Cosa c’è al piano di sopra delle piccole stazioni?
Sono inaccessibili ai viaggiatori, e spesso da fuori la loro destinazione non è chiarissima: ma in origine avevano uno scopo molto preciso
In Italia, nelle zone più lontane dalle grandi città, c’è un elemento del paesaggio che si ritrova un po’ ovunque, da nord a sud, in riva al mare o vicino ai passi di montagna. Sono le stazioni ferroviarie, che si assomigliano tutte.
Nella stragrande maggioranza dei casi sono edifici squadrati, a due piani, senza una vera e propria facciata, dipinti con un colore pastello. Si presentano così ancora oggi centinaia di stazioni fra cui quelle di Tropea (Calabria), Deiva Marina (Liguria), Beinette (Piemonte), Maddaloni Inferiore (Campania), Marano Vicentino (Veneto), e moltissime altre. Il piano inferiore ospita solitamente una sala d’aspetto, una biglietteria (oggi in gran parte dei casi sostituita da una elettronica), l’accesso ai binari.
Il piano superiore invece è quasi sempre chiuso ai passeggeri. Nemmeno da fuori, nella maggior parte dei casi, si capisce bene cosa contenga. A volte le tapparelle sono sigillate da anni. Altre volte, più raramente, le finestre sono aperte, ci sono persino delle fioriere o dei panni stesi. Da fuori però la loro destinazione non è immediatamente comprensibile.
Mentre le stazioni di medie e grandi dimensioni hanno risentito spesso delle influenze estetiche e architettoniche dell’epoca in cui venivano costruite, quelle più piccole furono realizzate seguendo più o meno ovunque lo stesso modello: dalle prime costruzioni di metà Ottocento, realizzate da compagnie ferroviarie private, fino al Novecento inoltrato, attraversando senza cambiamenti la nazionalizzazione delle ferrovie del 1905.
In gergo tecnico quella che chiamiamo stazione è in realtà il corpo principale e più visibile dell’intera stazione, che a volte comprende anche strutture più piccole o distaccate come bagni, magazzini per le merci, rimesse, case cantoniere. Il corpo principale si chiama fabbricato viaggiatori: nei progetti originari doveva ospitare perlopiù una piccola sala d’attesa e una biglietteria.
Oggi il sistema ferroviario italiano è interamente informatizzato, ma nei suoi primi decenni di vita richiedeva una presenza capillare del personale delle ferrovie, anche nelle stazioni più piccole, per gestire l’arrivo e la partenza dei treni. Questa mansione era svolta dal capostazione, la figura più alta in grado fra il personale delle ferrovie presente in una certa stazione. In quelle più piccole era anche l’unica. Per rendere più attraente questo incarico, le ferrovie garantivano ai capi stazione anche un alloggio: al piano superiore della stazione.
Rete Ferroviaria Italiana, la società del Gruppo Ferrovie dello Stato che gestisce l’intera infrastruttura ferroviaria italiana, spiega che la stragrande maggioranza delle circa 1.700 piccole stazioni ancora esistenti ha un piano superiore progettato per ospitare un appartamento. Un tempo era noto a tutti che lassù ci abitava il capostazione. Nel 1955 uscì persino un film con protagonista Totò, Destinazione Piovarolo, ambientato in una piccola stazione immaginaria del centro Italia, con la biglietteria al piano terra e gli appartamenti del capostazione a quello di sopra.
Per molti anni le stazioni più piccole sono state gestite come dei negozi a conduzione familiare, in cui tutti gli inquilini davano una mano. Il figlio dell’ultimo capostazione di Forgaria-Bagni Anduins, una stazione in provincia di Pordenone distrutta dal terremoto in Friuli del 1976, ricorda che da bambino aiutava spesso suo padre a sistemare i segnali per i macchinisti o a oliare gli ingranaggi degli scambi. «Era bello vivere in stazione», ha raccontato al sito La Città Futura. «Essendoci molti emigranti anche la posta arrivava via treno, e l’addetto allo smistamento aveva uno specifico triciclo con un cassone per consegnarla. Così io usavo quel triciclo per portare i bagagli di chi ritornava da fuori, e loro in cambio mi facevano dei regalini».
L’informatizzazione della rete ferroviaria e la chiusura di alcune tratte poco utilizzate hanno fatto sì che la presenza del capostazione e della sua eventuale famiglia non fosse più necessaria: negli anni molti di loro si sono trasferiti altrove, lasciando libero l’appartamento al piano di sopra.
A partire dagli anni Novanta Rete Ferroviaria Italiana ha avviato una imponente riqualificazione di questi spazi, concedendoli in comodato d’uso gratuito a enti pubblici e associazioni. Il ragionamento è che una presenza di qualche tipo renda più sicura l’intera struttura, che altrimenti per lunghi tratti della giornata sarebbe praticamente deserta. E che i nuovi inquilini possano far risparmiare qualche soldo alle Ferrovie: non pagano alcun affitto, ma si fanno carico delle bollette e della manutenzione ordinaria.
Al momento le stazioni date in gestione con un contratto di comodato d’uso gratuito sono 465, mentre i contratti sottoscritti sono 1.484 (molte stazioni sono usate da più di un gruppo). Gli spazi al piano superiore di una stazione infatti possono essere condivisi da più associazioni: dalla Croce Rossa locale, dalla biblioteca di paese, da varie associazioni che fanno volontariato. Ci sono poi alcuni esempi particolarmente virtuosi, che Rete Ferroviaria Italiana ha raccolto nel corso degli anni in alcune pubblicazioni sulla riqualificazione dei propri spazi.
A Talamona, in provincia di Sondrio, diversi anni fa il circolo ARCI Demos aveva riconvertito il piano superiore della stazione in una piccola sala concerti. A San Stino di Livenza, nella città metropolitana di Venezia, la vecchia stazione è diventata un centro culturale e ostello per cicloturisti gestito da Legambiente, con una decina di posti letto. Qualche anno fa nella stazione di Melfi, in Basilicata, aveva sede un Centro di accoglienza straordinaria (CAS) per migranti.
A Meina, in provincia di Novara, c’è un caso assai particolare. La moglie dell’ultimo capostazione, Anne Marie Josephine Lorenzi, abita ancora al piano superiore della stazione e anni fa si è inventata un mercatino di vestiti usati per persone in difficoltà.
Rete Ferroviaria Italiana spiega che in futuro conta di cedere in comodato d’uso gran parte di questi spazi: le persone che ancora abitano nei piani superiori delle piccole stazioni non vengono sfrattate, ma i contratti di affitto in scadenza non vengono più rinnovati.
Anche Ferrovienord, che gestisce la rete regionale della Lombardia, ha avviato progetti simili di recupero dei piani superiori delle stazioni più piccole: in diversi casi sono stati dati in comodato d’uso ad associazioni o attività commerciali, in altri sono stati adattati a spogliatoi per il personale ferroviario, mentre una piccola parte è ancora abitata dalla famiglia degli ultimi capistazione.