Le ambizioni frustrate della Francia in Africa occidentale
Il governo francese voleva cambiare i rapporti con le sue ex colonie, ma non ha fatto i conti con l'ostilità locale, tra le altre cose
Il colpo di stato compiuto il 26 luglio in Niger ha avuto conseguenze che potrebbero avere un impatto non solo in tutta la regione dell’Africa occidentale, ma anche sulla presenza e sul ruolo di paesi esterni che da tempo hanno interessi nell’area. Questo vale soprattutto per la Francia e la sua recente ambizione di avviare con i suoi ex possedimenti coloniali una relazione nuova e differente rispetto al passato. L’indebolimento dell’influenza francese nell’Africa subsahariana, comunque in corso da tempo, è al centro del dibattito in questi ultimi giorni, sia in Francia che fuori.
Emmanuel Macron è presidente della Francia dal 2017 e fin dalla sua elezione ha promesso l’inizio di una «nuova era» nel rapporto del suo governo con l’Africa, basata su un «partenariato» tra pari e sulla fine della cosiddetta “françafrique”: «È finita», ha detto all’inizio di quest’anno Macron, facendo riferimento a quell’insieme di relazioni asimmetriche che legano la Francia alle sue ex colonie attraverso aiuti militari, contratti commerciali e una rete di influenze sulle classi dirigenti di alcuni stati africani.
Qualcosa verso una giusta direzione in effetti Macron l’ha fatto, ha argomentato l’Economist. Ha restituito diverse opere d’arte al Benin e al Senegal per riparare alle sottrazioni forzose dalle ex colonie francesi, e ha promesso di sostituire il franco Cfa, una moneta coloniale in passato legata al franco francese e creata dal generale Charles de Gaulle nel 1945. Macron ha poi riconosciuto per la prima volta le responsabilità della Francia nel genocidio avvenuto nel 1994 in Ruanda ai danni della minoranza di etnia tutsi.
Eppure qualcosa non ha funzionato, per la Francia. Nell’area del Sahel la presenza francese è da tempo oggetto di forte opposizione e risentimento. Il Sahel comprende il Mali e stati come Burkina Faso, Ciad e Niger: è un’area povera di risorse, molto instabile, anche a causa del durissimo regime coloniale che la Francia ha imposto fino agli inizi del Novecento e da dove non se ne è di fatto mai andata.
La missione francese nel Sahel, nota come “Operazione Barkhane” e con base nel Mali, era iniziata nel 2013 con l’obiettivo di combattere i numerosi gruppi jihadisti attivi da anni nell’area. Inizialmente comprendeva circa 3mila soldati e doveva durare qualche settimana: alla fine è durata anni e i soldati sono diventati circa 5mila. Questo aveva reso la Francia lo stato straniero con la maggior presenza militare nella regione.
Nel 2020 e poi nel 2021 in Mali c’erano stati due colpi di stato che avevano portato a un peggioramento dei rapporti con la Francia. Macron aveva accusato la giunta militare arrivata al potere di ostacolare le operazioni francesi contro il terrorismo e dopo il secondo colpo di stato aveva annunciato l’interruzione di ogni collaborazione militare col Mali. Nell’agosto del 2022 le forze francesi si erano ritirate, ma la Francia aveva comunque mantenuto i propri contingenti nella regione del Sahel spostando progressivamente il centro delle proprie operazioni in Niger.
Il 30 luglio, dopo il colpo di stato contro il presidente eletto del Niger Mohamed Bazoum, i manifestanti a favore dei golpisti hanno gridato «abbasso la Francia» e attaccato la sua ambasciata a Niamey, la capitale. Giovedì 3 agosto la giunta militare che ha preso il potere in Niger ha espresso la volontà di interrompere gli accordi di cooperazione militare attualmente in vigore con la Francia, ha interrotto le trasmissioni di alcuni telegiornali francesi, ha bloccato l’accesso all’ambasciata francese e ha annunciato la revoca del mandato dei propri ambasciatori in Francia e in altri paesi.
Il colpo di stato contro Bazoum, precisa l’Economist, non sembra essere stato organizzato per ragioni strategiche antifrancesi; eppure il fatto che un forte sentimento antifrancese possa essere invocato in modo così efficace a sostegno del colpo di stato è in qualche modo rivelatore di quanto il problema della Francia in quest’area dell’Africa sia profondo.
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Tra la fine del 2021 e il 2022 c’erano stati due colpi di stato in un altro paese del Sahel, il Burkina Faso: anche allora, con immagini simili a quelle che si sono viste negli ultimi giorni in Niger, centinaia di manifestanti si erano riuniti davanti all’ambasciata francese a Ouagadougou, la capitale, dando fuoco alle barriere di protezione e lanciando pietre all’interno dell’edificio. La contestazione era rivolta contro la presenza francese arrivata per sostenere la lotta contro i gruppi jihadisti, in un’operazione chiamata Sabre. A gennaio 2023, la nuova giunta militare al potere aveva chiesto il ritiro entro un mese dei 400 soldati francesi presenti a Ouagadougou, ritiro che poi è avvenuto. Anche in questo caso il presidente del Niger, Bazoum, aveva accettato di accogliere gli uomini della forza Sabre.
Bazoum era uno degli ultimi alleati della Francia rimasti nella regione. Ora che è stato rimosso, la Francia può contare solo sul Ciad, la cui situazione politica e sociale è però piuttosto precaria.
Il 20 aprile del 2021 il presidente del Ciad, Idriss Déby, era stato ucciso da un gruppo di ribelli, e il figlio Mahamat Déby Itno ne ha preso il posto su volontà dell’esercito, ignorando la linea di successione indicata dalla Costituzione ciadiana: da allora guida un consiglio militare di transizione. Il sostegno della Francia a Mahamat Déby Itno ha esposto però la Francia a una serie di critiche soprattutto in Mali e Burkina Faso: «Approvando alcuni colpi di stato e condannandone altri, la Francia ha effettivamente dato l’impressione di applicare un doppio standard, in Africa, a seconda dei propri interessi», ha scritto ad esempio Le Monde.
A queste critiche e alle conseguenze dei colpi di stato che hanno ridotto progressivamente la presenza militare francese in Africa (nel 2022 la Francia si è tra l’altro dovuta ritirare anche dalla Repubblica Centrafricana) va poi aggiunto l’aumento dell’influenza della Russia nel continente.
Alla Russia, infatti, si sono avvicinate varie ex colonie francesi per ricevere sostegno militare e protezione internazionale. Nell’area dove sono avvenuti negli ultimi anni i colpi di stato militari, questi sono stati favoriti dalla presenza del gruppo Wagner, compagnia di mercenari a lungo affiliata al governo russo prima del tentativo di rivolta militare dello scorso giugno. In alcune situazioni l’appoggio è stato diretto, con addestramenti e fornitura di armi, in altri si è limitato a prospettare un futuro sostegno economico. In tutti i casi, la propaganda russa ha comunque alimentato il già presente risentimento contro i francesi.
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La Francia è diventata una sorta di capro espiatorio in quest’area dell’Africa, ma non sempre in modo motivato precisa l’Economist. Ci sono infatti altre potenze presenti nella zona che hanno agito in modo simile alla Francia, e altri paesi europei che hanno addestrato forze armate nel Sahel: non hanno però suscitato un risentimento pari a quello contro la Francia.
Un esempio è quello che successe a pochi mesi dalla presa del potere di Mahamat Idriss Déby in Ciad. Déby venne accolto a Washington in una visita ufficiale al governo americano, ma solamente la Francia fu criticata per il suo appoggio al nuovo leader. Un altro episodio risale al 2022, dopo il ritiro delle forze francesi dal Mali, quando i morti dovuti alla violenza politica erano aumentati del 150 per cento soprattutto a causa della presenza del gruppo Wagner. In quell’occasione la maggior parte dei maliani sostenne che la fine della presenza francese in Mali non aveva avuto alcun impatto negativo sulla sicurezza nazionale, e anzi aggiunse di avere fiducia che quella sicurezza avrebbe potuto fornirla la Russia.
Questa diffusa ostilità ha certamente a che fare con la storia coloniale della Francia, ma anche con la sua politica post coloniale.
Gli abitanti del Burkina Faso non hanno dimenticato il ruolo avuto dalla Francia di François Mitterrand nell’assassinio del giovane presidente rivoluzionario Thomas Sankara, avvenuto nel 1987. Né il sostegno francese per Blaise Compaoré, il quale fu complice di un colpo di stato grazie al quale poi mantenne il potere nel paese per i successivi 27 anni. La Francia è poi l’unica ex potenza coloniale ad avere ancora basi militari nel continente e ad aver mantenuto, post-indipendenza, stretti legami con le élite locali. Ha inoltre sostenuto esplicitamente leader politici divenuti impopolari per non essere stati in grado di ridurre la povertà o di frenare la violenza. La Francia ha legato il proprio destino al successo o al fallimento di tali governi.
Il colpo di stato in Niger è un duro colpo contro la presenza della Francia nell’area del Sahel, ma non il primo. La Francia aveva scommesso sul Niger: come sottolinea Le Monde, sebbene il governo francese continui a ripetere che un ritiro dei suoi militari dal Niger non è all’ordine del giorno questa situazione non potrà durare a lungo. Se la giunta rimarrà al suo posto la posta in gioco sarà il futuro democratico del Niger e la stabilità di quell’area geografica: ma per la Francia è in gioco anche la sua capacità di riacquisire influenza nel continente e di ripensare in modo più radicale la sua strategia nei paesi che aveva colonizzato.