Per quanto tempo esisterà ancora Tuvalu?
Meno di trent'anni, forse: il piccolo stato dell'oceano Pacifico potrebbe essere uno dei primi a scomparire a causa del cambiamento climatico
Tuvalu è uno stato polinesiano dell’oceano Pacifico composto da tre isole coralline e sei atolli: con i suoi 26 chilometri quadrati complessivi è il quarto stato più piccolo al mondo e con circa 12mila abitanti il secondo meno popolato. In linea d’aria Tuvalu è a metà fra le Hawaii e l’Australia, è anche una delle nazioni al mondo per cui gli effetti del cambiamento climatico rischiano di essere più catastrofici. Alcuni degli atolli misurano solo venti metri da una costa all’altra e l’altitudine massima è di poco superiore al livello del mare: l’innalzamento degli oceani collegato al cambiamento climatico sta già provocando erosioni e perdita di superficie.
Secondo le proiezioni basate sull’attuale velocità di innalzamento dei mari, metà delle terre della capitale Funafuti saranno sommerse dalle acque entro trent’anni. Prima della fine del secolo il 95 per cento dell’arcipelago sarà sommerso ciclicamente dalle maree, diventando praticamente inabitabile. Tuvalu è considerato uno dei primi paesi al mondo a rischio di scomparsa definitiva a causa del cambiamento climatico.
Per questo motivo nel 2021 il ministro degli Esteri, della Giustizia e delle Comunicazioni Simon Tofe registrò il suo video in collegamento con la conferenza dell’ONU sul clima (la Cop26) con l’acqua fino al ginocchio. L’immagine ebbe un discreto risalto sulla stampa mondiale, Tofe la accompagnò con lo slogan «Stiamo affondando».
L’innalzamento dei mari è una delle conseguenze del riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra umane: per l’aumento delle temperature medie in estate i ghiacciai del mondo, e i ghiacci che ricoprono aree come la Groenlandia si sciolgono di più di quanto poi riescano a righiacciare. Il progressivo scioglimento dei ghiacci che si trovano sulle terre emerse (quindi banchisa artica esclusa) fa aumentare l’acqua negli oceani e alza quindi i livelli dei mari. A questo effetto si somma anche la dilatazione termica dell’acqua: infatti oltre a quella dell’atmosfera, sta aumentando anche la temperatura degli oceani e quando l’acqua si scalda aumenta il volume che occupa. Per via di questi due fenomeni combinati, tra il 1900 e il 2019 il livello medio del mare è aumentato di 19 centimetri.
I primi effetti della crescita del livello dell’acqua sono già visibili a Tuvalu e hanno costretto popolazione e amministratori locali a fare piani radicali per il futuro. Da tempo si lavora per creare una porzione di territorio rialzata, al sicuro dal mare, ma anche per individuare nuovi territori dove ricollocare la popolazione, cercando al tempo stesso di mantenere viva in qualche forma la cultura, le tradizioni e la storia della nazione.
Soprattutto nell’atollo della capitale già oggi la superficie a disposizione è molto limitata: Funafuti si sviluppa lungo una strada che percorre l’atollo per tutta la sua lunghezza. Case, negozi, edifici pubblici e religiosi sorgono proprio a bordo strada, nel poco spazio che separa questa dalla spiaggia: alcune abitazioni sono già state abbandonate e lungo la costa è facile vedere detriti, mentre l’aumento del livello del mare mette a rischio l’approvvigionamento di acqua potabile e di cibo. Le coltivazioni erano già molto limitate, ora anche le piante che danno frutti commestibili, come la palma da cocco e il pulaka (il taro), sono a rischio per la presenza di acqua salata.
Quasi un quinto della popolazione totale di Tuvalu è già emigrata, per lo più in Nuova Zelanda, ma sono state aperte trattative con alcuni stati per una ricollocazione collettiva che permetta alla comunità di non perdere le proprie radici culturali: l’Australia ha offerto terre, ma solo in cambio di diritti marittimi e di pesca nelle acque territoriali dell’arcipelago: il governo di Tuvalu ha rifiutato.
Un altro progetto, chiamato Tuvalu Coastal Adaptation Project, è stato avviato nel 2017 in collaborazione con il programma di sviluppo delle Nazioni Unite: prevede la realizzazione di 3,6 chilometri quadrati di terreno sopraelevati, che resteranno sicuri anche quando si realizzerà l’atteso innalzamento del livello del mare: in quest’area dovrebbero essere ospitate scuole, ospedali, aree commerciali e abitative. È un progetto a lunga scadenza e molto costoso, per il quale il governo di Tuvalu cerca fondi stranieri.
Il governo sta lavorando inoltre per garantire il rispetto e la legittimità dei confini delle proprie acque territoriali anche in caso di sparizione delle isole, nonché allo sviluppo di un’isola “digitale”, che garantisca un coordinamento nazionale e la distribuzione di servizi a una popolazione che potenzialmente sarà dispersa in vari altri stati. Un ulteriore progetto punta a creare una copia digitale dell’attuale geografia delle isole, utilizzando immagini ad altissima risoluzione di satelliti e droni. Tuvalu vuole inoltre utilizzare il metaverso per creare uno spazio condiviso in cui i cittadini possano interagire e raccontare le proprie storie e esperienze, preservando così il contesto socio-culturale del paese, anche nel caso che le isole vengano completamente sommerse e smettano di esistere.
– Leggi anche: Terra o mare?