La crisi delle nazionali di calcio tedesche
Storicamente ritenute un modello di costanza e solidità, deludono da anni nel maschile e ora anche nel femminile
Nel calcio femminile la Germania ha uno dei sistemi più solidi e strutturati che si possano trovare in Europa. È stato il primo grande paese europeo a seguire l’emancipazione del movimento femminile iniziata nei paesi scandinavi agli inizi degli anni Novanta, nonché il primo a integrare le divisioni femminili ai già esistenti club maschili, per agevolarne crescita e sostenibilità. Queste iniziative, prese con anni di anticipo rispetto ad altri paesi come Italia, Spagna e Inghilterra, hanno garantito risultati e popolarità, soprattutto nei primi anni Duemila.
La Nazionale tedesca ha vinto due Mondiali e ben otto edizioni degli Europei; le sue squadre di club hanno disputato e vinto il maggior numero di finali di Champions League, e non solo con le divisioni femminili dei club maschili, come nel caso del Wolfsburg, ma anche con squadre esclusivamente femminili come il Francoforte e il Turbine Potsdam, sempre più rare a questi livelli del calcio europeo.
È per tutti questi motivi che l’eliminazione della Germania ai gironi dei Mondiali femminili in Australia e Nuova Zelanda è stata una delle sorprese più grandi del torneo, anche più dell’eliminazione agli ottavi di finale degli Stati Uniti campioni in carica da due edizioni. La Nazionale tedesca si era infatti presentata da seconda nel ranking mondiale e vice-campionessa europea, ed era peraltro capitata in un girone considerato ampiamente alla sua portata composto da Colombia, Marocco (esordiente) e Corea del Sud.
Aveva per giunta iniziato il girone battendo 6-0 il Marocco, un risultato che aveva aumentato le sue quotazioni tra le favorite, ma che per alcuni potrebbe essere stata anche la prima causa dell’eliminazione. Nelle successive due partite la Germania ha infatti mancato di reattività ed è sembrata spesso più lenta delle avversarie, quasi fosse troppo sicura della sua superiorità. Le avversarie, invece, pur avendo meno mezzi a disposizione per competere a quei livelli, l’hanno messa in difficoltà: specialmente la Colombia, la cui vittoria con un gol al settimo minuto di recupero ha compromesso la qualificazione.
All’ultima partita la Germania si sarebbe potuta ancora qualificare, ma aveva bisogno di battere la Corea del Sud, contro cui è andata in svantaggio nei primi minuti e poi non è riuscita ad andare oltre il pareggio, facendosi così superare dal Marocco.
L’eliminazione della Nazionale femminile tedesca è stata paragonata inevitabilmente a quella della Nazionale maschile, eliminata ai gironi sia ai Mondiali in Qatar, per una sconfitta contro il Giappone, sia quattro anni prima in Russia, quando da campione del mondo in carica fu battuta prima dal Messico e poi dalla Corea del Sud. Queste sconfitte sorprendono anche perché stridono con l’immagine vincente e costante che viene associata storicamente al calcio tedesco, ben rappresentata da uno degli aforismi più famosi del calcio, quello attribuito all’attaccante inglese Gary Lineker: «Il calcio è un gioco semplice: ventidue uomini rincorrono un pallone per novanta minuti, e alla fine vince la Germania».
Dopo gli ultimi risultati in Germania si sta parlando di una profonda crisi delle nazionali maggiori, ma si fa ancora fatica a trovare delle spiegazioni e a prendere delle contromisure adatte, come il calcio tedesco ha già fatto in passato con grandi risultati. Dopo gli Europei del 2004, per esempio, l’eliminazione ai gironi con un emblematico pareggio contro la Lettonia diede inizio a un profondo rinnovamento del sistema che negli anni seguenti è stato molto raccontato, per via dei suoi effetti positivi.
In quegli anni venne favorito il coinvolgimento nel sistema calcistico nazionale delle seconde generazioni di immigrati africani e medio-orientali, fin lì ai margini, e furono adottati nuovi metodi di allenamento: il tutto sostenuto dalla solidità economica del calcio tedesco, ancora oggi ritenuta una garanzia. I risultati di questo progetto a lungo termine furono poi resi evidenti dalla quantità di giocatori di qualità emersi dai settori giovanili (tuttora competitivi), da una nuova generazione di allenatori moderni e di alto livello e dall’impressionante costanza nei risultati delle nazionali maschili, resa ancora più evidente dall’incostanza degli altri movimenti europei: dal 2006 al 2016 non ci fu torneo senza una nazionale tedesca fra le prime quattro classificate.
Il movimento femminile ha beneficiato della stessa solidità e in un contesto differente ha ottenuto risultati ancora migliori, motivo per cui l’eliminazione ai Mondiali in Australia e Nuova Zelanda può essere ritenuta fisiologica. Nel maschile invece i risultati continuano a essere negativi, e quello che preoccupa di più è la mancanza di risposte ai cambiamenti fatti negli ultimi anni, senza contare che i giocatori di qualità sono ancora tanti (non ci sono reparti scoperti, come sta capitando all’Italia) e le strutture di primo livello.
Ai Mondiali del 2018 l’allenatore era ancora Joachim Löw, campione del mondo quattro anni prima, ma a quelli in Qatar c’era il suo sostituto, Hans-Dieter Flick, che è ancora in carica ma non sembra stia venendo a capo della crisi. Nelle ultime cinque partite la Nazionale maschile ha vinto solo contro il Perù e ha perso contro Belgio, Polonia e Colombia. A inizio anno, dopo i Mondiali in Qatar, la Federazione ha voluto sostenere Flick istituendo un team incaricato di seguire la ricostruzione della Nazionale di cui fanno parte grandi campioni del passato come Rudi Völler, Karl-Heinz Rummenigge, Oliver Kahn e Matthias Sammer, ma anche professionisti presi da altri sport per avere una visione più ampia della situazione, come Oliver Mintzlaff, mezzofondista dei primi anni Duemila.
I risultati però non si vedono ancora e a giugno, dopo l’ultima sconfitta, Völler ha detto: «Potremmo aver sottovalutato la situazione, non abbiamo abbastanza qualità». La stampa tedesca descrive inoltre con scetticismo l’istituzione di questo team di esperti. «Flick è come un programmatore che continua a ripetere lo stesso errore», è stato scritto sul Frankfurter Allgemeine Zeitung, mentre per Deutsche Welle gli esperti coinvolti dalla Federazione sembra siano stati chiamati soltanto «per raddrizzare il timone, sorridere alle telecamere e ricordare a tutti i classici valori del calcio tedesco».
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