Quanto hanno guadagnato le banche italiane dall’aumento dei tassi di interesse
Le sei più grandi hanno aumentato i profitti del 60% nei primi sei mesi del 2023, secondo il Sole 24 Ore
Secondo un’analisi del Sole 24 Ore nel primo semestre del 2023 le sei principali banche italiane (Intesa San Paolo, UniCredit, Mediobanca, Banco BPM, BPER e MPS) hanno ottenuto profitti più alti del 60 per cento rispetto allo stesso periodo di un anno fa, un aumento pari a 11 miliardi di euro. E il 2022 era già stato un buon anno per i guadagni del settore. È successo grazie all’aumento dei tassi di interesse sui mutui e prestiti dell’ultimo anno, a sua volta una conseguenza dei rialzi dei tassi di interesse decisi dalla Banca Centrale Europea per fermare l’inflazione. Questo risultato è piuttosto normale, era atteso e in linea con quanto è avvenuto in altri periodi storici in cui erano stati aumentati i tassi di interesse, cioè la percentuale che si aggiunge al denaro ricevuto in prestito quando lo si restituisce, per esempio mensilmente con un mutuo: in altre parole il costo del prestito per chi lo contrae.
Quello che è successo, sintetizzando, è che la BCE ha aumentato i tassi di interesse sui soldi che presta alle altre banche per arginare l’inflazione (la spiegazione di questa politica economica è qui). E di conseguenza le banche hanno aumentato i tassi di interesse sui soldi che prestano ai clienti: sui mutui a tasso variabile – le cui rate sono agganciate a indici che rilevano il tasso di interesse medio a cui le banche europee si prestano denaro – e sui nuovi mutui, che hanno quindi fatto guadagnare molto di più le banche. Contemporaneamente, le banche non hanno alzato altrettanto i tassi di interesse che corrispondono ai propri clienti per i soldi che loro – le banche – ricevono in prestito, attraverso i conti corrente o i depositi. Dall’aumento di questo scarto – il margine di interesse, cioè il guadagno che la banca ottiene dalla sua attività principale, prestare e raccogliere soldi – sono derivati gli “extraprofitti”.
Il governo ha deciso di tassarli, anticipando di voler destinare parte del ricavato proprio gli aumenti delle rate di chi aveva sottoscritto un mutuo a tasso variabile e ora non ce la fa a pagarlo. Se ne parlava da un po’ sia perché l’avevano già introdotta alcuni governi europei, come quello spagnolo, sia perché i guadagni delle banche italiane sono stati davvero eccezionali, ma è stata comunque inaspettata perché il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva sempre smentito l’intenzione di introdurla. Ed è una tassa che sta facendo molto discutere per il suo significato politico e i suoi rischi per l’economia.
Nel 2022 il sistema bancario italiano ha registrato utili più alti del 55 per cento rispetto all’anno prima, ed è probabile che profitti così alti ci saranno anche quest’anno visto che nel primo semestre sono ulteriormente aumentati del 60 per cento. I tassi di interesse sui nuovi mutui per le famiglie sono più che raddoppiati, dal 2 per cento di un anno fa ad oltre il 4 per cento di giugno. Anche i tassi medi applicati sui mutui esistenti sono aumentati, per effetto dell’aumento delle rate dei variabili: dall’1,6 al 2,9 per cento. Di contro non sono aumentati nella stessa misura i tassi di interesse corrisposti ai conti correnti dei clienti: sempre secondo i dati dell’ABI gli interessi pagati ai correntisti sui soldi depositati sono saliti dallo 0,02 per cento di un anno fa allo 0,32 di giugno.
Questo significa che le banche italiane hanno scaricato il costo dell’aumento dei tassi di interesse sui clienti. Aumentando i tassi in loro favore di quasi dieci volte in più rispetto ai tassi che invece che dovrebbero corrispondere ai clienti, le banche ci stanno quindi guadagnando notevolmente. In precedenza non era stato così. Le banche venivano infatti da un periodo di scarsissima redditività, visto che per anni i tassi sui prestiti sono stati vicini a zero e quelli sui depositi addirittura negativi: in quel caso le banche hanno tenuto i tassi di interesse sui prestiti piuttosto bassi e in linea con la politica monetaria, ma non hanno mai portato i tassi sui conti correnti dei clienti in negativo, assorbendo quindi la differenza.
Un motivo che per molti oggi giustifica la tassa sugli extraprofitti delle banche è legato al fatto che l’aumento dei profitti è la conseguenza di un evento esterno al loro controllo, ossia il rialzo dei tassi di interesse da parte della BCE, e non il risultato del miglioramento delle loro capacità di fare affari: una circostanza che, secondo questa interpretazione, viene paragonata a quando nell’ultimo anno le aziende energetiche hanno fatto profitti eccezionali dall’inizio della guerra, e che per questo sono state tassate.
L’aumento del margine di interesse è però una circostanza che è piuttosto comune in caso di rialzi dei tassi da parte delle banche centrali. Per esempio, nel 2007 e nel 2008, quando i tassi di interesse erano stati rialzati dalla BCE ed erano più o meno ai livelli di questi mesi, il margine di interesse medio del sistema bancario italiano era su livelli alti, ossia al 26,6 per cento del capitale. Con la riduzione dei tassi che fu decisa negli anni successivi era sceso molto e la redditività delle banche è stata piuttosto bassa. Il margine di interesse è tornato a salire nel 2022 al 18,8 per cento, un livello comunque più basso di 15 anni fa, ma che oggi fa comunque discutere.
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In più molti hanno fatto notare che i guadagni di questi mesi sono temporanei. Non solo prima o poi la BCE deciderà di ridurli, ma un periodo prolungato di alti tassi di interesse è infine controproducente anche per le banche. Alla lunga i tassi di interesse alti rischiano infatti di ridurre la redditività del sistema bancario, perché rallentano l’attività economica in generale: l’obiettivo delle banche centrali è proprio quello di rallentare l’economia per fermare tutte quelle dinamiche che portano agli aumenti dei prezzi. Con interessi più alti nel tempo ci sarà una sempre minore richiesta di mutui e prestiti, e quindi nel tempo meno utili per le banche.
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