I ripensamenti dei laburisti britannici sui diritti delle persone trans
Dopo aver tenuto per anni una linea radicale, il partito ha cambiato bruscamente idea, aggiungendo un nuovo pezzo al dibattito
Da un paio di settimane nel Regno Unito è in corso un dibattito politico e mediatico piuttosto acceso sui diritti delle persone transgender e le riforme che il partito laburista, il principale di centrosinistra e dell’opposizione, dovrebbe sostenere per tutelarli. Le prossime elezioni politiche nel Regno Unito si dovrebbero tenere a gennaio del 2025 e all’interno del dibattito di preparazione alla campagna elettorale il tema dei diritti delle persone trans non è probabilmente quello di maggiore interesse della popolazione, ma in qualche modo è diventato uno di quelli che stanno prendendo più spazio sui giornali.
Pur essendo in corso da alcuni anni nel Regno Unito, questo discorso è diventato particolarmente attuale da un paio di settimane. Alla fine di luglio infatti Anneliese Dodds, ministra “ombra” per le Pari opportunità del partito laburista (nella politica britannica il partito di opposizione si organizza in dipartimenti analoghi a quelli del governo), ha scritto un articolo nella sezione Opinioni del Guardian in cui ha di fatto annunciato un cambiamento abbastanza sostanziale e inaspettato nella linea del partito, che fino a quel momento aveva sostenuto un approccio estremamente progressista sul tema. La nuova posizione dei laburisti è una sorta di compromesso rispetto alle posizioni più radicali portate avanti negli ultimi due anni, tanto che i media l’hanno definita un’«inversione a U». Secondo alcuni commentatori, dentro e fuori dal Regno Unito, potrebbe essere l’inizio di un discorso più articolato e sfumato su un tema che specialmente nel mondo anglosassone è stato finora molto polarizzato e su cui la comunicazione tra chi la pensa diversamente è stata assai difficile.
Responsible politics isn't about doing what's easy. It’s about doing what's right.
That's why Labour will act where the Conservatives have failed by modernising, reforming and simplifying the outdated gender recognition law.
Here's how ⤵️ 🧵https://t.co/McXrSzuJtK
— Anneliese Dodds (@AnnelieseDodds) July 24, 2023
Circa due anni fa il leader del partito laburista Keir Starmer aveva promesso di riformare il Gender Recognition Act, cioè la legge che regola le transizioni di genere dal 2004, proponendo un sistema che permettesse alle persone trans intenzionate a cambiare genere e nome sui documenti di farlo semplicemente con una richiesta formale, senza dover ottenere l’approvazione di una commissione di medici e giuristi come avviene oggi nel Regno Unito. Questo sistema di autocertificazione (che è già presente in altri paesi come Irlanda e Argentina) avrebbe reso la procedura di transizione di genere molto più facile, almeno a livello burocratico. È una soluzione auspicata soprattutto da chi si occupa di diritti LGBTQ+, per cui il fatto stesso che l’identità di una persona debba essere approvata da una commissione è considerato una forma di discriminazione, oltre a prevedere procedure stressanti e che allungano i tempi del percorso.
Nel corso degli ultimi anni la totale aderenza delle idee del partito laburista a quelle dei sostenitori più radicali dei diritti delle persone trans, spesso senza una reale comprensione del tema, aveva portato a una serie di gaffe e dichiarazioni assai criticate, tra cui quella della deputata Dawn Butler che disse in un’intervista che i bambini nascono senza sesso, intendendo forse che nascono senza genere (cioè il sistema socialmente costruito intorno all’identità di maschio o femmina e che determina anche la percezione che ciascuno ha di sé). L’anno scorso, poi, diversi dirigenti laburisti erano stati criticati e attaccati dai conservatori per le risposte elusive che avevano dato alla domanda “chi è una donna?”: Dodds aveva detto che «dipende dal contesto», riferendosi alla possibilità di dare una definizione biologica, legale, o di «qualsiasi tipo»; Yvette Cooper, ministra ombra dell’Interno, aveva detto di non volersi infilare in una simile «tana del coniglio».
Tra chi non aveva gradito la risposta dei ministri ombra c’era stata la scrittrice J.K. Rowling, autrice della saga di Harry Potter, e nota per essere in questi anni tra le principali esponenti di quel femminismo che si oppone all’inclusione delle donne trans nelle battaglie femministe, a differenza di quanto accade nel femminismo intersezionale: il “gender-critical feminism” o “femminismo essenzialista e trans-escludente” (da cui la nota sigla TERF, connotata spregiativamente). «Qualcuno per favore spedisca alla ministra ombra per le Pari opportunità un dizionario e una spina dorsale», aveva scritto Rowling.
Anche lo stesso Starmer è stato più volte interrogato su cosa intenda per donna. «Per la grande maggioranza delle donne la cosa che conta è la biologia, ed è molto chiaro che non abbiano un pene» aveva detto, provando a chiarire cosa pensasse dell’inclusione delle donne trans – e che quindi in certi casi possono avere genitali maschili – tra le persone da tutelare quando si parla di diritti delle donne. Più di recente, ha detto che semplicemente «una donna è una femmina adulta», una definizione interpretata a sua volta come segno di un cambio di posizione.
Nel parlamento del Regno Unito la proposta originale di Starmer sulla possibilità di auto-dichiarare il proprio genere era rimasta una proposta irrealizzata, anche perché il partito laburista è da allora sempre rimasto all’opposizione. A gennaio però la Scozia – che come il Galles e l’Irlanda del Nord fa parte del Regno Unito ma ha un proprio governo semiautonomo con ampi poteri su molte aree – aveva approvato il “Gender Recognition Reform Bill”, che prevedeva esattamente la stessa cosa, e cioè che le persone trans sopra i 16 anni potessero ottenere un certificato ufficiale che attestasse il genere in cui si riconoscono presentando solo un’autocertificazione.
La legge scozzese era stata però bloccata dal governo del Regno Unito, guidato dal conservatore Rishi Sunak, che per la prima volta nella storia aveva deciso di mettere il veto sostenendo che fosse in contraddizione con le leggi che valgono in tutto il territorio nazionale.
Attorno a queste vicende politiche quindi negli ultimi mesi si è rianimato nel Regno Unito il dibattito sulla questione. Da una parte progressisti, attivisti e associazioni impegnate nel riconoscimento dei diritti delle LGBTQ+ vogliono snellire le procedure burocratiche e riconoscere a donne e uomini trans tutti i diritti riconosciuti a donne e uomini cisgender. Dall’altra ci sono politici, gruppi e movimenti più scettici o contrari a questa agevolazione. Questa seconda posizione trova un generale sostegno tra persone di idee più conservatrici o cattoliche, ma viene sostenuta molto intensamente anche dai movimenti che si definiscono femministi ma non considerano donne le donne trans. Questi gruppi avanzano come principale argomento contro l’autocertificazione l’ipotetico pericolo che uomini malintenzionati possano fingersi donne per intrufolarsi in ambienti esclusivamente femminili e compiere molestie o aggressioni sessuali.
Che questo tipo di aggressioni abbiano dei precedenti e dei numeri sufficienti da poter costituire un rischio concreto è un’ipotesi molto contestata, ma la preoccupazione ha guadagnato consensi dopo un caso di cronaca risalente allo scorso gennaio. In Scozia una donna trans giudicata colpevole di due stupri compiuti prima di iniziare la transizione, cioè quando si presentava come uomo, era stata inizialmente portata in un carcere femminile. Successivamente era stata spostata in un carcere maschile, dopo una decisione del ministero della Giustizia secondo cui le donne trans che hanno compiuto violenze sessuali contro altre donne non dovessero essere detenute in carceri femminili per non mettere a rischio le altre detenute.
La collocazione delle donne trans nelle carceri, così come anche nelle competizioni sportive, è uno dei punti di cui si discute più animatamente quando si parla dell’estensione dei diritti delle persone trans. Altri aspetti molto complessi di questo dibattito riguardano per esempio i farmaci bloccanti della pubertà, cioè quelli che agiscono sul sistema endocrino e sospendono lo sviluppo sessuale, e su quando e come debbano essere prescritti alle persone minorenni che vogliono iniziare una transizione di genere. Soprattutto negli Stati Uniti attivisti e psicologi sostengono debbano essere usati sempre nei casi in cui un adolescente non si identifichi nel genere corrispondente al sesso di nascita, in quanto principale soluzione per contenere l’alto rischio di suicidio tra ragazzi e ragazze trans.
Ma – oltre alla prevedibile opposizione dei conservatori – stanno emergendo opinioni più prudenti e scettiche anche in ambienti tradizionalmente progressisti: in Svezia, che fu il primo paese al mondo a consentire di cambiare legalmente genere alle persone trans nel 1972, l’agenzia governativa che si occupa di salute pubblica (Socialstyrelsen) aveva suggerito l’anno scorso che i bloccanti della pubertà fossero usati solo «in casi eccezionali», ritenendo che non ci fossero stati sufficienti progressi nella dimostrazione scientifica della loro sicurezza ed efficacia rispetto a quando erano stati inizialmente autorizzati nel 2015. «La conclusione generale della Socialstyrelsen è che i rischi del trattamento ormonale che inibisce la pubertà e afferma il genere per i minori di 18 anni superano attualmente i possibili benefici per il gruppo nel suo insieme», aveva concluso l’agenzia.
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Fino a due settimane fa le tesi di chi aveva provato a sostenere la necessità di questo dibattito, e quindi di discutere anche di aspetti controversi e potenzialmente dolorosi per le persone trans, erano state in qualche modo ignorate dal partito laburista, che attraverso le promesse di Starmer aveva assunto una linea piuttosto radicale allineata a quella sostenuta da associazioni e attivisti per i diritti LGBTQ+ e da elettori e opinionisti più progressisti.
Nell’articolo di luglio però Dodds ha imprevedibilmente affermato per la prima volta che il partito laburista non sosterrà più la proposta sull’autocertificazione annunciata nel 2021 da Starmer, e ha introdotto invece una proposta di compromesso per riformare il Gender Recognition Act. In particolare Dodds ha scritto che la nuova proposta dei laburisti (che per ora non ha nulla di concreto se non appunto quanto scritto da lei sul Guardian e confermato da Starmer in alcune interviste) prevede che la procedura per iniziare la transizione non passi più da una commissione di esperti, ma che non sia neanche sufficiente soltanto l’autocertificazione. Bisognerà infatti avere la diagnosi di un medico che attesti che il paziente o la paziente soffre di disforia di genere, cioè il disagio sperimentato dalle persone che non si riconoscono nel genere associato al sesso dei loro organi genitali.
Nell’articolo poi Dodds afferma la necessità di continuare a escludere le donne trans da alcuni contesti il cui accesso è limitato sulla base del sesso (Dodds non specifica a quali contesti faccia riferimento). A questo aggiunge che «dobbiamo riconoscere che sesso e genere sono due cose diverse» e che «ci saranno sempre posti dov’è ragionevole che solo le donne biologiche abbiano accesso». L’affermazione che debba esistere nella società una distinzione tra donne biologiche e donne trans è piuttosto controversa e in contraddizione con le tesi progressiste che fino a questo momento il partito laburista sembrava voler sostenere. Allo stesso tempo però, a livello pratico, le decisioni prese di recente a livello globale rispetto all’accesso alle carceri e alle competizioni sportive sono più vicine a questo approccio.
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L’articolo di Dodds si conclude così: «questa linea politica non accontenterà tutti. Sarà attaccata da tutte le parti, da chi in buona e da chi in cattiva fede. Ma fare politica in modo responsabile non significa fare cioè che è facile, significa fare ciò che è giusto».
Il cambio di approccio del partito laburista è stato dettato da varie ragioni, prime tra tutte una generale linea più centrista di Starmer e la necessità del partito di liberarsi della rigidità che un approccio troppo vicino ai movimenti LGBTQ+ molto progressisti gli imponeva. Nel dibattito che è seguito, anche sullo stesso Guardian, c’è chi ha fatto notare che tra le ragioni del partito laburista ci sarebbe anche il tentativo di guadagnare nuovi voti in Scozia. Lì la proposta di introdurre l’autocertificazione era stata sostenuta dal Partito Nazionale Scozzese, che era al governo e che dopo il veto imposto dal governo centrale del Regno Unito ha perso molta della sua credibilità.
Allo stesso tempo alcuni commentatori, anche negli Stati Uniti, stanno guardando al compromesso del partito laburista come a un tentativo di dare una risposta più sfaccettata e concreta a una serie di questioni che sono emerse di recente, e a cui diversi paesi hanno risposto in modi diversi negli ultimi anni. Helen Lewis ha scritto sull’Atlantic «che il partito laburista ha dato inizio a una seria conversazione democratica, dopo anni di implicito accordo con gli attivisti LGBTQ+ che insistevano che nessun dibattito fosse accettabile».