La Cina vuole influenzare sempre di più i giornali delle Isole Salomone
Due inchieste indipendenti hanno rivelato come almeno un giornale locale abbia ricevuto soldi e attrezzature in cambio di articoli più indulgenti sul governo cinese
Due inchieste giornalistiche, del Guardian e dell’organizzazione di giornalismo investigativo Organized Crime and Corruption Reporting Project, hanno rivelato come la Cina abbia finanziato con grosse somme di denaro il Solomon Star, uno dei principali quotidiani delle Isole Salomone, in cambio dell’impegno a parlare positivamente delle proprie attività nel paese. Le Isole Salomone sono uno dei paesi del Pacifico su cui la Cina sta lavorando da tempo per rafforzare la propria influenza, e l’inchiesta appena pubblicata dimostra come questo lavoro passi anche da un maggiore controllo sull’informazione locale, a discapito della sua indipendenza.
L’inchiesta dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project è basata su interviste con giornalisti locali e sulla lettura di documenti e comunicazioni interne al Solomon Star. Secondo quanto emerso, il giornale avrebbe ricevuto l’equivalente di quasi 130mila euro per «promuovere la verità sulla generosità della Cina e sulle sue reali intenzioni di aiutare lo sviluppo» del paese.
Secondo fonti anonime interne al giornale ascoltate invece dal Guardian, il sostegno economico inviato dalla Cina al giornale sarebbe arrivato anche sotto forma di automobili, telecamere, computer portatili, iPhone e un drone, inviati al giornale in cambio dell’impegno a «essere un po’ più sensibile nel trattare le questioni relative alla Cina», ha detto uno dei giornalisti.
Uno dei documenti contenuti nelle inchieste mostra come il Solomon Star abbia ricevuto i finanziamenti dopo aver fornito «ripetute ed esplicite» assicurazioni sul fatto che avrebbe pubblicato articoli per promuovere l’operato del governo cinese. Il documento contiene una prima richiesta di finanziamenti fatta nel 2022 dal Solomon Star all’ambasciata cinese, in cui il giornale chiedeva la somma per sostituire attrezzature descritte come obsolete, tra cui una stampante e una torre di trasmissione radio. L’invio della richiesta è stato confermato da due dirigenti del giornale, che non hanno voluto commentare.
Nella richiesta di finanziamento, il Solomon Star affermava che le apparecchiature obsolete causavano ritardi nell’uscita delle edizioni e «limitavano il flusso di notizie sul generoso e fulmineo sviluppo economico e infrastrutturale della Cina nelle Isole Salomone». La richiesta conteneva inoltre una serie di impegni che il giornale diceva di essere disposto ad assumersi per promuovere la «buona volontà» della Cina e il suo ruolo di «partner di sviluppo più generoso e fidato» nelle Isole Salomone.
I finanziamenti sono effettivamente arrivati e le attrezzature sono state comprate, come ha confermato il fornitore delle apparecchiature, G2 Systems Print Supply Division, all’Organized Crime and Corruption Reporting Project.
La richiesta di finanziamenti e la lista di impegni espressi dal Solomon Star erano state comunicate all’ambasciata cinese a luglio del 2022, pochi mesi dopo la firma di un accordo di sicurezza tra le Isole Salomone e la Cina, che aveva consolidato ancora di più il legame tra i due paesi (molto contestato nelle Isole e oggetto di forti proteste). Pochi mesi dopo la firma di quell’accordo la Cina si era attivata per prendere contatti con giornali e media locali: l’accordo fu firmato a marzo, e già ad aprile del 2022 l’ambasciata cinese aveva convocato una lunga riunione su Zoom per far incontrare alcune organizzazioni giornalistiche cinesi con altre delle Isole Salomone.
In quella riunione erano presenti sia i rappresentanti del Solomon Star che quelli di un altro giornale delle Isole Salomone, l’Island Sun, a cui nel 2021 l’ambasciata cinese aveva consegnato alcuni computer nuovi «per sostenere il ruolo del giornale nella diffusione di informazioni durante le sfide della pandemia da Covid-19».
Ofani Eremae, l’ex direttore del giornale, ha detto al Guardian che avrebbe ricevuto anche altri oggetti oltre ai computer: non ha specificato quali, e relativamente all’Island Sun non si hanno prove su eventuali impegni a parlare in un certo modo della Cina, diversamente da quanto emerso per il Solomon Star. Eremae, comunque, ha dato le dimissioni da direttore dell’Island Sun lo scorso dicembre e ha espresso forti preoccupazioni su come i rapporti con la Cina stessero indebolendo l’indipendenza del suo giornale.
Relativamente al Solomon Star, l’inchiesta del Guardian cita anche una email circolata tra membri dello staff in cui emergono tensioni interne sull’indirizzo del giornale e sul modo di coprire i rapporti con la Cina. Dopo una visita in Cina del primo ministro delle Isole Salomone, Manasseh Sogavare, il giornale aveva dedicato una prima pagina a quanto era costato il viaggio e il soggiorno all’estero del primo ministro. Nella email citata un membro del personale si era lamentato della scelta editoriale, sostenendo che quel pezzo avrebbe potuto essere letto come una critica alla Cina e che questo avrebbe reso molto più complicate le relazioni tra il giornale e l’ambasciata cinese.
Questa settimana il Solomon Star ha pubblicato un editoriale in cui sosteneva di non avere «nulla da nascondere», di non aver pubblicato notizie in qualche modo favorevoli alla Cina e di non aver diminuito la propria indipendenza. Il giornale ha inoltre sostenuto di aver chiesto finanziamenti anche all’Australia e agli Stati Uniti, senza ricevere risposta.
I rapporti tra Isole Salomone e Cina sono diventati sempre più stretti soprattutto a partire dal 2019, quando i due paesi hanno formalizzato i propri rapporti diplomatici e le Isole hanno interrotto quelli che avevano con Taiwan, paese che la Cina rivendica come parte del proprio territorio nazionale. Secondo quanto riportato a suo tempo da ABC News, in cambio la Cina avrebbe promesso al governo delle Isole Salomone circa 730 milioni di dollari (circa 650 milioni di euro) di aiuti economici, una mossa che Taiwan aveva fortemente criticato, accusando il governo cinese di ricorrere alla «diplomazia del dollaro» per comprare i propri alleati.