Quarant’anni di Greta Gerwig
Dopo l'enorme successo di “Barbie” è all'apice della sua carriera da regista, ma prima è stata tante altre cose
Greta Gerwig è una delle sette donne a essere state candidate alla Migliore regia ai premi Oscar da quando esistono. Ha scritto e diretto uno dei film in assoluto più discussi e più visti di quest’anno, Barbie, con un budget di 100 milioni di dollari e incassi superiori a 800 milioni dopo due settimane. E, pur avendo diretto finora soltanto tre film – Lady Bird (2017), Piccole donne (2019) e, appunto, Barbie – è una delle registe più apprezzate di Hollywood.
Nata quarant’anni fa a Sacramento, città della California che viene raccontata in modo poco lusinghiero in Lady Bird, da piccola Gerwig non era particolarmente interessata al cinema, quanto più al teatro. Se ne appassionò all’università, mentre studiava lettere e filosofia in un college per sole donne, e cominciò a recitare in piccole produzioni indipendenti in teatro e poi nel cinema. Trovò un proprio spazio nella cosiddetta scena mumblecore, caratterizzata da film a bassissimo budget incentrati sui rapporti personali tra giovani adulti, con sceneggiature improvvisate e attori non professionisti. Data la centralità dell’improvvisazione in questi film, Gerwig ebbe da subito l’opportunità di assumere un ruolo attivo nella costruzione di dialoghi, personaggi e storie, dando un proprio stile alle produzioni a cui partecipava e mettendo le basi per successivi lavori più importanti come sceneggiatrice.
«Era divertente e un po’ goffa. I suoi personaggi erano sexy (forse sessualizzati) ma in un modo grezzo, grossolano, realistico», ha scritto la giornalista Allison P. Davis su Vulture: «Scrivendo e recitando nei film di Joe Swanberg e i fratelli Duplass, Gerwig è diventata l’unica ragazza tra i ragazzi». Sui giornali, veniva descritta come il volto del movimento, «la regina del mumblecore», la Meryl Streep del cinema indipendente.
In quel periodo, Gerwig recitò in 25 film. Il più famoso è il film in bianco e nero Frances Ha, del 2012, che contribuì a scrivere e in cui interpretava un’aspirante ballerina sull’orlo della povertà, che vive con la migliore amica a New York senza una chiara direzione nella vita: il ruolo le valse una nomination come Migliore attrice ai Golden Globe. Nei suoi ruoli dell’epoca, scrive Davis, Gerwig tendeva a interpretare «donne che si aggrappano a un’esistenza poco pratica e insostenibile (finanziariamente ed emotivamente) e sono lentamente costrette a lasciarla alle spalle».
L’ultimo film in cui ha recitato è stato Rumore bianco, uscito nel 2022 e ispirato al romanzo omonimo di Don DeLillo: anche questo come Frances Ha è stato diretto da Noah Baumbach. Oltre ad aver lavorato insieme a numerosi film Gerwig e Baumbach sono una coppia nella vita: si sono conosciuti sul set di Lo stravagante mondo di Greenberg e hanno due figli. Gerwig, che ha 14 anni in meno del compagno, è stata a lungo considerata dalla critica la sua “musa ispiratrice”: un ruolo da cui si è fin da subito voluta emancipare, sottolineando già in un’intervista del 2015 che «ha avuto la fortuna di trovare un collaboratore e un’anima affine, ma non ha bisogno di un uomo, e avrebbe fatto carriera comunque».
«Ciò che ha sempre distinto Gerwig da tanti suoi contemporanei all’interno del mumblecore è la sensazione che avesse sempre avuto ambizioni al di fuori del movimento», ha spiegato Darren Mooney su Escapist. Prima di fare il proprio debutto alla regia, recitò in qualche film più mainstream, come la commedia Amici, amanti e…, To Rome with love di Woody Allen e Jackie di Pablo Larraín. La sua principale aspirazione fin dal college era però quella di girare i propri film. E non solo film indipendenti: film “alla Steven Spielberg”, che secondo Gerwig è il massimo esempio di un regista capace di rendere personali film “di genere”.
Ci è riuscita: i tre film che ha diretto sono tutti molto diversi tra loro in termini di genere e ambientazione, ma mantengono comunque evidenti qualità autoriali che permettono agli appassionati di cinema di riconoscere il suo tocco. «L’opera cinematografica di Gerwig è tenuta insieme dalla sua volontà di interrogarsi sulla femminilità. È nota per la sua dedizione nel raccontare storie di donne con cuore e umorismo, nonché per un intimo stile cinematografico “indie”», ha scritto Jessica Ford su The Conversation.
Nel 2017 il suo primo film da regista, Lady Bird, ha avuto un successo eccezionale: candidato all’Oscar in cinque categorie, l’ha resa la quinta donna a essere candidata nella categoria Miglior regia nella storia del prestigioso premio hollywoodiano. Inserendosi nel filone dei film cosiddetti “coming of age”, che tradizionalmente si concentrano quasi esclusivamente sui travagli di giovani uomini intenti a capire chi sono, Lady Bird ha fatto una cosa ancora piuttosto rara nel cinema mainstream mettendo al centro i travagli di una giovane donna. Christine, la protagonista interpretata da Saoirse Ronan (la stessa che farà la protagonista Jo March in Piccole donne), è cresciuta a Sacramento come Gerwig, ma la regista ha detto che le somiglianze con la sua biografia finiscono qui. Al contrario del personaggio, che è testardo, volitivo, eccentrico e alla disperata ricerca di una via di fuga dalla noia dei sobborghi, Gerwig ha raccontato di essere stata una ragazzina mite, concentrata soprattutto sul piacere a tutti.
La novità di un film come Lady Bird è stata quella di rappresentare una storia femminile intima e personale con la stessa serietà e universalità che fino a quel momento erano state riservate prevalentemente alle storie maschili. «Nella maggior parte dei film, le ragazze esistono per essere guardate. A volte aiutano un protagonista maschile a realizzare se stesso. A volte muoiono. Ma in Lady Bird, Gerwig rende Christine il soggetto che compie l’atto di guardare: i ragazzi, ma anche le case, le riviste, i libri, i vestiti, la città di Sacramento», ha scritto Christine Smallwood sul New York Times.
Secondo Smallwood «non si può accusare Gerwig di mancanza di serietà: i suoi discorsi sono costellati di riferimenti a George Eliot, Elena Ferrante, Maggie Nelson, Simone Weil, Milton e Kierkegaard. Ma il modo in cui distribuisce la propria empatia ha un innegabile effetto magico. Il risultato è delizioso e un po’ romantico – delizioso, forse, perché è romantico, mostra la vita come dovrebbe essere, o potrebbe essere». Il film ha avuto un impatto tale che diverse ragazze online hanno raccontato di aver chiamato le loro madri per scusarsi di essere state delle adolescenti difficili, dopo aver visto il film.
Un approccio molto simile si trova anche nel secondo film, Piccole donne, uscito in Italia nel 2020. Ennesima trasposizione cinematografica dell’omonimo classico della letteratura di Louisa May Alcott, fu candidato a sei Oscar (ne vinse solo uno, per i Migliori costumi) e svariati altri premi. Little Women condivide con Lady Bird, ma anche con Barbie e Frances Ha, non solo il fatto di ritrarre con onestà le difficoltà femminili ma anche la presenza di dialoghi che, da soli, contengono l’essenza del film e che sono al tempo stesso ben scritti e capaci di arrivare a tutti. In Little Women è il monologo in cui Jo March, in lacrime, dice di sentire che «le donne hanno delle ambizioni, e hanno talento e non solo la bellezza, e sono così stanca delle persone che dicono che l’amore è l’unica cosa a cui posso aspirare, sono stufa di sentirlo ma sono anche tanto sola».
In Frances Ha, è quello in cui il personaggio interpretato da Gerwig spiega il tipo di amore che vuole nella vita: «come essere a una festa ed entrambi state parlando con altre persone, e tu sei lì e sei splendida, e poi guardi dall’altra parte della stanza ed incroci il suo sguardo, ma non perché siete possessivi o per qualche istinto sessuale, ma perché lui è la persona giusta per te in questa vita». In Lady Bird è il messaggio che la protagonista lascia nella segreteria telefonica della madre, chiedendole scusa per essere stata un’adolescente insopportabile. In Barbie ce ne sono due: uno, pronunciato dal personaggio interpretato da America Ferrera, è dedicato alle contraddizioni a cui le donne sono sottoposte quotidianamente. L’altro, della Barbie Stereotipo interpretata da Margot Robbie, esprime il desiderio comune a tutti i personaggi di Gerwig, di voler essere la creatrice del proprio destino, e non soltanto l’idea di qualcun altro.
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«Guardando la carriera di Gerwig e il messaggio di fondo del film, è chiaro perché fosse la regista ideale per un progetto come Barbie», ha scritto il sito Collider, e ha aggiunto che ha conferito «una certa profondità e consapevolezza di sé a un concetto che avrebbe potuto facilmente rimanere unidimensionale nelle mani di un regista diverso». Barbie ha avuto un successo clamoroso incassando 155 milioni di dollari negli Stati Uniti soltanto nel primo weekend dalla sua uscita al cinema ed è riuscito a far parlare di concetti come il femminismo e il patriarcato anche persone che non si erano mai interrogate al riguardo.
Gerwig ha da poco confermato che dirigerà per Netflix almeno due film ambientati nell’universo delle Cronache di Narnia, la serie fantasy di C. S. Lewis. Si è detta spaventata ma ha aggiunto che «quando ho paura è sempre un buon segno».