In Argentina ci sono le primarie
Guida ai possibili candidati e candidate delle prossime elezioni presidenziali, previste per ottobre e attorno a cui sembra prevalere un grande disincanto
Domenica in Argentina ci sono le primarie con le quali ciascun partito e coalizione sceglierà il futuro candidato o candidata alle elezioni presidenziali previste per il 22 ottobre (l’eventuale ballottaggio si terrà il 19 novembre). Gli elettori e le elettrici possono scegliere tra 22 diverse formule presidenziali, cioè coppie di presidenti e vicepresidenti. La maggior parte dei partiti o coalizioni ha già concluso i propri dibattiti interni e presenterà una candidatura unica: non ci sarà dunque alcuna competizione al loro interno. Le principali formazioni politiche del paese, Unión por la Patria dell’attuale presidente, il peronista moderato Alberto Fernández, e Juntos por el Cambio dell’ex presidente Mauricio Macri, presenteranno invece due possibili formule presidenziali ciascuno.
In generale, le primarie in Argentina vengono considerate come un grande sondaggio nazionale pre-elezioni e saranno soprattutto una prova per capire la forza relativa di ciascun fronte.
Il sistema delle primarie fu introdotto nel 2009 dall’allora presidente Cristina Kirchner, dopo una sconfitta imprevista nelle elezioni di metà mandato. Il sistema si chiama “primarie simultanee obbligatorie” (“PASO”, in spagnolo) e obbliga tutti i partiti che intendono partecipare alle elezioni presidenziali a presentare almeno un candidato. Il sistema obbliga anche gli elettori e le elettrici a votare: non votare senza una valida giustificazione rischia di portare a una multa. Il 13 agosto potranno votare più di 35 milioni di persone (di cui più di 13 milioni solo a Buenos Aires, la capitale) e ciascuna formazione politica dovrà ottenere almeno l’1,5 per cento dei voti per potersi poi presentare alle elezioni vere e proprie.
Le formazioni politiche che supereranno sicuramente la soglia dell’1,5 per cento dei voti sono cinque. Tra queste, c’è il raggruppamento peronista che fa capo all’attuale presidente Alberto Fernández e alla vicepresidente Cristina Kirchner: Unión por la Patria. La coalizione aveva inizialmente annunciato il raggiungimento di un accordo interno che aveva portato le diverse aree a convergere sul nome di Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia. Poco dopo, però, l’ala più di sinistra aveva annunciato di voler presentare un proprio pre-candidato alla presidenza, Juan Grabois.
L’attuale governo arriva al PASO in una situazione molto delicata. Da anni l’Argentina attraversa una crisi economica gravissima, con un’inflazione che negli ultimi mesi ha superato il 100 per cento su base annua. Nell’ultimo anno i prezzi sono quasi raddoppiati, il peso argentino vale sempre meno e quasi il 40 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Dopo il fallimento del 2001, che portò il paese al collasso, l’Argentina sembra vivere in uno stato di perenne crisi, con qualche momento di respiro dato soprattutto dai prestiti internazionali, più che da una reale soluzione alle storiche criticità.
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Sergio Massa è una figura molto apprezzata dal Fondo monetario internazionale, con il quale il ministro dell’Economia in carica ha siglato una serie di accordi per la restituzione del debito di 45 miliardi di dollari risalente al grosso prestito di 57 miliardi di dollari (circa 51 miliardi di euro) che il Fondo monetario aveva fatto all’Argentina nel 2018 per evitare il default.
Gli analisti sostengono che, al di là della questione politica, migliore sarà il risultato di Massa alle primarie minore sarà l’incertezza economica, almeno nell’immediato. Ma sostengono anche che Massa sia svantaggiato a causa del suo doppio ruolo di ministro e candidato alla presidenza. Le sue proposte economiche per il futuro sono legate cioè a quelle applicate durante la sua stessa amministrazione, e verso le quali c’è un generale malcontento: durante il suo mandato l’inflazione è passata dal 71 per cento a quasi il 120 per cento su base annua. Dopo aver promesso che, se eletto, sarà il presidente «che sconfiggerà l’inflazione» e dopo aver ricevuto numerose critiche per quella dichiarazione, Massa è dovuto tornare sull’argomento ammettendo il fallimento: «Non siamo riusciti a risolvere il problema dell’inflazione. Bisogna ammetterlo».
Juntos por el Cambio, la coalizione di destra che si è creata intorno all’ex presidente Mauricio Macri, presenterà due possibili candidati presidenziali: Horacio Rodríguez Larreta e Patricia Bullrich. Larreta è il sindaco uscente della città di Buenos Aires ed è considerato da molti il successore naturale di Macri.
Bullrich è stata ministra della Difesa nel governo Macri, è posizionata più a destra e durante la campagna elettorale non ha mai perso l’occasione di differenziarsi da Larreta presentandolo come troppo moderato: «Il dialogo non toglie i trafficanti di droga dalle strade», ha detto ad esempio. L’ordine e la sicurezza sono temi centrali per la candidata che si è spesso scagliata contro i picchetti e i blocchi stradali che nelle ultime settimane hanno interessato il paese, soprattutto nelle province del nord di Salta e Jujuy dove le popolazioni originarie, in alleanza con gli insegnanti, sono in protesta.
Libertad Avanza, formazione di estrema destra e populista, si presenta con l’uomo che l’ha fondata: Javier Milei, deputato eletto al Congresso nel 2021. Milei è un economista, è stato a capo di diverse società di consulenza private, ha fatto il conduttore radiofonico e ha insegnato all’università per più di vent’anni. È stato anche consigliere economico di Antonio Domingo Bussi, militare durante la dittatura in Argentina (dal 1976 al 1983), eletto deputato alla fine degli anni Novanta, poi espulso dal parlamento e accusato di crimini contro l’umanità.
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Tra le altre cose, Milei dice che lo stato dovrebbe occuparsi solo di amministrare la giustizia e di garantire la sicurezza, che la banca centrale ruba denaro agli argentini attraverso l’inflazione e attacca costantemente quella che considera la «casta» della politica, cioè le formazioni politiche argentine tradizionali. Pur avendo rivisto toni e stili del passato, Milei continua a usare una retorica populista aggressiva, è negazionista rispetto ai numeri dei desaparecidos e della crisi climatica (i desaparecidos sono le persone sparite durante la dittatura, di cui non si sono avute più notizie). È contro l’aborto e il femminismo, è favorevole all’uso delle armi per tutti, vuole ridurre le tasse, i programmi assistenziali e privatizzare le imprese pubbliche.
Nell’ambito del peronismo più moderato, ma vicino al centrodestra, si muove anche Juan Schiaretti, attuale governatore di Cordoba, che si presenta con lo slogan “Hacemos por nuestro país”, “Lo facciamo per il nostro paese”.
La sinistra e l’estrema sinistra argentina si sono disperse tra diverse proposte, ma Frente de Izquierda y de los Trabajadores-Unidad è quella che raccoglie i maggiori consensi: si presenteranno due candidati per le presidenziali, Myriam Bregman e Gabriel Solano. All’interno delle varie formazioni di sinistra, diversi giornali segnalano infine che per la prima volta si presenterà per la presidenza anche una donna trans: Reina Ibañez.
In generale, i giornali argentini scrivono che la campagna elettorale è stata piuttosto noiosa e che non stati fatti né annunci né discorsi memorabili da parte dei candidati e delle candidate: «Hanno sorriso quando dovevano e hanno detto ciò che ci si aspettava da loro. Tante coreografie, pochi balli», ha commentato ad esempio qualche giorno fa il Clarín, il più importante quotidiano argentino. Nemmeno gli slogan dei partiti «hanno fatto aumentare le pulsazioni», prosegue il Clarín: «C’è il marziale “Tu sei la Patria, noi la difenderemo” (di Sergio Massa, ndr), l’evangelico “facciamo un cambiamento nella nostra vita” (di Larreta, ndr), il capriccioso “se non è tutto, non è niente” (di Bullrich, ndr), il naïf “immaginiamo un’Argentina diversa” (di Milei, ndr), il picaresco “l’uscita è a sinistra” (di Myriam Bregman, ndr) o l’elementare “salario minimo a 500.000 pesos” (della lista di estrema sinistra Lista Izquierda Anticapitalista, ndr)».
Questo quadro «tiepido», prosegue il Clarín, sembra «calzare bene con l’apatia o la stanchezza che prevale tra tanti elettori e la cui massima espressione è stata rappresentata dai quasi cinque milioni e mezzo di persone che hanno scelto di non votare alle elezioni provinciali» che si sono svolte durante l’anno. Eppure, conclude il quotidiano, la posta in gioco delle primarie e delle prossime elezioni è significativa: soprattutto per la gravità della crisi economica. Il suo esito è comunque molto incerto e imprevedibile.
In Argentina le società che si occupano di sondaggi sono considerate particolarmente inaffidabili. In generale è però possibile dire che il governo di Alberto Fernández è malvisto da oltre il 70 per cento delle persone e che l’indice di gradimento degli eletti e dei candidati di Unión por la Patria è molto basso. Ci sono poi i risultati delle elezioni provinciali che si sono tenute quest’anno: i peronisti al governo, ad esempio, hanno perso il controllo di tre province che avevano governato per decenni. Sebbene complessa, l’analisi del voto nelle province ha mostrato anche che i candidati sostenuti da Larreta se la sono cavata meglio di quelli sostenuti da Bullrich.
I sondaggi pubblicati nelle ultime settimane dicono che c’è una differenza a favore di Juntos por el Cambio rispetto a Unión por la Patria appena superiore al margine di errore. Unión por la Patria, intorno al 30 per cento e con Massa decisamente avanti rispetto all’altro candidato interno all’area. Nell’opposizione interna alla destra, diverse analisi danno Patricia Bullrich al di sopra di Horacio Rodríguez Larreta, anche se la distanza tra loro si è via via ridotta. E ci sono sondaggi che dicono anche il contrario.
Con Javier Milei c’è una situazione molto particolare. In generale, c’è abbastanza accordo tra i vari sondaggi: è dato intorno al 20 per cento. Ma anche di fronte a questo scenario gli analisti hanno dei dubbi sulle sue reali potenzialità elettorali. Alle provinciali i candidati sostenuti da Milei che hanno ottenuto i migliori risultati hanno raggiunto a malapena la doppia cifra. Sulla base di questi risultati, i sondaggisti pensano che i numeri di Milei nei sondaggi corrispondano a una sorta di reazione arrabbiata delle persone dovuta al disincanto generato dai politici tradizionali, ma che non necessariamente si concretizzerà al momento del voto.