Rahul Gandhi non andrà in prigione
Era stato condannato per diffamazione nei confronti del primo ministro indiano Narendra Modi, ma la condanna è stata sospesa e tornerà in parlamento
La Corte Suprema dell’India ha sospeso la condanna per diffamazione di Rahul Gandhi, uno dei principali leader dell’opposizione del paese. Gandhi era stato condannato a due anni di carcere a marzo da una corte minore dello stato del Gujarat per aver definito il primo ministro indiano Narendra Modi «un ladro» durante un comizio elettorale nell’aprile del 2019. Dopo quella sentenza era stato anche espulso dal parlamento: con la sospensione della pena, però, potrà tornare in parlamento e anche partecipare alle elezioni politiche dell’anno prossimo.
Gandhi ha 53 anni ed è uno dei leader del Congresso nazionale indiano, il principale partito di opposizione, di cui è presidente sua madre Sonia Gandhi, vedova dell’ex primo ministro Rajiv Gandhi, in carica tra il 1984 e il 1989. È l’ultimo esponente di una dinastia politica di grande successo, ma nonostante l’omonimia non ha legami di parentela con Mohandas Gandhi, il più famoso leader del movimento per l’indipendenza dell’India. L’anno scorso ha percorso a piedi l’India per 3500 chilometri per incontrare gli elettori e ravvivare l’interesse per il suo partito, che storicamente è stato molto potente ma negli ultimi anni sta facendo molta fatica ad attirare la fiducia degli elettori.
La sua condanna era stata interpretata come l’ennesimo tentativo del governo nazionalista di Narendra Modi di limitare la libertà d’espressione nel paese: la legge indiana che punisce la diffamazione è infatti un retaggio del periodo coloniale britannico che negli ultimi anni è stata usata di frequente per intimidire chi critica il governo e i suoi esponenti. Soltanto a fine febbraio il portavoce dell’Indian National Congress, Pawan Khera, era stato arrestato e liberato dopo alcune ore sempre con l’accusa di aver insultato Modi. Gandhi è stato giudicato colpevole da un tribunale nello stato occidentale del Gujarat, stato di cui Modi è stato a lungo governatore prima di diventare ministro, e dove mantiene ancora una forte influenza.
Nel caso di Gandhi, proprio il fatto che fosse stato condannato al massimo della pena – due anni – aveva fatto scattare la possibilità di espellerlo dal parlamento. In base alla legge indiana, infatti, un membro del parlamento può essere espluso soltanto in alcuni casi specifici: per reati elettorali, come corruzione, influenza indebita o personificazione (l’atto di votare fingendo di essere un’altra persona), oppure se viene condannato per qualsiasi reato ad almeno due anni di carcere. In questo caso, la Corte suprema ha stabilito che la decisione di infliggergli la pena massima «era priva di ragione e fondamento sufficiente», e ha chiesto che venga ripristinato nel suo ruolo da parlamentare quanto prima. I giudici hanno anche redarguito Gandhi per il suo commento su Modi, che non era a loro dire «di buon gusto» e hanno sottolineato che avrebbe dovuto essere più attento nei suoi discorsi in pubblico.
Non è chiaro se la simpatia e lo sdegno ottenuti da Gandhi per via della sua condanna saranno sufficienti ad attirare nuovi voti per il suo partito. Negli ultimi mesi, il Congresso nazionale indiano si è unito a diversi altri partiti d’opposizione per formare una coalizione chiamata INDIA nella speranza di fare fronte comune contro Modi nelle elezioni dell’anno prossimo, ma al suo interno non è ancora stato individuato un leader abbastanza forte da sfidare Modi e vincere. Gandhi è una delle poche figure dell’opposizione ad avere il tipo di riconoscibilità necessaria per ricoprire un ruolo simile.