Il governo continua a mettere un po’ di tutto nei decreti-legge
Lo ha fatto anche negli ultimi due prima della pausa estiva, nonostante recentemente siano arrivate critiche anche da Mattarella
Nel Consiglio dei ministri di lunedì, l’ultimo prima di una pausa estiva dei lavori istituzionali, il governo ha approvato principalmente due decreti-legge molto corposi, soprannominati «omnibus», che contengono misure in ambiti fra loro molto diversi.
Uno mette insieme norme sulle intercettazioni nei processi con altre che puntano a limitare gli incendi boschivi, o altre ancora per il recupero di persone tossicodipendenti e sulla riorganizzazione del ministero della Cultura; l’altro si occupa di licenze dei taxi, della presenza del granchio blu nel mar Mediterraneo, dello stipendio dei manager della società incaricata di realizzare il ponte sullo Stretto di Messina e del contrasto al rincaro dei biglietti aerei.
Da una parte è abbastanza evidente il motivo per cui il governo ha la necessità di mettere insieme tutte queste norme diverse: nella maggior parte dei casi sono misure molto discusse che erano state promesse da tempo (come quelle sui taxi) o legate alla stretta attualità (come quelle sugli incendi boschivi o sui rincari dei biglietti aerei), che il governo ha accumulato fino a non potersi più permettere ulteriori rinvii. Dall’altra un uso così spregiudicato dei decreti-legge, che avrebbero ambiti e modalità di applicazione molto specifici e limitati, è ritenuto pericoloso dagli esperti di diritto, è contrario alla Costituzione italiana e negli ultimi mesi è stato criticato in modo piuttosto esplicito anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Negli ultimi giorni in riferimento a questo genere di provvedimenti i giornali hanno usato più volte la definizione di “decreti omnibus” (che traducendo dal latino significa più o meno “decreti per ogni cosa”), cioè con dentro un po’ di tutto. È un’espressione informale più volte usata in politica in casi simili, anche alcuni mesi fa da Mattarella quando aveva invitato il governo a limitare questa pratica.
Nell’ordinamento italiano i decreti-legge vengono definiti “atti aventi forza di legge”: hanno cioè lo stesso effetto di una legge, ma sono un po’ diversi per alcuni motivi. Innanzitutto entrano in vigore subito, non appena vengono promulgati, e per questo dovrebbero servire in teoria per rispondere a necessità urgenti che non possono attendere il processo legislativo ordinario, che deve passare da discussioni nelle camere a volte lunghe anche diversi mesi. Li approva il governo e non il parlamento: quest’ultimo però ha poi il compito di discutere il testo in aula, eventualmente modificandolo, e ha 60 giorni di tempo per convertirlo definitivamente in legge. Se non succede nei tempi previsti, gli effetti del decreto-legge decadono.
Proprio per via di queste caratteristiche la legge stabilisce che il contenuto di un decreto-legge debba essere «specifico, omogeneo e corrispondente al titolo» che gli viene dato. Sono in sostanza vietati i “decreti omnibus”. Il nome del primo dei due decreti-legge che verranno discussi e approvati lunedì dal Consiglio dei ministri per esempio è “Giustizia”, che descrive solo in minima parte il suo contenuto complessivo. Quello del secondo è “Asset”, una formula volutamente vaga che non chiarisce cosa ci sia nel decreto.
Il requisito dell’urgenza è il motivo per cui il contenuto dei decreti-legge viene sempre sintetizzato nei testi ufficiali con la formula «disposizioni urgenti in materia di…». Nei fatti però non viene quasi mai rispettato, e i dati dimostrano che i decreti-legge vengono abitualmente usati dai governi italiani in sostituzione del processo legislativo ordinario. Il governo di Giorgia Meloni in carica non è il primo a farlo, ma da questo punto di vista da quando è in carica ha stabilito alcuni primati: secondo i dati raccolti dalla fondazione Openpolis è stato il governo italiano degli ultimi dieci anni ad approvarne di più nei primi quattro mesi dal suo insediamento. Nei primi 6 mesi invece ha approvato in tutto 25 decreti-legge, a fronte di solo 5 leggi ordinarie.
Un altro problema del ricorso sistematico ai decreti-legge è che nei 60 giorni che passano prima della conversione spesso vengono inserite nel testo ulteriori misure che contribuiscono a rendere il provvedimento ancora meno omogeneo. A fine febbraio Mattarella aveva parlato di “decreti omnibus” con accezione dispregiativa dopo aver firmato la conversione in legge del cosiddetto “decreto milleproroghe”, in cui il parlamento aveva inserito 205 commi in più rispetto ai 149 presenti nel testo iniziale. Mattarella aveva detto che quando si «smarrisce la ratio unificatrice» dei decreti-legge, questi «si trasformano in decreti-legge omnibus del tutto disomogenei, vale a dire in meri contenitori dei più disparati interventi normativi».
A marzo per esempio in un decreto-legge sulle bollette era stato inserito un emendamento con un piccolo condono per gli evasori. La scorsa settimana in un decreto-legge sul giubileo del 2025 era stata inserita una norma che riformava fra molte proteste la dirigenza del Centro sperimentale di cinematografia, la nota accademia di arti cinematografiche finanziata dal ministero della Cultura. Un governo come quello di Giorgia Meloni, con una maggioranza parlamentare molto ampia, può permettersi inserimenti di questo genere anche all’ultimo minuto perché le opposizioni non hanno i numeri in parlamento per poterli bloccare.
Il processo di approvazione dei decreti-legge è pensato per essere molto agile, ma proprio per questo i governi se ne servono spesso con scopi più politici che pratici, intervenendo su questioni di grande attualità per mostrare all’opinione pubblica che si stanno occupando dei temi più discussi.
Al di là del rischio di infrangere i principi del diritto però ce ne sono anche alcuni molto pratici. Per essere effettivamente applicati i decreti-legge hanno spesso bisogno di cosiddetti “decreti attuativi”, in genere decreti ministeriali, che spieghino nel dettaglio come una legge deve essere messa in pratica: il risultato è che al momento in Italia ci sono tantissime norme bloccate perché mancano i decreti attuativi, ce ne sono centinaia in sospeso e molte leggi approvate e pubblicate in Gazzetta Ufficiale non hanno avuto alcun seguito concreto per questo motivo. Il ricorso a “decreti omnibus” peggiora la situazione, perché per ogni provvedimento diverso è spesso necessario almeno un decreto attuativo.