Le aziende occidentali che temono gli espropri delle loro filiali in Russia
Il governo ha preso il controllo di quelle di Danone e Carlsberg, e sono a rischio anche altre multinazionali come PepsiCo e Nestlé
Dopo che il governo russo ha preso il controllo delle filiali russe dell’azienda di yogurt Danone e di quella di birra Carlsberg, molte altre società occidentali con attività in Russia hanno il timore che il governo possa fare lo stesso con loro. Ad aprile aveva anche sequestrato i beni delle filiali locali della finlandese Fortum e della tedesca Uniper, entrambe aziende energetiche pubbliche.
Per farlo il presidente russo Vladimir Putin aveva approvato un decreto con cui autorizzava il governo a sequestrare i beni di aziende di paesi considerati “ostili”, in risposta alle sanzioni occidentali. Non era chiaro fino a che punto fossero solo minacce, ma con le decisioni recenti sembra che siano a rischio soprattutto quelle aziende che stanno pensando di lasciare il paese e che sono più radicate in Russia, la cui dismissione avrebbe un effetto negativo sull’economia locale.
Oltre alla ritorsione verso i paesi occidentali, ci sono altre ragioni concrete per cui la Russia ha interesse a rilevare le aziende occidentali che sospetta possano lasciare il paese. C’è preoccupazione per il fatto che molti settori dell’economia attualmente presidiati da queste società potrebbero rimanere scoperti, soprattutto nell’ambito dei servizi, della manifattura e di tutti quei beni di consumo a cui i russi si erano abituati prima della guerra. PepsiCo, Mars, Nestlé e Reckitt (l’azienda produttrice dei preservativi Durex, tra le altre cose) sono solo alcune delle aziende entrate nel mercato russo decenni fa, dove hanno investito molto per la costruzione di fabbriche e che ora rischiano di perdere tutto.
Secondo un’analisi di Bloomberg a essere più esposte sono le filiali di quelle aziende che nel tempo avevano acquisito società russe per consolidare i propri affari sul territorio: il governo russo infatti può prenderne il controllo motivandolo con la difesa delle attività sul territorio e la tutela dell’economia locale. Per esempio Danone aveva comprato Prostokvashino, uno dei marchi di latte e latticini più noti nel paese. È possibile che anche Carlsberg abbia perso la sua filiale per un motivo simile: era proprietaria della Baltika Breweries, azienda leader nel mercato russo della birra, e aveva trovato un accordo per venderla.
Come Danone e Carlsberg, altre aziende hanno fatto operazioni simili e sono ora a rischio di esproprio. Tra queste c’è PepsiCo, che ha acquistato la russa Wimm-Bill-Dann Foods per 3,8 miliardi di dollari nel 2011, diventando così la più grande azienda di bibite in Russia. Per le sue produzioni fa molto affidamento sui prodotti locali, motivo per cui il governo ha interesse nel mantenerla operativa in Russia.
Sono esposte anche le aziende che recentemente hanno mostrato l’intenzione di lasciare il paese, tra cui Reckitt: da aprile dello scorso anno c’è una trattativa in corso tra l’azienda e alcune controparti russe. Non si sa se il governo lascerà continuare la trattativa o se ne prenderà il controllo, visto che in questo caso otterrebbe lo stesso risultato ma gratuitamente.
Alcune aziende stanno cercando di mantenere un equilibrio tra la sostenibilità economica delle attività in Russia e buoni rapporti con il governo. Da una parte stanno cambiando le linee produttive per adattarsi a vendite sempre minori e dall’altra stanno mantenendo la loro presenza sul mercato per non scontentare il governo. Per esempio Nestlé ha smesso di produrre KitKat e Nesquik negli stabilimenti russi, ma continua a produrre e vendere nel paese alimenti analoghi ma con un marchio locale. Lo stesso sta facendo PepsiCo con le bibite Pepsi, 7Up e Mountain Dew.
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