’economista di estrema destra e populista Javier Milei. È il leader di La Libertad Avanza, partito che ha fondato, e ha ottenuto circa il 30 per cento dei voti. Ha superato non solo le aspettative (i sondaggi lo davano intorno al 20 per cento), ma anche le due storiche formazioni politiche del paese, che hanno vinto le ultime tre elezioni: la destra di Juntos por el Cambio, arrivata al secondo posto, e i peronisti di Unión por la Patria, attualmente al governo, che sono arrivati terzi. All’interno del tradizionale sistema bipartitico del paese Milei si è dunque imposto come una possibile terza via.
Chi è Javier Milei
Abolire la banca centrale «metterà fine all’inflazione», la vendita di organi può essere «un mercato in più», i politici «devono essere presi a calci in culo». È con proposte come queste, gridate nelle piazze e negli stadi, che l’economista ultraliberale Javier Milei domina la discussione pubblica argentina fin dalla prima volta che è comparso in televisione, nel 2016. Il quotidiano spagnolo El País ha parlato di una «furia anti-establishment».
Istrionico, trasandato, ma allo stesso tempo molto attento alla propria immagine, Milei è nato a Buenos Aires. Compirà 53 anni il prossimo 22 ottobre, giorno delle elezioni presidenziali.
È figlio di un autista di autobus che è diventato un uomo d’affari nel settore dei trasporti e di una casalinga. Nel 2018 aveva detto che i suoi genitori, per lui, erano «morti». Il giornalista Juan Luis González, che ha raccontato la vita di Milei, ha detto che è cresciuto in un ambiente molto violento e che in famiglia è stato sostenuto solo dalla nonna materna e dalla sorella minore Karina, che oggi è la coordinatrice della sua campagna elettorale. È lei che Milei ha ringraziato dal palco lo scorso 7 agosto durante l’ultimo evento prima delle primarie. Mentre lo stadio quasi pieno cantava “Que se vayan todos”, “Che se ne vadano tutti”, Milei ha citato sei nomi: “El Jefe”, “il capo”, come chiama la sorella, e poi Conan, Murray, Milton, Robert e Lucas, i cinque mastini inglesi che lui definisce i suoi «figli a quattro zampe».
Milei ha frequentato scuole cattoliche e università private. Conosce bene la Bibbia, ma attualmente uno dei suoi principali consiglieri è un rabbino: ha detto che sta studiando per convertirsi all’ebraismo.
A scuola Milei era soprannominato “El Loco”, cioè “il matto”, per via delle sfuriate e dell’aggressività che decenni dopo lo avrebbero portato a diventare l’economista più amato dalla televisione e poi un deputato al Congresso nel 2021. Milei è stato anche a capo di diverse società di consulenza private, ha fatto il conduttore radiofonico e di talk show e ha insegnato all’università. Èd è stato consigliere economico di Antonio Domingo Bussi, militare durante la dittatura in Argentina (dal 1976 al 1983), eletto deputato alla fine degli anni Novanta, poi espulso dal parlamento e accusato di crimini contro l’umanità.
Nell’anno e mezzo in cui è stato al Congresso, Milei non ha promosso alcun progetto, ma, cosa molto apprezzata dai suoi sostenitori, che sono soprattutto giovani maschi, ha messo a disposizione il proprio stipendio tramite un sorteggio: «Per me sono soldi sporchi»; «Lo stato è un’organizzazione criminale che si finanzia attraverso le tasse prelevate alle persone con la forza. Stiamo restituendo i soldi che la casta politica ha rubato».
La vita privata di Milei è finita spesso al centro della discussione pubblica. Il suo biografo González ha detto, ad esempio, che Milei studia la telepatia e dice di avere un mezzo per comunicare con il più anziano dei suoi mastini, morto nel 2017, a cui chiede spesso consiglio: «Quello che faccio dentro casa è un mio problema», ha risposto lui in un’intervista rispetto a questa questione: «E se (il cane) è, come si suol dire, il mio consigliere politico, la verità è che ha stracciato tutti».
Nel giugno dello scorso anno, durante un dibattito radiofonico, Milei aveva detto che la vendita di organi poteva essere un possibile mercato: «Chiunque abbia deciso di venderti un organo, in che modo influisce sulla vita, sulla proprietà o sulla libertà degli altri? Chi sei tu per determinare cosa vuole fare l’altra persona con la sua vita?». Giorni dopo, un giornalista gli aveva chiesto cosa pensasse della vendita dei bambini, altro tema su cui Milei aveva fatto dichiarazioni ambigue: «Dipende», aveva risposto lui: «Se avessi un figlio non lo venderei, ma la risposta dipende dai termini nei quali si sta pensando la cosa, forse tra duecento anni potrebbe essere discussa».
Milei dice di voler vietare l’ingresso nel paese di stranieri con precedenti penali e di voler espellere coloro che commettono dei reati. Dice che lo stato dovrebbe occuparsi solo di amministrare la giustizia e di garantire la sicurezza, che la banca centrale ruba denaro agli argentini attraverso l’inflazione, e attacca costantemente quella che considera la «casta» della politica, cioè le formazioni politiche tradizionali. Durante l’ultima campagna elettorale, pur avendo rivisto toni e stili del passato (un tempo si vestiva da militare e con un giubbotto antiproiettile), continua a usare una retorica populista e aggressiva.
È negazionista rispetto ai numeri dei cosiddetti desaparecidos durante la dittatura che lui preferisce chiamare «guerra» (i desaparecidos sono le persone prelevate durante la dittatura e poi scomparse) ed è negazionista della crisi climatica (che ha definito una «menzogna del socialismo»). È contro l’aborto, il femminismo e l’educazione sessuale nelle scuole, è favorevole all’uso delle armi per tutti, vuole ridurre le tasse, i programmi assistenziali e privatizzare le imprese pubbliche.
Dopo essere stato eletto al Congresso, nel novembre del 2021, Milei aveva detto di volersi presentare alle presidenziali del 2023, ma nessuno gli aveva dato molto credito. Il 10 giugno del 2022 aveva convocato il suo primo grande raduno alla periferia della capitale argentina, ma quell’incontro era stato un fallimento: c’erano poco più di mille persone. Alle legislative di metà mandato del novembre dello stesso anno, quando il blocco peronista era stato superato da Juntos por el Cambio nella maggior parte delle province del paese perdendo il controllo del Senato, il partito di Milei era arrivato terzo a Buenos Aires, la capitale, con il 17 per cento. E il risultato era stato raccontato come la principale novità delle elezioni.
Da lì in poi Milei ha continuato a crescere, non tanto nei risultati elettorali (alle elezioni provinciali che si sono tenute quest’anno i candidati che sosteneva e che hanno ottenuto i migliori risultati hanno raggiunto a malapena la doppia cifra), ma certamente in popolarità.
Perché Milei ha vinto?
Javier Milei, dicono gli osservatori, è riuscito a fare leva sulla delusione, sulla frustrazione e sulla rabbia di molti elettori ed elettrici nei confronti dei partiti tradizionali. «La vittoria di Milei ci parla soprattutto della misura dello sconforto e della rabbia che aleggia nella società argentina, che ha voluto esprimere questo profondo disagio con il voto delle primarie», ha scritto ad esempio il quotidiano argentino El Clarín. Un candidato come Milei, ha scritto Pagina 12, «nasce da una brutta situazione economica, dalle situazioni critiche vissute durante i mesi di isolamento dovuti alla pandemia, sommate al colpo esasperante e permanente dell’inflazione». La base elettorale «sente che all’interno del sistema politico costituito dai partiti non c’è via d’uscita. E vede che Milei è l’unico disposto a prendere a calci il tabellone».
Milei si è insomma sempre presentato, e così viene visto, come il rappresentante dell’antisistema, come un personaggio venuto dall’esterno per combattere le cattive pratiche della politica.
Pagina 12 vede però una somiglianza tra l’attuale scenario e quelli che si presentavano prima dei colpi di stato militari, in Argentina e altri paesi dell’area: «I colpi di stato militari hanno smontato il sistema democratico, ma non hanno mai risolto nulla e, in cambio, hanno peggiorato la vita degli argentini: povertà, debiti, disoccupazione e così via. Milei sembra un figlio di quella storia. Incarna le stesse illusioni di un settore della società che ha promosso le dittature e che poi se ne è pentito».
Il voto delle primarie ha punito soprattutto l’attuale governo peronista di Alberto Fernández, il cui blocco politico aveva scelto di puntare su Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia. Ma la sua non era l’unica candidatura: l’ala più a sinistra della coalizione aveva presentato Juan Grabois, trasformando le primarie anche in una competizione interna.
Il ruolo di ministro dell’Economia e contemporaneamente di pre-candidato alla presidenza ha sfavorito Massa, così come il fatto che la vicepresidente Cristina Kirchner, molto popolare, avesse deciso di non partecipare alla sua campagna. Da anni l’Argentina attraversa una crisi economica gravissima: negli ultimi mesi l’inflazione ha superato il 100 per cento su base annua, nell’ultimo anno i prezzi sono quasi raddoppiati, il peso argentino vale sempre meno e quasi il 40 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Sergio Massa aveva condotto la campagna elettorale dicendo che questi problemi sarebbero stati risolti, rendendo molto evidente il paradosso che era proprio lui ad avere avuto il potere di farlo: senza però riuscirci.
Il risultato delle primarie ha colpito anche l’attuale opposizione di destra di Juntos por el Cambio che, secondo diversi osservatori, ha fatto una scelta sbagliata candidando due figure molto forti: Horacio Rodríguez Larreta, sindaco uscente della città di Buenos Aires, e Patricia Bullrich, ex ministra della Difesa e posizionata più a destra di Larreta. Questa doppia opzione invece di potenziare lo spazio politico lo ha trasformato in un conflitto interno talvolta molto aspro che potrebbe avere spaventato gli elettori. La più votata, in Juntos por el Cambio, è stata comunque Bullrich che ha apprezzato più volte pubblicamente Milei.
La vittoria di Milei e anche quella di Bullrich sono il segnale di come l’elettorato argentino si stia spostando verso destra. I due hanno accumulato, in forze separate, il 58 per cento dei voti.
Cosa succederà ora?
Le presidenziali si terranno il 22 ottobre: per essere eletto presidente al primo turno, il candidato o la candidata con più voti dovrà ottenere almeno il 45 per cento oppure il 40 per cento con un margine di almeno 10 punti dal secondo arrivato. Nel caso in cui nessuno o nessuna raggiunga queste percentuali, ci sarà un ballottaggio che secondo la Costituzione si dovrà svolgere entro trenta giorni dal primo turno. La data prevista sarebbe dunque il 19 novembre.
I principali giornali argentini dicono oggi che è prematuro fare delle previsioni e che nei prossimi giorni il voto andrebbe riletto disaggregandolo per circoscrizioni, età e sesso. Ma la maggior parte degli analisti scrive anche che, essendosi diviso lo scenario elettorale in tre, è molto probabile che si vada al ballottaggio. E dicono che Milei potrebbe arrivarci.
Il primo obiettivo, per Milei, sarà mantenere i voti che ha preso e fare in modo che il risultato delle primarie non si esaurisca con le primarie stesse. Nonostante il suo recente successo ci sono dei dubbi sulle sue reali potenzialità elettorali e sul fatto che i numeri ottenuti si concretizzino in una sua elezione alla presidenza.
In vista del “vero” voto, Milei dovrà dimostrare di essere in grado di governare un paese complesso e che è in una situazione complessa: e per ottenere un posto al ballottaggio, ha scritto El Clarín, «avrà bisogno di qualcosa di più delle urla e dei gesti da outsider che gli hanno dato così buoni risultati ora. A ottobre dovrà costruire una maggioranza, non solo essere il candidato più votato». In molti prevedono dunque che da qui in poi Milei cambierà profilo assumendone uno più istituzionale: «Non mi stupirei se nei prossimi mesi o settimane, ma anche domani, vedessimo Milei con i capelli leggermente più corti, con la cravatta un po’ più ordinata e con un volto meno incendiario», ha detto l’analista politico Andrés Oppenheimer.
Nel voto per le presidenziali va infine considerato il fatto che il partito di Milei non può contare su un apparato solido: non ha politici di peso eletti nelle città o nelle province e potrebbe dunque patire la propria strutturale debolezza istituzionale.
Sergio Massa affronta una situazione diversa. I peronisti dovranno infatti cercare di mobilitare maggiormente gli elettori e le elettrici: la partecipazione alle primarie è stata del 69 per cento circa, diversi punti in meno rispetto alle precedenti, cosa che sembra appunto aver sfavorito la formazione al governo. Massa dovrà poi riuscire a proporsi come un’alternativa valida ai due candidati di destra, soprattutto in ambito economico e culturale, ma dovrà anche assumere il verdetto uscito dalle primarie, che esprime malcontento, mancanza di appartenenza e nuove esigenze da parte di nuove generazioni. E probabilmente riuscirà a farlo prendendo le distanze dall’attuale governo.
Dall’altra parte, Juntos por el Cambio di Bullrich dovrà cercare di recuperare i voti che, da una prima analisi, sembra aver perso proprio a favore di Milei. La candidata e lo spazio politico in cui si muove dovranno ritrovare una propria identità e non sembrare solamente una copia dell’originale, cioè il partito di Milei. Resta poi da vedere, per la coalizione di destra, se tutti i voti che alle primarie sono andati a Horacio Rodríguez Larreta potranno sommarsi automaticamente a quelli di Bullrich, nel voto di ottobre: in molti ne dubitano, vista la forte competizione tra i due.