L’Algeria potrebbe mediare con successo la crisi del Niger?
Lo vorrebbe fare, per ragioni legate tra le altre cose ai migranti, ai Tuareg e all'energia, ma l'esito dell'operazione è tutto da vedere
L’Algeria potrebbe svolgere un ruolo significativo nella ricerca di una soluzione diplomatica alla crisi dovuta al colpo di stato compiuto lo scorso 26 luglio in Niger. Sabato 5 agosto il presidente dell’Algeria, Abdelmadjid Tebboune, ha detto: «Non ci sarà soluzione senza di noi. Siamo i primi ad esserne interessati». L’Algeria ha in effetti diversi motivi di interesse affinché nel Niger torni la stabilità, ma ha anche il giusto profilo per portare avanti una mediazione, gradito a tutte le parti coinvolte, locali e internazionali.
Dopo la presa del potere da parte della giunta militare in Niger, l’Algeria ha innanzitutto assunto una posizione intermedia. Ha subito «condannato con forza» il «tentativo di golpe» del 26 luglio chiedendo «con urgenza che si ponga fine a questo inaccettabile attacco all’ordine costituzionale». Il governo dell’Algeria aveva ottimi rapporti con il deposto presidente nigerino Mohamed Bazoum, che dalla sua elezione nel febbraio del 2021 aveva visitato Algeri due volte. Entrambe le parti erano interessate tra le altre cose a collaborare per quanto riguarda il progressivo disimpegno militare della Francia nel Sahel.
Allo stesso tempo, l’ipotesi di una possibile operazione degli eserciti della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS) per reintegrare Bazoum al potere aveva provocato l’ostilità del governo algerino. L’ECOWAS è l’organizzazione che aveva annunciato un ultimatum ai militari nigerini affinché restituissero il potere al presidente deposto Bazoum. L’ultimatum è scaduto senza che ne seguisse alcun intervento militare: ora la situazione è molto tesa e giovedì i leader dell’ECOWAS si riuniranno per discutere e decidere come procedere.
Il presidente algerino Tebboune ha detto che un intervento dell’ECOWAS sarebbe una «minaccia diretta per l’Algeria»: «Rifiutiamo categoricamente qualsiasi intervento militare», e ha aggiunto che se l’intervento militare si verificasse «il Sahel prenderebbe fuoco».
Come molti paesi dell’Africa occidentale, tra cui anche il Niger, l’Algeria è molto critica verso la presenza e l’interventismo francese nell’area. Allo stesso tempo ha buoni rapporti con gli Stati Uniti. Martedì 8 agosto il ministro degli Esteri algerino Ahmed Attaf è arrivato a Washington per una visita ufficiale su invito del segretario di Stato americano Antony Blinken. L’incontro è stato cordiale e si è sottolineata l’ambizione di rafforzare le relazioni tra i due paesi.
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Il Niger e l’Algeria condividono mille chilometri di confine all’interno di un’area esposta al rischio di rivendicazioni jihadiste e anche identitarie da parte dei Tuareg, una delle etnie che vivono nei due paesi e che pretendono da tempo un’autonomia nelle regioni settentrionali nel Niger e meridionali dell’Algeria in cui si sono stanziati.
Al di là delle preoccupazioni legate alla sicurezza, l’Algeria partecipa al progetto del gasdotto Trans-Saharan Gas Pipeline (TSGP) che collegherà la Nigeria all’Algeria attraverso il territorio del Niger: il gasdotto renderà possibile l’arrivo del gas naturale sul mercato europeo, sfruttando le connessioni già esistenti tra l’Algeria e i paesi del nord del Mediterraneo (Spagna e Italia, innanzitutto). La Trans-Saharan Gas Pipeline sarà lunga più di 4 mila chilometri ed è ancor più strategica per l’Algeria perché si inserisce in un contesto di accresciuta rivalità con il Marocco. È infatti in competizione con un progetto equivalente: la Nigeria-Marocco Gas Pipeline che attraverserà tredici paesi africani da ovest, ma non l’Algeria.
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Un’altra delicata area di cooperazione tra l’Algeria e il Niger ha a che fare con la questione migratoria. In base a un accordo bilaterale, l’Algeria sta trasferendo forzatamente in Niger i migranti subsahariani che risiedono sul suo territorio: almeno 20mila persone, dall’inizio dell’anno. L’attuale instabilità del Niger sta di fatto mettendo in crisi questo accordo.
Infine, l’intreccio di interessi algerino-nigerini ha assunto una nuova dimensione dopo il termine dell’operazione militare francese “Barkhane” nel Sahel: la perdita di influenza da parte della Francia sta di fatto rimescolando le mappe strategiche regionali. E in questo nuovo contesto l’ambizione dell’Algeria è allargare il proprio spazio di influenza.
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L’Algeria non aveva mai nascosto le proprie critiche verso il ruolo militare svolto dalla Francia nell’area e anche verso la cooperazione militare tra il G5 Sahel, che riunisce Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad, e i contingenti dell’operazione Barkhane. Per cercare di guadagnare un ruolo nell’area e controbilanciare la presenza francese, l’Algeria si era affidata a due strumenti: il Joint Operational Staff Committee, un accordo firmato nel 2010 con Mauritania, Mali e Niger per coordinare gli sforzi di sicurezza nella lotta al terrorismo, e gli accordi di Algeri per porre fine ai conflitti etnici nel nord del Mali firmati nel 2015. I due strumenti si sono rilevati però poco operativi e non hanno mai avuto una grande efficacia.
Il nuovo contesto aperto dal ritiro francese dal Sahel e dalla crisi del Niger, tuttavia, può diventare un’occasione per l’Algeria: per impegnarsi nuovamente e ottenere migliori risultati nella regione. Lo scenario ideale sarebbe dunque non solo riuscire a svolgere un ruolo di mediazione nella crisi generata dal colpo di stato in Niger, ma anche vedere questo impegno incoraggiato e sostenuto dagli Stati Uniti.
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